< Storia di una capinera
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XXIX XXXI


27 Maggio.


Perchè tutti mi avete abbandonato, Marianna? anche mio padre! anche tu! Son qui, tutta sola, a soffrire, in questo vasto corridoio dove non c’è sorriso di sole nè di volti amorevoli; sono in uno stato da far compassione alle pietre. Morirò, Marianna mia; la tua povera amica morirà qui e non ti vedrà più... e non vedrà più suo padre!

Credevo di star meglio; avevo sperato di lasciare questo orrido asilo. Ho peggiorato, e nessuno mi dissimula più la gravità del mio stato.

Se dovessi morire, qui, sola!... La notte!... Com’è terribile la notte, Marianna!... Quelle lunghe ore non finiscono mai! Quel lumicino vacillante, quel crocifisso, quelle pitture tenebrose, quei lamenti soffocati, quel russare delle infermiere che dormono sulle poltrone. Ardo di sete e non oso disturbare le suore infermiere che brontolano, poverine, quando sono svegliate spesso. L’altra notte tentai strascinarmi sino al tavolino per estinguere quest’arsura che mi consuma le viscere. Mi pareva di smarrire la ragione per la gran sete; ma appena mi levai da letto caddi a terra svenuta, e mi feci una larga ferita al capo. Mi trovarono in un lago di sangue....

L’alba arriva scolorita, mesta, senza sorriso. La notte sopraggiunge piena di paure e di larve. Penso a mio padre, alla mia famigliuola, a tutte quelle cose che addolcirebbero anche le presenti sofferenze, e piango, piango, e il petto mi si rompe. Dio mio! se morissi?... se morissi qui?... senza veder mio padre?...

Dev’essere un gran brutto momento quello, Marianna! Ho paura a pensare che sarò sola, senza nessuno che mi conforti... Se potessi vedere mio padre almeno! Non ti pare una barbarie codesta di non farci vedere i nostri più cari almeno un’ultima volta in quel momento solenne? Il solo conforto che mi abbia è quello di scrivergli, come scrivo a te; ma quando non potrò più scrivere?... Se il mio babbo sapesse la centesima parte di quello che io soffro!

Quanto mi costa lo scriverti! Nei rari momenti in cui mi sento un po’ rianimata, mi sforzo a fare due o tre righi; mi pare di riattaccarmi alla vita, e ti assicuro che mi ci attacco disperatamente: ma la mano mi trema in modo che non saprei rileggere io stessa quello che ho scritto, ed ho la testa così debole che non so quello che mi dica. Ripiglio dieci volte la lettera per scriverti dieci versi. Quell’anima caritatevole di Filomena viene a vedermi tutti i giorni e mi reca le vostre notizie. Che Dio la benedica pel conforto che dà alla povera inferma! Non potrei mai dirti quanto sia prezioso per la desolata anima mia il più piccolo favore, il più lieve segno di simpatia.... Ho tanto bisogno di essere amata, di amare... di amare assai, poichè la vita mi sfugge!...



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