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in villa a S. Casciano
Costor vissuti sono un mese, o piue,
a noce, a fichi, a fave, a carne secca,
tal ch’ella fia malizia e non cilecca[1]
el far sì lunga stanza costà sue.
Come ’l bue fiesolan guarda a la ’ngiùe5
Arno, assetato, è mocci se ne lecca,
così fanno ei de l’uova ch’ha la trecca[2]
e, col beccaio, del castrone e del bue.
Ma, per non fare affamar le marmegge[3],
noi faren motto drieto a Daniello,10
ché forse già v’è qualcosa che legge,
perché, mangiando sol pane e coltello[4],
fatti abbiàn becchi che paion d’acegge[5],
e a pena tegnàn gli occhi a sportello[6].
Dite a quel mio fratello[7]15
che venga a trionfar con esso voi
l’oca ch’avemo giovedì da noi;
al fin del giuoco poi,
messer Bernardo mio, voi comperrete
paperi e oche, e non ne mangerete.
Note
- sonetto caudato composto prima del 1500
- ↑ malizia e non cilecca: cattiveria e non soltanto burla.
- ↑ rivenditrice di frutta, verdura, legumi uova e simili.
- ↑ insetti parassiti di pelli, peli, carni secche.
- ↑ pane e coltello: solo pane senza companativo (condizione di povertà).
- ↑ acegge: beccacce: siamo diventati magri come becchi di beccacce.
- ↑ a sportello: socchiusi.
- ↑ Totto Machiavelli.