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IV VI


V.

Come l’aveva detto il Balli, in causa d’Angiolina, fino a quella cena, i rapporti fra i due amici erano stati molto freddi. Di rado Emilio aveva cercato l’amico e non s’era accorto neppure di trascurarlo; l’altro poi se ne era offeso e aveva cessato di corrergli dietro, per quanto quell’amicizia gli fosse stata ancora sempre cara come tutte le altre sue abitudini. La cena tolse l’ostinazione a Stefano e gli diede invece il dubbio di aver offeso lui l’amico. Non gli erano sfuggite le sofferenze di Emilio, e quando si dileguò in lui il piacere di sentirsi amato da tutte e due le donne, piacere intenso, ma che durava una frazione d’ora, la coscienza lo rimorse. Per farla tacere, a mezzodì del giorno appresso corse da Emilio per tenergli un predicozzo. Un buon ragionamento avrebbe potuto curare Emilio meglio dell’esempio e se anche non fosse servito affatto, sarebbe valso almeno a fargli riacquistare la veste di amico e consigliere e togliergli l’aspetto di rivale da lui assunto per una debolezza ch’egli diceva una distrazione.

Venne ad aprirgli la signorina Amalia. Quella ragazza ispirava al Balli un sentimento poco gradevole di compassione. Egli credeva fosse permesso di vivere soltanto per godere della fama, della bellezza o della forza o almeno almeno della ricchezza, ma altrimenti no, perchè si diveniva un ingombro odioso alla vita altrui. Perchè dunque viveva quella povera fanciulla? Era un errore evidente di madre natura. Talvolta, quando veniva in quella casa e non ci trovava l’amico, adduceva qualche pretesto per andarsene subito subito perchè quella faccia pallida e quella voce fioca lo rattristavano profondamente. Ella, invece, che aveva voluto vivere la vita di Emilio, s’era considerata amica del Balli.

— È in casa Emilio? — chiese il Balli impensierito.

— S’accomodi, signor Stefano — disse Amalia lieta. — Emilio! — gridò. — C’è il signor Stefano. — Poi fece al Balli un rimprovero: — Da tanto tempo non si aveva il piacere di vederla! Anche lei ci dimentica?

Stefano si mise a ridere: — Non sono mica io che abbandono Emilio; è lui che non vuole più saperne di me.

Accompagnandolo verso la porta del tinello, ella mormorò sorridendo: — Eh, già, intendo. — Così avevano già parlato di Angiolina.

Il quartierino si componeva di tre sole stanze alle quali, dal corridoio, si accedeva per quell’unica porta. Perciò, quando capitava qualche visita nella stanza di Emilio, la sorella si trovava prigioniera nella propria ch’era l’ultima. Non era facile ch’ella si presentasse spontaneamente; era più selvaggia con gli uomini che non Emilio con le donne. Ma il Balli, dal primo giorno in cui era venuto in casa, aveva fatta eccezione alla regola. Dopo averlo sentito spesso descrivere come un uomo rude, ella lo vide per la prima volta alla morte del padre; subito si familiarizzò con lui, meravigliata della sua mitezza. Egli era un confortatore squisito. Aveva saputo tacere e parlare a tempo. Con discrezione, qua e là aveva saputo discutere e regolare l’enorme dolore della fanciulla; talvolta l’aveva aiutato, suggerendole l’espressione più precisa, più soddisfacente. Ella s’era abituata a piangere in sua compagnia, ed egli era venuto di frequente, compiacendosi di quella parte di confortatore da lui tanto bene intuita. Cessato quello stimolo, egli s’era ritirato. La vita di famiglia non gli si confaceva e poi, a lui che amava soltanto le cose belle e disoneste, l’affetto fraterno offertogli da quella brutta fanciulla doveva dar noia. Era del resto la prima volta ch’ella gli avesse mosso un rimprovero perchè trovava naturale che egli si divertisse meglio altrove.

