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Un fenomeno simile a quello descritto da Lucrezio nella formazione della terra e del cielo, avviene anche nella storia dell'incivilimento.
Vi sono nella congerie e nella massa della vita sociale alcuni elementi, alcune energie che s'innalzano dalla superficie, si librano sul pantano della esistenza ordinaria; s'individuano in certi organismi superiori, che sono l'effetto della elaborazione e della selezione della materia a traverso il tempo e lo spazio: organismi, che assommano e concentrano in sè le qualità migliori e più caratteristiche della specie, ed attirano perciò l'attenzione, il sospetto, l'odio e l'amore della moltitudine.
Questi organismi che sono come punti di projezione luminosa verso l'avvenire, formano la guida, la bussola, la forza vera ed operante della specie; la quale in tanto è perfettibile in quanto è capace di produrre, a via di scelta naturale e sociale, questi esseri destinati a infuturare e migliorare la razza.
La favola dell'Arca di Noè potrebbe simboleggiare questa eletta della specie umana, che la Natura vuol salvare dalla universale rovina, facendola sopravvivere ai deboli, ai disadatti, ai colpevoli.
La legge darwiniana della sopravvivenza dei più forti avrebbe anche qui una riconferma solenne. Se non che, il concetto della forza, in ciò che spetta alla razza, va, come tutti gli altri, modificandosi e trasformandosi; e quando diciamo i più forti uomini dell'avvenire, non intendiamo i più muscolosi, i più nerboruti, i più prepotenti, ma i più buoni, i più virtuosi, i più saggi; quelli insomma che avranno la forza di resistere al male, in modo da non intorbidire e contaminare le fonti del comune benessere; quelli che sapranno vivere e morire per la libertà, per l'eguaglianza, per la giustizia sociale.
Questa schiera sempre più numerosa, ch'è la parte più forte e più eletta della specie, non è ancora la schiera dei superuomini, ma è appunto quella che li presenta e li prepara.
Il superuomo verrà da essa, come dall'antropoide è venuto l'uomo.
Il presentimento ch'essa ha d'uno stato migliore della razza umana è qualcosa di simile, potrebbe anche essere un succedaneo, alla fede dei cristiani nel paradiso.
I pagani rilegavano nel passato l'età dell'oro: la storia del consorzio umano era da loro raffigurata nel colosso dall'aureo capo e dal piede d'argilla.
I loro desiderj, quelli almeno dei pensatori e dei poeti, erano sempre rivolti al passato: come gl'indovini di Dante aveano il volto dalla parte delle natiche; i loro pensieri facevano ritroso calle.
Tali perpetui laudatores temporis acti non potevano concepire la legge universale dell'evoluzione: la perfettibilità e il perfezionamento umano per loro non esisteva. La loro saggezza si compendiava nel carpe diem.
Non per nulla Orazio diventò il poeta più caro alla borghesaglia di tutti i tempi.
Il cristianesimo, fra tanti mali, ha questo gran merito d'avere rivolto il viso dell'uomo all'avvenire: al cielo, al paradiso, esso dice, ma non importa: il cielo degli uomini pensanti è quell'avvenire di verità, di giustizia, di libertà e d'amore, di cui essi hanno il vago ma non fallace presentimento.
Questo presentimento d'uno stato migliore in pochissimi individui d'una generazione diventa fede, idea fissa, ossessione.
Questi magnanimi pochi, i quali per la confessione, la propagazione e la rappresentazione di una tal fede, sagrificano i comodi, la pace e la vita stessa, sono coloro che vanno generalmente distinti col nome di genj: esseri intermedj fra l'uomo presente e l'uomo avvenire, ponti aerei gittati dalla Natura fra l'una e l'altra generazione, fra l'una specie e l'altra, forse fra l'una e l'altra sfera; anelli di congiunzione fra la realtà e il sogno, fra il presente e l'avvenire, fra l'uomo e il Dio.
Tra i vegetali, tra gli animali, fra le specie diverse vi sono questi esseri intermedj (la gradazione della specie è legge che non patisce eccezione di sorta alcuna); sono gli addentellati nell'immenso edificio dell'essere faticosamente inalzato dalle generazioni nell'infinito.
Le manifestazioni tutte della vita umana, specialmente le intellettuali e specialissimamente le artistiche, hanno tutte in genere questa tendenza: sono piante che tendono irresistibilmente in alto, alla luce, all'avvenire.
Le arti non sono che la rappresentazione di questa universale tendenza; la musica più di tutte.
Il genio non ha soltanto il presentimento, ma la visione lucida di questa tendenza.
Le qualità sovrumane ravvisate dal Bovio nei veri genj e così genialmente da lui descritte ed illuminate, si trovano quasi sempre congiunte alla infermità, alle stranezze, alle colpe osservate ed enumerate con tanta sapienza positiva dal genio di Cesare Lombroso: la sintesi del filosofo e l'analisi dello scienziato si compiono e ci danno la fisiologia e la patologia del genio.
Il quale non è propriamente una infermità nè un'anomalia, ma la sintesi ideale di un'età, il prodotto più delicato, più alto, più etereo in cui la Natura ha condensato le sue più spiritali energie, le qualità più belle, le fibre più squisite della materia.
