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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
QUINTO, PERDONÀ L'OFFESE1
Lor antri2 riliggiosi hanno un bon gozzo
Pe’ strillà in chiesa e ppredicà la pasce.
Quanno se3 tratta co’ ggente incapasce
De capilla, a cche sserve er predicozzo?
A mmé ppuro4 la guerra nun me piasce,
E ppe’ cquesto oggni sempre abbozzo abbozzo.5
Manch’io6 nun pòzzo7 sscèrnele8 nun pòzzo,
St’anime uguale a pperziche durasce.9
Dove j’ho ffatto poi tutto st’inzurto?
J’ho ddetto c’ha una mojje che la venne.10
Sò11 ccose, queste, da pijjasse12 in urto?
Vorìa13 ner caso mio védesce14 un frate.
Lui m’ha in odio: raggione nu l’intenne:
Pasce nu la vò ffà... Ddunque? Stoccate.
27 giugno 1834
- ↑ La quinta opera di misericordia spirituale.
- ↑ Altri.
- ↑ Si.
- ↑ Pure.
- ↑ Tollero.
- ↑ Nemmeno io.
- ↑ Posso.
- ↑ Patirle.
- ↑ Pèsche duràcine.
- ↑ Vende.
- ↑ Sono.
- ↑ Pigliarsi scambievolmente.
- ↑ Vorrei.
- ↑ Vederci.
Note
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