Il piccolo tinello, oltre al tavolo bellissimo di legno bruno intarsiato, l’unico mobile della casa dimostrante che in passato la famiglia era stata ricca, conteneva un sofà alquanto frusto, quattro sedie di forma simile ma non identica, una seggiola grande a braccioli ed un vecchio armadio. L’impressione di povertà che faceva la stanza era aumentata dall’accuratezza con cui quelle povere cose erano tenute.

Entrando in quel quartiere, il Balli ripensò all’ufficio di consolatore nel quale s’era trovato tanto bene; gli pareva di passare per un luogo ove avesse sofferto lui stesso, ma sofferto dolcemente assai. Gustava il ricordo della propria bontà, e pensò di aver avuto torto d’evitare per tanto tempo quel luogo ove si sentiva più che mai uomo superiore.

Emilio lo accolse con accurata gentilezza precisamente per celare il rancore che gli covava in fondo all’anima; non voleva che il Balli potesse avvedersi del male che gli aveva fatto, lo avrebbe sì, rimproverato e aspramente, ma studiando il modo di celare la propria ferita. Lo trattava proprio come un nemico. — Qual buon vento ti conduce?

— Son passato di qua e ho voluto salutare la signorina che non vedevo da tanto tempo. La trovo d’aspetto migliorato di molto — disse il Balli guardando Amalia che aveva le guancie rosse, i buoni occhi grigi animatissimi.

Emilio la guardò e non vide nulla. Il suo rancore divenne subito violento accorgendosi che Stefano non ricordava affatto gli avvenimenti della sera prima e poteva perciò contenersi con lui con tale disinvoltura: — Ti sei divertito molto, tu, iersera, e un po’ anche alle mie spalle.

L’altro fu stupito del risentimento manifestatosi evidente a lui più che per altro perchè quelle parole erano fuori di proposito, in presenza di Amalia. Se ne sorprese. Egli non aveva fatto nulla che avesse potuto offendere Emilio; le sue intenzioni, anzi, erano state tali che avrebbe creduto di meritare un inno di ringraziamento. Per reagire meglio all’attacco perdette subito la coscienza del proprio torto e si sentì puro di ogni macchia. — Ne parleremo poi — disse per riguardo ad Amalia. Costei se ne andò ad onta che il Balli, il quale non aveva alcuna premura di spiegarsi con Emilio, volesse trattenerla.

— Non capisco che cosa tu mi possa rimproverare.

— Oh, nulla — disse Emilio che, preso di fronte non trovò niente di meglio di quest’ironia.

Il Balli, in seguito alla convinzione della propria innocenza, fu più esplicito. Disse ch’egli era stato quale s’era proposto di essere allorchè s’era offerto di dargli degl'insegnamenti. Se si fosse messo anche lui a belare d’amore, allora sì che la cura sarebbe riuscita bene. Giolona doveva essere trattata come aveva fatto lui, ed egli sperava che col tempo Emilio avrebbe saputo imitarlo. Non credeva, non poteva credere che una simile donna fosse presa sul serio, e la descrisse circa con le parole stesse con cui giorni prima gliel’aveva descritta Emilio. L’aveva trovata tanto simile al ritratto che gliene era stato fatto, che gli era stato facile d’indovinarla subito, tutta.

Ma l’altro che sentiva ripetere le proprie parole non ne rimase affatto convinto. Rispose ch’egli faceva all’amore a quel modo e che non avrebbe saputo contenersi altrimenti perchè gli pareva che la dolcezza fosse la condizione essenziale per poter godere. Ciò non significava mica ch’egli volesse prendere quella donna troppo sul serio. Le aveva forse promesso di sposarla?

Stefano rise di cuore. Emilio aveva mutato straordinariamente nelle ultime ore. Pochi giorni prima — non se ne ricordava più? — appariva talmente impensierito del proprio stato da chiedere aiuto ai passanti. — Non ho nulla in contrario che tu ti diverta, ma non mi pare che tu abbia la cera di divertirti assai. — Emilio aveva infatti la cera stanca. La sua vita era stata sempre poco lieta, ma, dalla morte del padre in poi, molto tranquilla, e il suo organismo soffriva del nuovo regime.

