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Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
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L’Iddio che sempre è, cosí ragionò in cuor suo dell’Iddio che avea a essere quandochessia; e fe’ un corpo liscio, tutto a una forma, con il mezzo suo rimoto ugualmente dagli estremi, intero e compiuto, e composto simigliantemente di corpi compiuti. E l’anima, messola nel mezzo, distese per tutte le parti di quello e con essa involselo di fuori tutto d’intorno: e cosí fatto è un solo cielo, solitario, per la virtú sua contento di abitare seco medesimo, di niuno altro non bisognoso, e di sé medesimo conoscitore e amatore assai; e però fatto è Iddio beato. L’anima, non cosí come ne prendiamo noi a favellare dopo il corpo, Iddio la fe’ anco piú giovine; perocché egli che li disposò tutt’e due, mai non avrebbe lasciato che il piú giovine governasse il piú vecchio. Ma da poi che molto noi siamo alla balía del caso, cosí parliamo anco un po’ a caso alcune volte. Ma l’anima è prima per nascimento e gentilezza, e piú antica del corpo, siccome quella che avea a donneggiare, e il corpo a ubbidire: e Iddio la fe’ di questi principii, in questa forma.
Della indivisibile essenza, la quale è medesima eternalmente, e di quella la quale nei corpi generasi di visibile, egli contemperò una terza specie di essenza, la quale sta nel mezzo di quelle due, partecipe della natura del medesimo e di quella dell’ altro; e nel mezzo di quelle due sí la pose. E, pigliate che ebbele tutt’e tre, le meschiò in una specie; contemperando per forza la natura dell’ altro, indocile a meschianza, con quella del medesimo. E, meschiato queste due nature[1] con la essenza (cioè con la natura che media è fra quelle); e di tre fattone una, tutto questo egli divise novamente in tante parti, quante si convenne; sí che ciascuna fosse temperata della natura del medesimo, di quella dell’ altro, e di quella essenza che è nel mezzo. Ed egli cosí cominciò a spartire. Del tutto prima toglie una parte; poi un’altra, ch’era due cotanti di quella; e poi la terza, la quale era una volta e mezzo la seconda, e tre la prima; e poi la quarta, ch’era due cotanti della seconda; e poi la quinta, ch’era tre cotanti della terza; e poi la sesta, la quale era la prima otto volte; e la settima poi, la quale era la prima ventisette volte. Dopo ciò riempie gl’intervalli doppi e tripli (delle due sequenze di numeri che vennero dalla detta divisione, le quali hanno a ragione loro, l’una il due, e l’altra il tre), avendo ancora di là riciso altre parti, e postole in questi intervalli; facendo sí che fossero in ciascuno intervallo due medii, e l’uno avanzasse un estremo e avanzato fosse dall’altro di una medesima parte di ciascuno di quelli; e l’altro che tanto in numero avanzasse un estremo, quanto egli dall’altro estremo fosse avanzato. E messo ne’ detti intervalli questi medii, e nati nuovi intervalli, cioè d’uno e un mezzo, d’uno e un terzo e d’uno e un ottavo, egli riempie con l’intervallo d’uno e un ottavo gli intervalli d’uno e un terzo, lasciando parte di ciascuno di essi; e l’intervallo di cotesta parte lasciata era siffatto, che come dugencinquantasei e dugenquarantatré, cosí i termini suoi eran tra loro. Per sí fatto modo Iddio ebbe consumato tutta quella meschianza, della quale levata avea le parti sopraddette. Ora egli scisso in due, per lo lungo, cotesta composizione e adattato l’una parte in su l’altra in sul mezzo loro, a figura della lettera Chi, ciascheduna di quelle per tale modo curvò in cerchio, che i capi dell’una parte si toccassero tra loro e con i capi dell’altra, a dirimpetto alla commessura; e con un movimento le involse, il quale ruota nel medesimo spazio e nella medesima forma. E fe’ sí che uno dei cerchi fosse di fuori, l’altro di dentro: e addimanda movimento della natura del medesimo, il movimento del cerchio il quale è di fuori; e della natura dell’ altro, quello del cerchio il quale è di dentro. E fe’ che il cerchio della natura del medesimo si rigirasse a diritta e di costa; e quello dell’ altro a sinistra, secondo diagonale. Nientedimeno la signoria concedette al rivolgimento del medesimo e simile, lasciandolo intero; per lo contrario, spartito sei volte il rivolgimento di dentro, ei ne fe’ sette cerchi diseguali, di due specie, e ciascheduna con tre intervalli; e hanno gl’intervalli dell’una specie il due a ragione loro, e quei dell’altra, il tre; e ordinò che i cerchi andassero con moto contrario, tre simigliantemente veloci, e quattro dissimigliantemente e inverso ai tre e fra loro, ma tutti commisuratamente.
Note
- ↑ Cioè, quella dell’ altro, e quella del medesimo; quella dov’è piú variabilità, e quella dov’è piú invariabilità.