< Rime (Andreini)
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Sonetto XXVIII
Sonetto XXVII Sonetto XXIX

SONETTO XXVIII.


Q
Vì del bel guardo il vivo ardor m’assalse,

Ond’hoggi ancor par, che n’avampi il prato;
     Quì d’acute saette il sen piagato
     Hebbi; ed altrui del mio dolor non calse;
Quì pur lagrime usciro amare, e salse
     De gli occhi tristi; e ’l cor duro, e gelato
     Mai non piegar. fù sua durezza, ò Fato,
     Ch’amor, fede, e fermezza a me non valse?
Lasso, fù mio destin, ch’empio m’offerse
     Tigre selvaggia sotto humil sembiante
     Di cui più dispietata altri non scerse.
Ma perch’essempio i’ sia d’ogn’altro amante
     Dite voi quel martir, che ’l cor sofferse
     Fere, augelli, antri, rivi, ombre, aure, e piante

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