La delicatezza e la fragilità stessa dell'organismo del genio, anzi che provare la degenerazione, prova l'elevazione più sublime delle forze naturali, come la finezza estrema di alcuni prodotti dell'industria umana è certa misura dell'altezza a cui questa sia pervenuta, e costituisce di quelli il pregio singolare e la eccellenza suprema, non ostante i pericoli a cui la stessa loro fragilità preziosa li espone ad ogni istante: il menomo urto può frantumare la sottile e quasi diafana argilla d'un vaso italo greco, il caolino più leggiero e più puro delle majoliche di Sèvres, il cristallo più aereo, animato dal soffio dell'industria di Murano.
La sensibilità delicatissima del genio lo espone a disinganni, a dolori, ad agitazioni e travagli ignoti alla placida folla degli uomini così detti normali; ma solo a tal patto la natura gli ha concesso il piacere più alto e più intenso che possa essere dato ad un essere umano: quello di rispecchiare in sè l'eterno divino; di accogliere nella mente, come in un prisma, i raggi luminosi della vita universale; di cogliere a volo i più lontani e reconditi rapporti fra le manifestazioni più varie dell'essere; di scoprire le verità più contese alla mente umana, di penetrare nelle trame più recondite della vita; di svegliare nelle anime affini gli echi sopiti di mille generazioni, di riprodurre ne' colori, nei concenti, nella parola le vibrazioni secrete e le armonie sublimi dell'universo.
Le infermità che lo accompagnano derivano in lui dalla razza, dal clima, dall'ambiente sociale, dall'esercizio straordinario degli organi del pensiero e del sentimento, e in parte anche per avventura da quella avara legge di compenso, onde la Natura accorda lo sviluppo straordinario di certe facoltà a scapito di certe altre, che rimangono imperfette e rudimentali.
L'opera del genio è personale ed originale per eccellenza.
Perchè un'opera sia tale, bisogna ch'essa, e per il concetto che l'informa e per la maniera, onde tal concetto si esprime, esca dalle vie comuni, ora annunziando verità nuove o guardando da un aspetto nuovo le già conosciute, ora rappresentando in maniera tutta sua le proprie e le altrui passioni, calpestando le regole fin allora credute sacre, e variando senza scrupoli quei termini entro a cui la critica officiale, cioè il pregiudizio scolastico imperante, pretendeva circoscrivere le manifestazioni dell'umano pensiero.
Originalità importa ribellione; e il genio è naturalmente ribelle.
Voi gli tessete intorno una rete vulcanica di precetti, di assiomi, di leggi; ma egli agevolmente la spezza o la sprezza, manda all'aria le forme sacramentali e i canali privilegiati in cui si vorrebbe gettar e far correre il pensiero creatore, e ne crea altre, che la critica nuova si scalmanerà di classificare, di ridurre alle vecchie misure legali per allogarle finalmente nei casellarj, nei musei e negl'ipogei della presuntuosa imbecillità.
Questa ribellione, che manda a gambe levate tanti bacalari autorevoli e bollati, che caccia dal tempio i mestieranti e i merciajuoli della scienza e dell'arte, che si ride di tanti stagionati pregiudizj, e la prima caratteristica di quelle opere geniali, che saran poi considerate e ammirate quali pietre miliari nella storia della civiltà.
E siccome nella ribellione e nella battaglia i colpi non vanno misurati a fil di ragione, il genio riesce quasi sempre eccessivo.
Al par nell'odio è nell'amor sublime come l'Achille cesarottiano.
Immaginate le grida e gli scandali dell'aurea mezzanità!
Altri gli si avventano ai polpacci, altri congiurano a perderlo; il volgo diffidente gli volta borbottando le spalle.
E biascicando un porcin verso di Flacco,
All'enorme busecchia allarga il cinto.
Ma che importa al genio della moltitudine, che dà e toglie il favore e la nominanza? Ad altro egli mira.
Il passato è il regno dei fossili; il presente è il dominio dei pieghevoli e dei galanti. Regnum meum non est de hoc mundo, egli può dire con Gesù; se non che il mondo suo non è il cielo, ma l'avvenire; non la beatitudine ma la battaglia; intuisce una verità e l'afferma a dispetto di tutte le forze congiurate a celarla e a sopprimerla; ha la visione chiara d'un Ideale di libertà, di giustizia, di bellezza, e vuol raggiungerlo ad ogni costo, vuol tradurlo ed effettuarlo nella realtà; non s'inchina a demiurghi, non crede inviolabile alcuna legge; gli ostacoli che gli oppongono la fede, la prepotenza, la critica non fanno che accrescere la sua brama e la sua forza: li affronta sorridendo con la non curanza di un dio; ed anche allora che più gli resistano, e già sembra che il suo vigore si franga in una lotta ineguale, anche quando soggiaccia alla loro resistenza brutale, la sua fronte s'illumina d'una soave speranza, perchè egli presente e prevede in quell'ora suprema il suo trionfo immancabile nell'avvenire.
Per questo diciamo che il genio è il precursore del superuomo, l'annunziatore e l'apostolo dell'Ideale.