Discreta come un’ombra, Amalia volle passare per la stanza. Emilio la fermò per far tacere Stefano, ma poi i due uomini non seppero subito abbandonare il discorso incominciato. Scherzosamente il Balli disse che la sceglieva per arbitra in una questione ch’ella non doveva conoscere. Fra loro due, vecchi amici, sorgeva una disputa. Il meglio che si potesse fare era di risolverla alla cieca, fidandosi in un giudizio di Dio che per quei casi doveva essere stato inventato.

Ma il giudizio di Dio non poteva più essere cieco perchè Amalia aveva già capito di che si trattasse. Ebbe un’occhiata di riconoscenza per il Balli, un’espressione intensa che non si sarebbe creduta possibile in quei piccoli occhi grigi. Ella trovava finalmente un alleato, e l’amarezza che da tanto tempo le pesava sul cuore, si risolse in una grande speranza. Fu sincera: — Ho già capito di che cosa si tratti. Ella ha tanto ragione — il suono della voce invece che dare ragione chiedeva soccorso — basta vederlo sempre distratto e triste, stampata in faccia la fretta di abbandonare questa casa in cui mi lascia tanto sola.

Emilio l’ascoltava inquieto temendo che quelle lagnanze non degenerassero, come sempre, in pianti e singhiozzi. Invece, parlando al Balli del proprio grande dolore, ella restò calma e sorridente.

Il Balli, che nel dolore di Amalia non scorgeva altro che un alleato nel suo litigio con Emilio, ne accompagnava le parole con gesti di rimprovero rivolti all’amico. Ma le parole d’Amalia non s’accompagnarono più a quei gesti. Ridendo lieta, ella raccontò: — Giorni prima era stata al passeggio con Emilio e aveva potuto osservare ch’egli si faceva inquieto quando vedeva in lontananza delle figure femminili di una certa statura e di un certo colore, alte, alte, bionde, bionde. — Ho visto bene? — e rise, lieta che il Balli assentisse. — Tanto lunga, tanto bionda? — Non v’era niente di offensivo per Emilio in questa derisione. Ella era andata ad appoggiarsi a lui e gli teneva la bianca mano sulla testa, fraternamente.

Il Balli confermò: — Lunga come un soldato del re di Prussia, bionda tanto che può dirsi incolore.

Emilio rise, ma era ancora sempre col pensiero alla sua gelosia: — Basterebbe esser sicuro che non piaccia a te.

— È geloso di me, capisce, del suo miglior amico! — urlò il Balli indignato.

— Si può capire — disse Amalia mitemente e quasi pregando il Balli di usar indulgenza con l’amico.

— Non si capisce! — disse Stefano protestando. — Come può dire che si capisca una simile infamia?

Ella non rispose, ma restò della propria opinione con l’aspetto sicuro della persona che sa quello che si dice. Credeva di aver pensato intensamente, e perciò di aver intuito lo stato d’animo del disgraziato fratello; lo aveva percepito invece nel proprio sentimento. Ella era rossa, rossa. Certi accenti di quel colloquio echeggiarono nell’anima sua come il suono delle campane nel deserto; lungi, lungi, percorsero spazii vuoti enormi, li misurarono, riempiendoli improvvisamente tutti, rendendoli sensibili, distribuendovi abbondantemente gioia e dolore. Lungamente ella tacque. Dimenticò che s’era parlato del fratello e pensò a se stessa. Oh, cosa strana, meravigliosa! Ella aveva parlato altre volte d’amore, ma altrimenti, senz’indulgenza, perchè non si doveva. Come aveva preso sul serio quell’imperativo che le era stato gridato nelle orecchie sin dall’infanzia. Aveva odiato, disprezzato coloro che non avevano obbedito e in se stessa aveva soffocato qualunque tentativo di ribellione. Era stata truffata! Il Balli era la virtù e la forza, il Balli che dell’amore parlava tanto serenamente, dell’amore che per lui non era stato mai un peccato. Quanto doveva aver amato! Con la voce dolce e con quegli occhi azzurri, sorridenti, egli amava sempre tutto e tutti, anche lei.

