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VEUILLOT E LA «MIRRA»
Luigi Veuillot è, chi noi sappia, il Proudhon della reazione. Egli ha lacerato arditamente il velo in cui si avvolge il suo partito, e mostrateci le ultime conseguenze politiche e sociali a cui esso mira. Invano Montalembert gli dice: — «Adagio! tu ci comprometti». — Invano la Gazette de France, mormorando libertá e nazionalitá, gli ripete:— «Imprudente! aspetta almeno che Enrico V sia in Francia». — Veuillot tira innanzi a capo in giú. Il suo partito per ora non accetta il passato che col beneficio dell’inventario; distingue, scusa, pallia; Veuillot accetta tutto, anche l’inquisizione, anche la strage di San Bartolomeo, anche il cavalletto. Il suo partito non rifiuta del tutto il nuovo; rispetta nel campo avversario l’ingegno, la gloria; non osa di affrontare certe opinioni; soggiace all’influsso di certi nomi. Veuillot si è fatto in capo il suo mondo, vi ha tirato intorno un circolo, e fuori di lá non ci è salute. Niuna via di mezzo: o di Dio o del diavolo. Implacabile come la pedanteria, talvolta ti divide per mezzo un uomo, metá a Dio, metá al diavolo. Si tratta per esempio di Pascal? — «Partageons», — tuona Veuillot con un’aria da giudizio universale; — a Dio il Pascal de’ Pensieri, al diavolo il Pascal delle Provinciali. — Al diavolo Voltaire e Rousseau, Hugo e Lamartine, il secolo decimottavo e decimonono. Spesso, dimenticando la gravitá di giudice, esce in villanie contro i rei; è un Minosse che ringhia. L’ultimo reo capitatogli sotto è Béranger, e il piú svillaneggiato; con l’etá gli cresce la bile. Altero ancora del suo trionfo, e cercando nuovi nemici e nuovi allori, o volere o destino o fortuna o le gambe, fatto sta che una sera si trovò in teatro. Fu una mala sera per lui. Pensate un po’. Si recitava la Mirra d’Alfieri. Un soggetto pagano! riflette Veuillot. «Quelle manie de suivre les païens!» E che orrore di soggetto! La Fedra di Racine! Passi. «C’est une hardiesse.» Ma la Mirra! «C’est une témérité. Quelle infamie! Quelle brutalité! On est assommé! On est revolté!» Ma ohimè! le sue riflessioni sono interrotte da un fragoroso batter di mano. L’ingrato pubblico gli si ribella. Veuillot si sdegna, ed il pubblico si diverte ed applaude. Applaudire Alfieri, batter le mani alla Mirra! Veuillot scoppia. «On a perdu le sens du beau. Le beau, c’est le laid... L’absence du respect... envers Dieu, envers soi même, envers les autres..., détruit le sens du beau. Le sens du beau n’est plus qu’une sorte de phénomène au fond de quelques âmes.» Uscito di lá tutto collera, Veuillot sfoga la sua stizza in un articolo. Egli se la prende col pubblico, con Alfieri, con Mirra, con la Ristori, e, presa una volta la carriera, non si arresta lá. Eccolo addosso a Racine; poi dá una botta ad Ovidio, ed un colpo di sbieco ad Euripide; finalmente, sdegnando questa bassa terra, s’innalza fino al cielo, e muove guerra a Venere ed a Diana. È un articolo-poema. Da Venere si viene giú giú, passando per Euripide, Ovidio, Racine e Alfieri, fino alla Ristori, fino al pubblico corrotto di oggi. Tutto questo mondo va in polvere al comando di Veuillot; ciascuno di questi personaggi va in fumo ad ogni colpo della sua penna. E non crediate giá ch’io esageri. Veuillot non si prende il fastidio di disputare, di ragionare. Lascia questi procedimenti a’ pedanti. Un par suo pronunzia ex tripode, da papa; vede il vero e si degna comunicarlo a noi mortali: ecco tutto.
