Questo testo è incompleto.
Settimo, seppellì li morti La porta dereto
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833

SETTIMO, NUN RUBBÀ

     Settimo nun rubbà.1 Cquesto è un proscetto2
Da ficcàsselo3 bbene in de la mente;
Epperò, Ggnazzio,4 nun rubbà mmai ggnente,
Quanno er bisoggno nun te scià5 ccostretto.

     E, a la peggio, abbi un po’ de ggiudizzietto
De nun fàttene6 accorge7 da la ggente;
Ché ar fin de fine er comparì innoscente
È ssempre mejjo assai der cavalletto.8

     La profession der ladro è bbella e bbona;
Ma ddar momento c’arincrebbe a Ddio
È ddiventata un’arte bbuggiarona.

     Pe’ cquesto dàmme9 retta, Ggnazzio mio:
Più ppresto10 c’arrubbà, scrocca, cojjona,11
Campa d’innustria, e ffa’ ccom’e Ddon Pio.


Roma, 20 ottobre 1833

  1. Il settimo precetto del Decalogo.
  2. Precetto.
  3. Ficcarselo.
  4. Ignazio.
  5. Ti ci ha: ti ci abbia.
  6. Di non fartene.
  7. Accorgere.
  8. Supplizio notissimo alle natiche romane e tedesche.
  9. Dàmmi.
  10. Piuttosto.
  11. Inganna.

Note

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.