Stefano restò a pranzo. Un po’ turbata, Amalia aveva annunziato che ci sarebbe stato poco da mangiare, ma il Balli ebbe anzi la sorpresa di trovare che in quella casa si mangiava molto bene. Da anni Amalia passava una buona parte della sua giornata al focolare e s’era fatta una buona cuciniera quale occorreva al palato delicato d’Emilio.

Stefano era rimasto volentieri. Gli pareva d’essere stato soccombente nella discussione con Emilio e gli restava accanto in attesa della rivincita, soddisfatto che Amalia gli desse ragione, lo scusasse e appoggiasse, tutta sua.

Per lui e per Amalia quel pranzo fu lietissimo. Egli fu ciarliero. Raccontò della sua prima gioventù ricca di avventure sorprendenti. Quando la penuria che lo costringeva ad aiutarsi con espedienti più o meno delicati, ma sempre allegri, minacciava di farsi miseria, era capitato sempre il soccorso. Raccontò in tutt’i dettagli un’avventura che lo aveva salvato dalla fame facendogli guadagnare una mancia per un cane trovato.

E sempre così: Terminati gli studii, girovagava per Milano in procinto d’accettare il posto d’ispettore offertogli in un’azienda commerciale. Come scultore era difficile d’incominciare la carriera; subito, agli esordii, sarebbe morto di fame. Passando un giorno dinanzi ad un palazzo nel quale erano esposte le opere di un artista morto da poco, egli vi andò per dare l’ultimo addio alla scultura. Vi trovò un amico e in due si misero a demolire senza pietà le opere esposte. Con l’amarezza che gli derivava dalla sua posizione disperata, il Balli trovava tutto mediocre, insignificante. Parlava ad alta voce, con grande calore; quella critica doveva essere l’ultima sua opera di artista. Nell’ultima stanza, dinanzi al lavoro che il defunto maestro non aveva potuto finire per la malattia da cui era stato colto, il Balli si fermò meravigliato di non poter finire la sua critica sul tono su cui l’aveva tenuta sino allora. Quel gesso rappresentava una testa di donna dal profilo energico, dalle linee decise rudemente sbozzate, eppure significanti fortemente dolore e pensiero. Il Balli si commosse romorosamente. Scopriva che nel defunto scultore l’artista era esistito fino all’abbozzo e che l’accademico era sempre intervenuto a distruggere l’artista, dimenticando le prime impressioni, il primo sentimento per non ricordare che dei dogmi impersonali: i pregiudizi dell’arte. — Sì, è vero! — disse un vecchietto occhialuto che gli stava accanto, e poggiò quasi la punta del naso sul bozzetto. Il Balli sempre più s’accanì nella sua ammirazione ed ebbe delle parole commoventi per quell’artista ch’era morto vecchio portando il proprio segreto nella tomba, meno una volta sola in cui precisamente la morte non gli aveva concesso di celarlo.

Il vecchio lasciò di guardare il gesso e si volse a considerare il critico. Fu un caso che Stefano si presentò quale scultore e non quale ispettore commerciale. Il vecchio, un originale ricco come un personaggio di fiaba, gli commise il proprio busto da prima, poi un monumento funebre e infine lo ricordò nel testamento. Il Balli ebbe perciò del lavoro per due anni e del denaro per dieci.

Amalia disse: — Come dev’essere bello di conoscere delle persone tanto intelligenti e tanto buone.

Il Balli protestò. Descrisse il vecchio con sentita antipatia. Quel mecenate pretensioso gli era stato eternamente accanto, imponendogli di fornire ogni giorno quella data quantità di lavoro. Vero borghese privo di un gusto proprio, non aveva amato dell’arte che quanto gli veniva spiegato, dimostrato. Ogni sera il Balli era stato stanco di lavorare e di parlare, e gli era parso talvolta d’essere capitato in quel posto d’ispettore commerciale cui era sfuggito solo per un caso. Aveva preso il lutto quando il vecchio era morto, ma, per piangerlo più allegramente, non aveva toccato argilla per molti mesi.

