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CAPITOLO VI.
Tre giorni dopo l’annuncio pubblicato sui giornali — annuncio che aveva prodotta una immensa curiosità fra tutti gli abitanti delle principali città canadesi — un giovanotto di ventidue o ventitrè anni, biondo, roseo, con due baffetti appena nascenti, ben piantato, e che indossava un costume da ciclista che lasciava vedere la salda muscolatura di un buon paio di gambe, quantunque fossero piuttosto lunghe, si presentava alla porta della palazzina di Gastone di Montcalm, chiedendo di parlare al proprietario.
Quel giovanotto era lo stesso che aveva assistito alla partita di boxe nella pista di Kingston e che per avere delle informazioni sui due rivali, si era permesso il lusso di cambiare la sua ultima sterlina per offrire al cicerone americano un coktail.
Il portinaio, un vecchio canadese di forme erculee, un discendente certamente del vecchio paese, come chiamano laggiù la Francia sempre rimpianta, malgrado la sconfinata libertà ed i grandi privilegi accordati a quei coloni dall’Inghilterra, dopo averlo attentamente squadrato, lo introdusse in un piccolo studio, semplicemente ammobiliato, dove il signor di Montcalm stava in quel momento esaminando con grande attenzione parecchi disegni.
— Chi siete e che cosa volete? — gli chiese senza preamboli il canadese, dopo d’aver risposto al saluto toccandosi lievemente la visiera del berretto da automobilista. — Spicciatevi, perchè veramente ho fretta.
— Ho letto l’annuncio da voi fatto pubblicare sui giornali della città, — rispose il giovanotto.
— Ah!... Benissimo, — disse il signor di Montcalm, facendogli cenno di sedere ed osservandolo con vivo interesse. — Voi vorreste venire con me al Polo nord.
Siete inglese, se non m’inganno.
— Sì, gentleman.
— Qual’è il vostro mestiere?
— Non ne ho alcuno, signore, — rispose candidamente il giovanotto, poichè ho lasciato l’Università di Cambridge solamente tre mesi or sono e senza avere ottenuto nessuna laurea per colpa dello sport.
— Dello sport? Spiegatevi meglio signor....
— Walter Graham.
— Siete ben piantato, giovanotto mio, e confesso che mi interessate. Dunque avete detto che lo sport....
— Mi ha rovinato, signor di Montcalm. Che cosa volete? Si studia ora poco nelle Università di Cambridge e di Oxford, e tutto per colpa dello sport, il quale minaccia seriamente di soppiantare i libri e di mandare all’aria il pane della scienza.
— Che cosa s’insegnano di più in quelle due celebri Università, dunque?
— A coprire il più presto possibile la corsa delle cento yarde, del mezzo miglio, del miglio e delle tre miglia; che io ho battute, unico fra tutti, in 54 minuti e 53 secondi al Queen’s Club, nella classica pista di Baron’s Court, che si trova all’ovest di Londra, alla presenza di cinquantamila persone fra ladies e gentlemen, strappando la vittoria al campione di Oxford. Assistevano perfino il principino Alberto di Galles, il vescovo, e perfino S. A. Jam Sahib di Nawanagar, il più popolare ed il più noto dei principi indiani spodestati.
— Ah!... — fece il signor di Montcalm, ridendo. — E poi si insegna altro di meglio in quelle Università?
— La corsa agli ostacoli, il salto in altezza, il lancio del peso.... Diamine!... Bisogna ben dimostrare che i matricolini di Cambridge valgono quanto e forse meglio di quelli di Oxford.
— Chi ha vinto dunque quest’anno? Oxford o Cambridge?
— Cambridge, signor di Montcalm, poichè c’ero io, proclamato primo campione in tutti gli esercizi.
— Ed ultimo come studio.
— Ohimè, purtroppo. Lo sport ha ammazzato i miei libri. —
Il canadese non potè frenare uno scoppio di risa.
— Consolatevi, mister Walter Graham, perchè se voi vi foste invece presentato a me con una laurea d’ingegnere, d’avvocato o di dottore, vi avrei subito risposto che per quelle persone non c’era posto al Polo.
— Ah!... Signore!... — esclamò l’inglese, col viso raggiante.
— Adagio, mio caro giovanotto, disse il canadese, il quale non si stancava d’ammirare la solida muscolatura dello studente bocciato, — ditemi innanzi tutto che cosa siete venuto a cercare in America.
— La fortuna, signor di Montcalm. Avevo intenzione di arruolarmi fra i cacciatori della Compagnia della baia di Hudson.
— Ma quella compagnia recluta solo dei tiratori.
— Io spengo una candela a duecento passi, con un colpo di mauser.
