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Atto Primo

Scena seconda
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Ippodamia, e Detti

 

Ippodamia

Incauta! e a’ suoi custodi il fanciulletto
Rapire osasti? e del furor d’Atreo
20Non temi tu? Qui di te vengo in traccia,
Qui a ritorti tuo figlio, ed altri atroci
Delitti risparmiare a questa reggia
Contaminata ahi! troppo.

Erope

A me dal seno
Strappar mio figlio! Oh! di Tïeste è figlio
25Questo e di Erope misera: non l’ira
Del re tremenda, non di morte l’aspra
Minaccia rapiran da disperata
Madre l’unico pegno.
Dopo breve silenzio, al Fanciulletto
Ah! vieni al fine:
D’Atreo dalle spietate man ti svelsi,
30Ma per morir; insiem scorrasi misto
Il sangue nostro: a tante stragi queste
S’aggiungan. Nero alto è delitto, il veggo;
Ma per noi necessario; ma dai numi
Decretato ed accetto. Io... la... tua... vita...
35All’ombre inferne con la mia consacro.
Impugnando un ferro per uccidere il Fanciulletto.

Ippodamia

(trattenendola)
Forsennata! a me il ferro...
Le strappa il ferro e lo ripone
Lutti, colpe
Non bastano oggimai? sazia non credi
Ancor l’ira del Ciel?

Erope

Sangue mi grida
Il mio rimorso, sangue; e da me il chiede
40Del padre mio l’ombra tradita. In questa
Reggia lo vidi agonizzar: qui ’l nome
Proferì di Tïeste, e i neri inganni
Svelò d’Atreo. – Son io men rea? Ti fui,
Padre, causa di mali, ed io fui mezzo
45D’iniquità: scritta è vendetta in cielo;
E il Ciel sazio non fia, s’io pria non pero.

Ippodamia

Qual da’ tuoi detti feroce traluce
Disperazion? Tal non ti vidi io mai.
Misera! e qual colpa n’hai tu? Rapita
50Del tuo Tïeste dalle braccia, e indotta
Dall’irritata ambizïon del padre
A’ voleri d’Atreo, non soffocasti
Sin da quel giorno astretta a dover sacro
Tue prime fiamme?

Erope

Ahi! di lusinga questi,
55Di pietà troppa accenti son. Non vedi
A te dinanzi di Tïeste un figlio,
Figlio di me, sposa ad Atreo? – Me lassa! –
È ver, dal dì che Atreo ruppe que’ nodi,
Ond’ei mi strinse con Tïeste, e truce
60All’amor mio rapimmi, e l’infelice
Fratel dannò ’n Micene, onde träesse
Oscuri giorni abbandonato e solo,
È ver, di morte affanni, iniqui e incerti
Serrai contrasti nel mio sen: ma tutta
65Ubbidïenza al sire, amore, e fede
Apparire tentai. – Che pro? più ardea
Di me Tïeste: di Micene sua
Tu il sai, lasciò l’esiglio: ansio, furente
Un giorno, innanzi ch’io giurassi all’ara
70Qui...

Ippodamia

Istoria triste a che rinnovi? Solo
Quell’istante per lui, per te fatale
Per sempre ci fu: dalla gelosa possa
Del re fugato, d’ogni bene in bando
75Vive. Fu il reo Tïeste; e pena ahi! troppa
Sottentrò al suo delitto.

Erope

Al suo!

Ippodamia

Delitto
N’hai forse tu? Tuo vano schermo apponsi
A colpa?

Erope

Al suo delitto! Error comune
80Comun chiede gastigo: a lui più ch’altro,
Ferro oppor io dovea: non debil mano
Di debil donna. – E ben: io lo mertai
Il supplizio, a cui corro, e ’l Ciel lo vuole;

Ippodamia

Ma il figlio tuo? ma un innocente? Oh numi!
85Qual è il delitto suo?

Erope

Di colpa è questo
Frutto esecrando, e di colpa è rampogna.
Ma oimè! non tu, figlio, sol io
La cagione, io ne son... Pure morrommi;
E in mezzo al duol te lascerò? Tu vivi,
90E ti segue ognor morte: Atreo non spira,
Che per sfamar sua rabbia in te: nel scorno
Benchè tu nato, mi sei figlio, e merti
Quella pietà che per me cerco. Invano
E doni e pianti avrò d’aspri custodi
95A’ piedi sparso? – No, s’io ti dischiusi
Dalla ferrea prigion, per morir teco
Ti schiusi; per morir...