Mai in vita sua non gli è avvenuto di fermarsi e domandarsi: — adagio! fosse questa una bestialitá?— Tutto quello che gli esce dalla penna è un domma, un articolo di fede. È vero, ch’egli confessa di essere «un juge tres inexperimenté et tres incompétent de l’art dramatique». Ma che importa? La sua ignoranza non l’impedisce di dar giudizio di Alfieri. Aveva udito qualche cosa alla scuola, e se ne ricorda: l’ingegno supplisce al resto. Aveva udito dire che Alfieri era un uomo severo e brusco. Sentite ora il «dunque» di Veuillot. Dunque Alfieri «est un esprit grossier et incomplet». Le tragedie di Alfieri hanno alcun che di aspro e di tetro. Sentite ora l’oracolo. Dunque egli è «compère de Campistron et de Crébillon». Alfieri ha fatto commedie? «Donc, égal a Voltaire.» Ha fatto liriche? «Donc, inférieur á Rousseau.» Alfieri e Voltaire! Alfieri e Rousseau! chi avrebbe pensato mai che ci fosse alcuna attinenza tra Alfieri e Voltaire nel comico, tra Alfieri e Rousseau nel lirico! Ma queste sciocchezze egli te le dice con tale un tuono di sicurezza, con un’aria cosí dittatoria, che tu ne rimani sbalordito e a bocca aperta. «Sa Myrrha est une vraie paperasse de collège. La déclamation et le lieu commun y coulent á pleins bords... La situation ne varie que du répugnant au ridicule. On est assommé. On est révolté.» «Compère», «égal», «inférieur», «répugnant», «ridicule», ed Alfieri è giudicato e condannato. Si dice che gli estremi si toccano. Veuillot si è alzato tanto alto sull’ingegno comune, ch’egli s’incontra muso a muso con «l’ignorante populace». Cosi giudica la plebe: — quanto è bello! quanto è brutto!— ;i suoi giudizii sono degh aggettivi. Il piú curioso è che Veuillot si prende collera, se non si sta a’ suoi aggettivi. Lo sa il povero pubblico che osò di applaudire quella «paperasse de collège». Veuillot non lo lascia piú. Una botta ad Alfieri e una pedata al pubblico. Una botta alla Adelaide Ristori e una ceffata al pubblico. I suoi applausi sono «des hurlementes»; il suo entusiasmo è «de la frénésie... Le sens moral décroit et la barbarie monte». Quale audacia, anzi sfrontatezza di giudizii! E nondimeno al pubblico francese piace l’audacia, anche a sue spese.
Da cinquant’anni si aggirava nello stesso cerchio di idee. Veuillot vi si è gittate in mezzo e le ha capovolte: ha rinfrescate le sue impressioni; ha mostrato un altro rovescio della medaglia. Piú le dice grosse e piú fa effetto sulle fantasie: lo chiamano il Voltaire de’ cattolici. Co’ suoi paradossi pronunciati con l’aria imperiosa di un:— En avanti marche! — egli ha avuto piú successo che nessun altro del suo partito. Egli ha attirato gli avversarii nel suo terreno, ha messo in quistione tutt’i principii, tutte le opinioni, tutte le celebritá, ed ha allettato il dabben Siècle a discutere con lui seriamente di fídecommessi e di primogenitura. Non io cadrò in questo errore. Sta a vedere che, perché a Veuillot è piaciuto di lanciare tre o quattro aggettivi contro di Alfieri, dovremo porre in discussione la grandezza del nostro poeta. Se debbo difendere Alfieri, lo farò contro Janin, che almeno fa professione di critico, anzi che contro di un ignorante, che si confessa giudice incompetente e inesperto dell’arte drammatica, e ne tira per conseguenza di scrivere un articolo d’arte drammatica.
[Nel «Piemonte», a. I, n. i48, 24 giugno i855, e nello «Spettatore» di Firenze, n. 40.]