— Scherzate?
— No, signor di Montcalm. Non temo nessun tiratore, io. Quando vorrete ve ne darò una prova.
— Avete fatto colazione?
Il giovane inglese arrossì fino al bianco degli occhi, poi dopo una breve esitazione, disse:
— No, signor di Montcalm, poichè il mio albergatore, dopo che ho spesa la mia ultima sterlina, non mi vuol più fare credito.
È già molto se mi lascia ancora dormire sotto il suo tetto. D’altronde la povertà non è un delitto.
— La vostra franchezza mi piace, signor Graham, disse il canadese, ridendo. — Vi darò più tardi tanto da saldare esuberantemente i vostri piccoli debiti, poichè fin d’ora vi considero come mio compagno nella mia corsa verso il Polo.
— Ah!... Signore!... — esclamò lo studente bocciato, alzando le braccia.
— Mi piacete e vi arruolo a tamburo battente a cento dollari al mese, con di più di un premio di altri cento ogni grado guadagnato oltre l’ottantesimo parallelo. Vi conviene?
— Mi offrite una fortuna.
— Modestissima, giovanotto, ma che io raddoppierò se avremo la fortuna di raggiungere il Polo nord.
— Ne dubitereste, signor di Montcalm?
— Eh, chi lo sa! Simili spedizioni hanno costato centinaia e centinaia di vittime umane.
— Sulle navi però, non coll’automobile. —
Il canadese guardò sorridendo l’energico poco studioso dell’Università di Cambridge.
— Avete tanta fiducia, voi?
— Sì, signor di Montcalm, e se vi occorrerà una vita umana per rapire i begli occhi di miss Perkins, prendetevi pure la mia, pur di battere quell’animale di yankee. —
Una nube passò sulla fronte del canadese.
— Ah!... Voi sapete.... — disse.
— Eh!... Chi non lo sa che voi lottate per conquistare quell’indiavolata ragazza?
— Indiavolata!... Avete ragione, è il suo vero nome. Amereste voi, Walter, una simile donna? Ditemelo francamente. —
Il giovane inglese arrossì come una fanciulla, poi scuotendo il capo e lisciandosi con un certo sussiego i suoi baffettini biondi appena nascenti, disse:
— Io, come inglese, no!...
— Forse.... avete ragione, — rispose il canadese, corrugando la fronte. — Queste americane.... —
Si arrestò di colpo, udendo squillare il campanello.
— Ci deve essere qualcun altro che desidera di venire al Polo a gelare con me, — disse poi.
Lo studente bocciato era diventato pallidissimo ed aveva guardato il canadese con estrema ansietà.
— Rassicuratevi, — disse il canadese, a cui nulla era sfuggito. — Si presentassero anche James Ross, il famoso navigatore dei mari antartici, o Mac-Clure, il più ardito, per mio conto, dei navigatori artici, od anche l’ammiraglio Franklin in persona, morti purtroppo da tanti anni, non li accetterei dopo di voi. Potete quindi essere assolutamente tranquillo, giovanotto, perchè io conto.... —
In quel momento il gigantesco portiere comparve, dicendo:
— Padrone, vi è un uomo che ha in mano un giornale, e che desidera parlarvi.
— Introducilo, Perrot. È un altro che vuole andare lontano in mia compagnia.
Vedremo. —
Un istante dopo un uomo sui trent’anni, bruno quasi come un portoghese od uno spagnuolo, con un occhio chiuso ed una rada barbetta nerissima, entrava nel gabinetto del canadese.
Indossava un costume da chaffeur piuttosto malandato e teneva in mano un giornale.
— Il signor Gastone di Montcalm? — chiese, facendo un goffo inchino.
— Sono io, — rispose il canadese, alzandosi. — Indovino già lo scopo della vostra visita.
Voi volete andare al Polo, è vero?
— Sì, signore, se voi mi ci condurrete.
— La vostra professione?
— Una volta ero marinaio, poi sono diventato chaffeur. Si cambia sovente professione pur di migliorare e guadagnarsi meglio l’esistenza.
Credo d’altronde di fare per voi, avendo guidato l’automobile di lord Hammer attraverso l’Alaska fino alla baia di Kotzebue.
— Sicchè avete molta conoscenza colle nevi e coi ghiacci.
— Sì, signore.
— Avete dei documenti che comprovino quanto asserite?
— Sì, signore.
— Sareste capace di aggiustare una macchina anche in mezzo ai ghiacci polari?
— Sono stato baleniere, signore, e del freddo e delle bufere di neve me ne rido, — rispose l’ex-marinaio.
— Sicchè voi vi impegnate di condurmi al Polo?
— Farò il possibile.