Come era bello il destino del Balli: non era neppure obbligato a riconoscenza per i benefici che gli piovevano dal cielo. La ricchezza e la felicità erano i portati del suo destino; perchè avrebbe dovuto sorprendersene o esserne grato a chi era inviato dalla provvidenza a portargli i suoi doni? Amalia, incantata, stava a sentire quel racconto che le confermava la vita essere ben differente di quella che aveva conosciuta. Era naturale che a lei e al fratello fosse stata tanto dura e naturalissimo che al Balli fosse toccata tanto lieta. Ella ammirò la felicità del Balli e amò in lui la forza e la serenità che erano le sue prime grandi fortune.

Invece il Brentani stava ad udire con amarezza e invidia. Pareva che il Balli si vantasse della fortuna come di propria virtù. A Emilio non era toccato mai niente di lieto anzi neppure niente d’inaspettato. Anche la sventura gli si era annunziata da lontano, si era delineata avvicinandosi; egli aveva avuto il tempo di guardarla lungamente in faccia, e quando ne era stato colpito — la morte dei suoi più cari o la povertà — egli vi era già preparato. Perciò aveva sofferto più a lungo ma con meno intensità e le tante sventure non lo avevano mai scosso dalla sua triste inerzia ch’egli attribuiva a quel destino disperantemente incolore e uniforme. Ed egli non aveva mai ispirato niente di forte, nè amore, nè odio; il vecchio tanto ingiustamente odiato dal Balli non era intervenuto nella sua vita. La gelosia, nel suo animo, crebbe in modo ch’egli ne provò persino per l’ammirazione che al Balli dedicava Amalia. Il pranzo divenne molto animato perchè anche lui vi collaborò. Lottò per conquistarsi l’attenzione di Amalia.

Ma non vi riuscì. Che cosa avrebbe potuto dire che stesse degnamente accanto alla bizzarra autobiografia del Balli? Nient’altro che la sua passione presente, e non potendo parlare di quella, immediatamente egli fu confinato alla seconda parte ch’era sua per destino. Lo sforzo fatto da Emilio non produsse altro che qualche idea che andò ad ornare il racconto dell’amico. Il quale poi, senz’esserne consapevole, sentì la lotta e divenne sempre più vario, colorito, animato. Mai Amalia era stata l’oggetto di tante attenzioni. Ella stava ad ascoltare le confidenze che le faceva lo scultore, e non s’ingannava: le erano fatte proprio per conquistarla ed ella infatti si sentiva tutta sua. Per la mente della grigia fanciulla non passarono speranze per l’avvenire. Era proprio del presente che ella gioiva, di quell’ora in cui ella si sentiva desiderata, importante.

Uscirono insieme. Emilio avrebbe voluto andarsene col Balli, ma ella gli ricordò la promessa fattale il giorno innanzi di condurla con sè. Quella festa non doveva ancora terminare. Stefano la spalleggiò. A lui pareva che l’attaccamento per Amalia avrebbe potuto combattere nel Brentani l’influenza di Angiolina, e non ricordava più che pochi minuti prima aveva lottato per porsi tra fratello e sorella.

Ella fu pronta in un batter d’occhio, e aveva trovato anche il tempo di rassettare sulla fronte i ricci dei capelli fini ma piuttosto variamente macchiati che coloriti. Quando, infilando i guanti, invitò il Balli ad uscire, ebbe per lui un sorriso col quale pregava di piacergli.

Sulla via ella era più insignificante che mai, vestita tutta di nero, una piccola piuma bianca nel cappellino. Il Balli scherzò sulla piuma. Disse però che gli piaceva e seppe celare il malumore che lo colse all’idea di dover attraversare la città accanto a quella donnetta di un gusto tanto perverso da porre un segnale bianco a sì piccola distanza da terra.