Ippodamia

A che tant’ira?
Qual n’hai ragion? D’Atreo, gli è ver, tu soffri
Dispregio sì, ma non a tal, che tanto
100Ti spiri eccesso.

Erope

Ippodamìa, nell’alma
Udisti mai rimorsi? Empia, abborrita
Passion t’agitò mai? Di madre i palpiti
Troppo presaghi, che mio figlio un giorno
Vedrommi a’ piedi strazïar, e senza
105Poter prestargli aïta? Ah! tu mal provi
Quanto mi lania e mi dispera. Oh truce
Pena del mio misfatto! Orror succede
A orror: veggo Tïeste egro rammingo
Per le terre non sue, squallido, solo
110Gir strascinando una vita languente,
De’ suoi rimorsi preda: ora l’ascolto
Gemebondo invocar Cocito, e ’l giorno
Maladir che mi vide: or mi s’affaccia
Ombra di morte, e con le mani scarne,
115Colle livide braccia il crine, il petto
Afferrami, distrignemi, e mi grida
All’Averno, all’Averno. – Ah! sì, ti sieguo,
Ombra amata...

Ippodamia

Che di’? come! tu l’ami
Ancor?

Erope

120Io l’amo?... Io lui?... No: quando amai,
Sposa non era al re. Misera! Tace
Ogni dover, se si rïalza amore
Dentro ’l mio petto. – Or ben; odilo: l’amo;
Sì, l’amo; ah non l’amassi, o almen cotanto
125Non l’abborrissi! chè s’io lo rammento,
L’odio d’Atreo spaventami. Lo scaccio
Da’ miei pensieri; ei la cagion di tutti
I miei disastri, ei fu: ei mi sorprese;
Ei vïolò di suo fratello il sacro
130Talamo nuzïale... Ah! tutto, tutto
Io mi rimembro invano, e invan lo scaccio;
Ch’ei qual despota torna, e a’ primi ardori,
E ad altre colpe mi sospinge, ed io
Fra gli attentati ondeggio e fra i rimorsi.

Ippodamia

135Quanta mi fai pietà! Pur tu dovresti
Pietosa esser con me: poichè di grandi
Dolor causa mi fosti, e ancor lo sei,
E d’esserlo pur brami? Ancor soppresso,
Ancor non hai quell’ardore esecrando,
140Alta cagion di rancor, di vergogna?
Per te passo miei dì penosi, in grembo
A’ sospetti ed affanni.

Erope

Odiami: degna
Sono dell’odio tuo: bersaglio femmi
De’ suoi colpi il destino; odiami: io vivo
145Per più penar; eseguirai mio fato. –
Ma omai viver non posso: i numi, i numi
Col cenno lor mi spingono a’ misfatti.
Odi, e poi danna i miei trasporti crudi.
Mentre all’orror di notte ululi, gemiti,
150E pianti diffondea su le passate
Sventure, su mio figlio, e su... Tïeste,
Ecco m’odo tuonar d’alto spavento
Voce, e di pianto intorno. A che ti stai?
Grida: s’appressa l’ora, e ’l figlio tuo
155Pasto sarà de’ padri suoi. M’arretro:
T’arma, ferisci, vittima innocente
Fia cara al Cielo; schiverà delitti. –
E voce fu d’un dio: l’udii pur ora
Nella gemente stanza rimbombar.

Ippodamia

160D’accesa fantasia, figlia, son vote
Larve, che a’ sensi tuoi tuo duol presenta
Ad angoscia maggior. Ma, e tu lor badi?
Sta in te, le scaccia.

Erope

Oh! mal t’apponi. E come
Che le scacci vuoi tu? Co’ miei rimorsi
165Deggion esse svanir; co’ miei rimorsi
Mi seguiran perfino entro il sepolcro. –
Pace una volta, pace. – Io non lo merto
Perdon, nè il chieggo: ma perchè d’Atreo
Non scoppia il sanguinoso rancor cupo
170A giusta pena? A che mi serba? – Ahi! forse
All’inteso presagio.

Ippodamia

E che? d’Atreo
Qual mai tema n’hai più?

Erope

Non è ancor caldo
Il ferro, ond’ei sotto amistà mi spense
Il genitor? non odi aspre parole
175Di menzogna e rimbrotto? irati sguardi
Non vedi in fiel cospersi?... Obbrobrïoso
Ripudio?... atre rattenute minacce?...
Il suo cor?... tutto, tutto?

