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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
SÒ CCOSE CHE CCE VANNO
Ma nun è ggnente, nò, ssora Maria,
Nun è ggnente davero, nun è ggnente.
Ve pare che ssi ffussi1 mmalatia,
Ve calerebbe er latte istessamente?
Ma nnò, nnò, nnò, nun v’accorate, via,
Fatev’animo, state allegramente:
È la frebbe der pelo,2 fijja mia,
Che l’ha d’avé oggni donna partoriente.
Ssapete c’antre3 sorte de febbrone
Se vedeno4 sparà cquanno ch’er petto,
Nun zia mai,5 vò vvenì a ssuperazzione?6
Fidateve, sposetta, è ttutt’affetto7
Der calo: e cco la vostra cumprisione8
Nemmanco serve che cce state9 a lletto.
25 gennaio 1835
- ↑ Se fosse.
- ↑ La febbre della separazione del latte.
- ↑ Che altre.
- ↑ Si vedono.
- ↑ Non sia mai.
- ↑ Suppurazione.
- ↑ Effetto.
- ↑ Complessione.
- ↑ Ci stiate.
Note
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