L’aria era tepida ma, coperto di una fitta bianca nebbia, tutta una cappa dello stesso colore, il cielo era veramente invernale e Sant’Andrea con quegli alberi dai lunghi rami nudi, secchi, non ancora tagliati, e il suoloFonte/commento: Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/295 bianco per la luce impedita e diffusa, sembrava un paesaggio di neve. Riproducendolo e non potendo ridare la mitezza dell’aria, un pittore avrebbe stampata quell’erronea illusione.

— Fra noi tre conosciamo tutta la città — mormorò il Balli. Sul passeggio avevano dovuto rallentare il passo. Così festiva e romorosa e ufficiale, nel grande triste paesaggio e accanto al vasto mare bianco, quella folla era poco seria; aveva del formicaio.

— È lei che conosce tutti, non noi — disse Amalia che ricordava d’essere venuta spesso a quel passeggio senz’aver avuto perciò da stancarsi troppo nei saluti. Tutte le persone che passavano avevano il saluto amichevole o rispettoso per il Balli, e i saluti gli venivano anche dagli equipaggi. Ella si sentiva bene accanto a lui e gioiva di quella passeggiata trionfale come se una parte della riverenza che veniva dimostrata allo scultore fosse stata destinata a lei.

— Guai se non fossi venuto! — disse il Balli rispondendo con un bel saluto misurato ad una vecchia signora che s’era sporta dalla carrozza per vederlo. — La gente sarebbe ritornata a casa delusa. — Si era sicuri di trovarlo al passeggio della domenica ch’egli festeggiava come un operaio col Brentani il quale gli altri giorni era chiuso in ufficio.

Ange! — mormorò Amalia ridendo con discrezione. L’aveva riconosciuta alla descrizione che gliene era stata fatta e al turbamento di Emilio.

— Non ridere! — pregò Emilio con calore e confermando la scoperta di Amalia. Anche lui vedeva qualche cosa di nuovo: il sarto Volpini, un esile omino più insignificante ancora per colpa della splendida figura femminile accanto alla quale marciava con un suo passo allungato con isforzo e vanto. I due uomini salutarono ed il Volpini rispose con esagerata gentilezza. — Ha il colore di Angiolina, — rise il Balli. Emilio protestò: come si poteva confrontare la paglia del Volpini con l’oro di Angiolina? Si volse e vide che l’Angiolina china, parlava al suo compagno il quale guardava in alto, finalmente non gobbo. Parlavano certo di loro.

Soltanto più tardi, quando si trovarono di nuovo in città e in procinto di dividersi, Amalia che improvvisamente era ammutolita sentendosi di nuovo vicina alla sua abituale solitudine, per dire qualche cosa e rompere il silenzio che già incombeva su lei, domandò chi fosse l’uomo che accompagnava Angiolina. — Suo zio — disse il Brentani, serio serio, dopo una lieve esitazione, mentre Stefano lo guardava con occhio ironico vedendolo arrossire. L’occhio innocente della sorella lo faceva vergognare. Come Amalia sarebbe stata sorpresa che il grande amore del fratello, quell’amore pel quale ella già tanto aveva sofferto, fosse fatto a quel modo.

— Grazie! — disse Amalia congedandosi da Stefano. Oh, quale ricordo dolce di quelle ore le sarebbe rimasto se, per disgrazia, non si fosse accorta che in quel momento il Balli non poteva parlare perchè in lotta con uno sbadiglio che gli paralizzava la bocca. — Ella s’è annoiato. Tanto più la ringrazio. — Umile e buona tanto, commosse Stefano il quale si sentì subito di volerle bene. Spiegò che lo sbadiglio in lui era affare di nervi. Le avrebbe provato ch’egli non s’annoiava in loro compagnia, se lo sarebbero trovato molto spesso fra’ piedi.