Ippodamia

I tuoi timori
Fanti veder più che non è. Ma, il credi,
180Altri oggimai pensier...

Erope

E quai pensieri,
Tranne quei di vendetta? Io non mi lagno
Di sue rampogne; giuste son, le fuggo,
Ed a tacite lagrime le sconto.
Ma a che di questo misero, di questo
185Innocente fanciul, figlio, che un giorno
Odierà i suoi natali, i giorni in fosca
Prigion rinserra? A che mai farne? Il credi:
Ippodamìa, fuor che di sangue, Atreo
Altro non ha pensier.

Ippodamia

Madre gli sono,
190Nè vuoi ch’io lo conosca? A fondo io leggo,
Erope, nel suo cor. T’accerta, ad altro,
Che a nuovi eccessi, ci pensa. Il pargoletto
Troppo rileva custodire: ei l’ama,
Chè di Pelope in lui pur scorre il sangue.
195Discaccia alfine i tuoi sospetti, e, il credi:
Pur ei saggio previde. In Argo è sparsa
Fama, che di Tïeste...

Erope

E dove mai
Non s’udì il mio delitto?

Ippodamia

Or statti, e m’odi.
Temer del vulgo i detti a un re conviensi,
200E cercar di sopirli. Egli l’oggetto
Al vulgo cela, onde copra silenzio
Lo scorno de’ Pelopidi, ed il tempo
Ogni memoria ne cancelli. Intanto
Questo fanciullo al carcere si renda,
205Onde d’Atreo l’ancor piaga stillante
Non s’inacerbi, e non inferocisca
Contro Tïeste, e contro noi.

Erope

Ben parli.
Ma tu, qual io, sei madre?

Ippodamia

Oh che di’ mai?
Non son io madre? e madre sommi, e sono
210Preda anch’io di sventura: io vissi, e, lassa!
Ahi! troppo vissi, se veder dovea
Morti nefande, ed odj ed ire e guerre
Nella casa paterna. Io di Enomao
Prole infelice, a Pelope consorte,
215Io madre, e madre di discordi figli,
Cui di rabbia nefaria impeto tragge
A sbranarsi fra lor, io sventurata,
Qual te, non sono? E soffrirò che sparso
D’innocente nipote il sangue sia?
220No, tel giuro, non mai: per questo petto
Pria de’ il brando passar: vivrà tuo figlio,
Sgombra il timor, vivrà. Deh! a me l’affida;
Tutta la cura a me ne lascia.

Erope

– Or prendi.
Ma... oh dio!... deh... deh mi lascia... Almeno,
o madre,
225Seco lui fuggirò... Romita, ancella,
Purchè sia con mio figlio... Ah lascia. – E dove?
Dove tu il condurresti!... Atreo!... di troppo
Ti fidi tu... No, no... lungi da questa
Reggia di sangue io me n’andrò ... Ma il figlio,
230Il figlio meco, e poi morir. – Sì ... morte
Quanto più cara assai!... morte; sì, morte,
S’abbandona disperata sopra il Fanciulletto.

Ippodamia

Scena di lutto! Oh! figlia, Erope, al fine
Calmati; attendi del tuo fato i cenni:
Tal si de’ a’ sventurati.

Erope

I cenni e ’l fato
235Sono di morte, e morte voglio.

Ippodamia

Indarno
Dunque fia ch’io ti prieghi! Il figlio tuo
L’avrai, ti rassicura: ah! soffri ancora
Per poco; il rendi a’ suoi custodi; Atreo
Mal soffrirebbe che degli ordin suoi
240Si vïolasse il menomo: di lui
A’ piè mi prostrerò; bagnar di pianti
Mi vedrai le sue man; preci, scongiuri
Per te non fia ch’io mai risparmi; il sire
Si piegherà, lo spero; il figlio allora
245Renderatti spontaneo. – E, chi sa!... forse,
Chi sa! umano ha core; a lui ti mostra
Più sommessa, men trista; i dì tranquilli
Rendratti forse dopo dolor tanto. –

Erope

Sì, l’abbandono a te:
abbandona il Fanciulletto a Ippodamìa
d’altri delitti,
250Se fieno i suoi ed i miei dì cagione,
Colpa non io n’avrò, ma tu: lo grido,
E lo protesto a’ numi.
Parte.

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