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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847
SESTO, NUN FORMICÀ.1
“Ma ssenz’èsse però mmojj’e mmarito,
Er fà un omo e una donna quela cosa
Ch’io fo ’ggni notte co’ mmi’ mojje Rosa
4Nun è ssempre un peccato provibbito?„ —
“Io nun ve dico,„ repricò er romito,
Che sta corpa nun zii peccanimosa2
Ma cche la Cchiesa, ch’è mmadr’amorosa,
8Sa ddistingue er pancotto e er pan bullito.
Per esempio, si un omo bbattezzato
Viènghi preso in fregante3 co’ un’ebbrea,
11È ssubbito un peccato ariservato.
Ma ppe’ una donna poi s’arza la mano.4
Tutto ne viè5 ddar fijjo che sse crea:
14Ché cquella fa un giudìo, questa un cristiano.„
10 aprile 1846. |
- ↑ Sesto (precetto), non fornicare. [Come se derivasse da formica.]
- ↑ Peccaminosa. [Come se derivasse da anima.]
- ↑ In flagrante.
- ↑ Alzar la mano, vale “assolvere, usare indulgenza.„
- ↑ Tutto dipende.
Note
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