Infatti mantenne la parola. Sarebbe stato difficile dire perchè egli ogni giorno facesse quelle scale per andare a prendere il caffè dai Brentani. Era gelosia, probabilmente; egli lottava per conservarsi l’amicizia d’Emilio. Ma Amalia non poteva indovinare tutto ciò. Ella riteneva ch’egli venisse più spesso da loro per il più semplice affetto per il fratello, affetto di cui ella stessa godeva perchè una parte riverberava su di leiFonte/commento: Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/295.

Tra fratello e sorella non vi furono più diverbi. Emilio — e cieco com’era non ne ebbe alcuna sorpresa, — sentì che la sorella lo sopportava, lo comprendeva meglio; anzi sentì che la novella benevolenza si estendeva persino al suo amore. Quando egli le parlava di questo, il volto di Amalia si rischiarava, luceva. Ella cercava di farlo parlare d’amore, e non gli diceva mai ch’egli si guardasse o che dovesse lasciare Angiolina. Perchè avrebbe dovuto lasciare Angiolina visto ch’ella era la felicità? Un giorno domandò di conoscerla, e più volte ne espresse poi il desiderio; ma Emilio si guardò bene dal compiacerla. Ella non sapeva di quella donna se non ch’era un essere molto differente da lei, più forte, più vitale, e ad Emilio piacque di aver creata nella sua mente un’Angiolina ben diversa dalla reale. Quando si trovava con la sorella, amava quell’immagine, l’abbelliva, vi aggiungeva tutte le qualità che gli sarebbe piaciuto di trovare in Angiolina, e quando capì che anche Amalia collaborava a quella costruzione artificiale, ne gioì vivamente.

Sentendo parlare di una donna che, per appartenere ad un uomo che amava, aveva vinti tutti gli ostacoli, pregiudizi di casta e d’interessi, ella disse in un orecchio ad Emilio: — Somiglia ad Angiolina.

— Oh, le somigliasse! — pensò Emilio mentre atteggiava la faccia a consenso. Poi si convinse che le somigliava di fatto o almeno, che, cresciuta in altro ambiente, le sarebbe somigliata, e finì col sorridere. Perchè avrebbe dovuto supporre che Angiolina si sarebbe lasciata fermare da pregiudizi? Attraverso al pensiero nobilitante di Amalia, il suo amore per Angiolina s’adornò in qualche momento di tutte le illusioni.

Invece quella donna che abbatteva tutti gli ostacoli somigliava ad Amalia stessa. Nelle sue mani lunghe e bianche essa sentiva una forza enorme, tale da spezzare le più forti catene. Nella sua vita non c’erano però catene; ella era del tutto libera, e nessuno le chiedeva nè risoluzione, nè forza, nè amore. Come avrebbe finito coll’espandersi quella grande forza chiusa in quel debole organismo?

Intanto il Balli centellinava il caffè, sdraiato nel vecchio seggiolone, in un grande benessere, ricordando che in quell’ora egli aveva avuta la mala abitudine di discutere con gli artisti al caffè. Come si stava meglio là, fra quelle persone miti che lo ammiravano e amavano!

Altrettanto disgraziato fu l’intervento del Balli fra i due amanti. Nella sua breve relazione con Angiolina, egli s’era conquistato il diritto di dirle un mondo d’insolenze ch’ella subiva sorridente, nient’affatto offesa. Dapprima s’era accontentato di dirgliele in toscano, aspirando e addolcendo, e a lei erano sembrate carezze; ma anche quando le capitarono addosso in buon triestino, dure e sboccate, ella non se ne adontò. Ella sentiva — anche Emilio lo sentiva — ch’erano dette senza fiele di sorta, un modo qualunque d’atteggiare la bocca, un’abitudine innocua di muoverla. E quest’era il peggio. Una sera, Emilio, non potendone più, pregò il Balli finalmente di non accompagnarsi a loro. — Soffro troppo di vederla vilipendere a quel modo.

— Davvero? — chiese il Balli facendo tanto d’occhi. Egli, come sempre dimentico, di nuovo aveva creduto di dover comportarsi così per curare Emilio. Si lasciò convincere e per qualche tempo non andò a turbare i loro amori. — Io non so comportarmi altrimenti con una donna simile. — Ma allora Emilio si vergognò e piuttosto che confessarsi tanto debole, si rassegnò a sopportare il contegno dell’amico.

— Vieni talvolta con Margherita.

La cosidetta cena dei vitelli si ripetè di frequente, negli episodi molto simile alla prima, Emilio condannato al silenzio, Margherita e Angiolina in ginocchio dinanzi al Balli.

Una sera però il Balli non gridò, non comandò, non si fece adorare e fu per la prima volta il compagno ch’Emilio avrebbe potuto sopportare. — Come devi sentirti amato da Margherita! — gli disse quest’ultimo al ritorno per dirgli qualche cosa di gradito. Le due donne camminavano a pochi passi da loro.

— Disgraziatamente — disse il Balli con pacatezza, — credo ch’ella ami anche molti altri come ama me. È un animo gentilissimo. — Emilio cadeva dalle nuvole. — Sta zitto adesso! — disse il Balli vedendo che le due donne s’erano fermate per attenderli.

Il giorno appresso, in un istante in cui Amalia aveva dovuto andare in cucina, il Balli raccontò che per un caso, l’errore di un fattorino, egli aveva scoperto che Margherita dava degli appuntamenti ad un altro — precisamente un artista — disse egli con rabbia. — Ciò mi rattristò profondamente. È un’infamia d’esser trattato così. Mi posi a fare delle indagini e quando credetti di aver scoperto il mio rivale, trovai che nel frattempo erano divenuti due. La cosa diventava molto più innocente. Allora per la prima volta mi degnai di fare delle indagini sulla famiglia di Margherita e trovai ch’era compostaFonte/commento: Pagina:Svevo - Senilità, 1927.djvu/295 della madre e di una caterva di sorelle giovanissime. Capisci? Ella deve provvedere all’educazione di tutte quelle ragazze. — Poi il Balli, con voce profonda dalla commozione, concluse: — Figurati che da me ella non ha voluto accettare un centesimo. Voglio che confessi, mi racconti tutto. La bacierò un’ultima volta, le dirò di non serbarle alcun rancore, e la lascerò conservando di essa il più dolce ricordo. — Poi, subito, fumando egli si rasserenò e quando Amalia rientrò, egli cantarellava a mezza voce:

Pria confessi il delitto e poscia muoia!

La stessa sera Emilio raccontò la storia di Margherita ad Angiolina. Ella ebbe un impeto di gioia che le fu impossibile di celare. Poi capì essa stessa che doveva farsi perdonare da Emilio un tale movimento. Ma fu difficile. Come era doloroso per lui di veder lo scultore conquistarsi giuocando e ridendo quello ch’egli non poteva ottenere a prezzo di tanti dolori!

Del resto egli passava allora un periodo di strana illusione con Angiolina. Un sogno, di quelli cui egli era tanto esposto in piena veglia, gli faceva credere d’essere stato lui il corruttore della fanciulla. Infatti, subito, le prime sere in cui l’aveva avvicinata, egli le aveva tenuti quei magnifici discorsi sulle donne oneste e sull’interesse. Egli non poteva sapere come ella fosse stata prima di venire alla sua scuola. Come non aveva capito che Angiolina onesta significava Angiolina sua? Ricominciò il sermone che aveva interrotto, ma su tutt’altro tono. Ben presto s’accorse che le teorie fredde e complesse non facevano per Angiolina. Lungamente pensò il metodo da seguire per rieducarla. Nel sogno egli l’accarezzava come se già l’avesse resa degna di lui. Tentò di fare altrettanto nella realtà. Infatti il miglior metodo doveva consistere nel farle sentire che dolcezza sia il rispetto per darle il desiderio di conquistarselo. Perciò egli si trovava allora eternamente in ginocchio dinanzi a lei proprio nella posizione in cui sarebbe stato più facilmente abbattuto il giorno in cui Angiolina avesse creduto opportuno di dargli un calcio.

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