— Diecimila dollari di premio vi basterebbero?
— Per tale somma passerei sul corpo di tutti gli orsi bianchi del Polo, — rispose lo chaffeur, mentre il suo unico occhio si accendeva d’una luce intensa.
Il signor di Montcalm si era alzato. Accese un sigaro, poi disse:
— Ebbene, seguitemi nel mio garage. La mia macchina è già quasi pronta e fra qualche giorno noi potremo slanciarci alla conquista del Polo nord.
Ah! Come vi chiamate?
— Dik Mac Leod.
— Scozzese?
— Mio padre lo era.
— Venite, Dik: vi faro vedere la mia macchina. —
Uscirono dal gabinetto, attraversarono un piccolo giardino che si stendeva dietro la palazzina ed entrarono sotto una vasta tettoia chiusa da invetriate, dove cinque o sei uomini stavano lavorando assiduamente intorno ad un’automobile che aveva dietro di sè una specie di carrozzone tutto coperto, poco dissimile da quelli che usano i saltimbanchi ambulanti.
— Ecco il mio treno, — disse il canadese, facendo segno agli operai di sospendere il lavoro. — È una Thomas di sessanta cavalli, modificata secondo i piani d’un ingegnere meccanico mio amico, e che credo ci porterà direttamente al Polo senza troppi fastidi.
Osservatela bene Dik, giacchè sarete voi che dovrete condurla.
Come vedete abbiamo delle pneumatiche di ricambio, dentellate con punte d’acciaio, perchè possano mordere i ghiacci quando noi ne avremo bisogno, ed una riserva di benzina notevolissima, accumulata sotto la prima vettura e divisa in casse assolutamente impermeabili.
Noi però non dovremo contare che sul carrozzone, il quale diventerà la nostra casa. Avremo dei comodi letti, una buona stufa che brucerà essenze minerali per poter resistere ai grandi freddi; viveri per tre mesi; vesti di ricambio; una piccola armeria più che sufficiente per noi; una minuscola biblioteca per non annoiarci troppo, una farmacia.
Guardate ora lassù, sul tetto della vettura: vi è un battello di pelle di foca, poco dissimile dei kayak esquimesi, ma capace di portare tre uomini invece d’uno.
Io credo di aver pensato a tutto, però sono pronto a portare delle modificazioni al mio treno se avete qualche cosa da dire.
— Signor di Montcalm, — disse lo studente bocciato, il quale girava e rigirava intorno all’automobile ed alla vettura di rimorchio. — Io credo che non vi sia più nulla da aggiungere. Il vostro rivale, quel bisonte americano, non avrà certo un simile treno.
— Che cosa dite voi, Dik? — chiese il canadese al meccanico il quale, da uomo pratico, esaminava attentamente il motore.
— Questa macchina è meravigliosa, — rispose il guercio. — Non ne avevo mai visto prima di simili. Quali straordinarie modificazioni! Non sono ancora i quattro cilindri fusi in blocco, coi movimenti a sfere, che gl’ingegneri cercano da tanto tempo, ma questa, signore, vi assicuro che è una macchina superba.
— Ho dovuto modificarla sui disegni d’un mio amico ingegnere che si occupa molto di automobili. Noi non possiamo contare sulle più o meno comode strade che attraversano il Canadà, quindi ho dovuto modificare assai il mio treno perchè possa resistere alla lunghissima corsa attraverso i ghiacci del Polo.
Come vedete il motore è semplice, solido, e nel medesimo tempo leggiero, poichè una macchina pesante non avrebbe risposto allo scopo che è quello di riunire il maximum della forza col minimum del peso, ed il massimo rendimento col minimo consumo di combustibile.
Lo chassis e di una solidità straordinaria, con balestre rinforzate per quanto fu possibile, per resistere alle più forti scosse che certamente dovremo subire nei salti attraverso gli hummoh che incontreremo in gran numero sugli sconfinati paks.
Guardate qui, Dik. Come voi sapete, il radiatore che è il congegno più delicato, che rappresenta nella macchina quello che nell’uomo e la circolazione del sangue, è stato sospeso mediante il sistema a sospensione a molle Migevet, in modo che l’urto improvviso giungerà al delicato istrumento doppiamente ammortito.
Ma poichè spesso gli urti non giungono solo alle ruote, in paesi ove le strade sono affatto sconosciute, a proteggere il motore è stato disposto un carter d’acciaio che lo riparerà completamente dalle punte dei ghiacci e dagli ostacoli imprevisti.
Il sistema di accensione è il magnete a bassa tensione, secondo il nuovo sistema Bosch il migliore che esista per mio conto.
Vi è inoltre un dispositivo speciale pel riscaldamento dell’olio prima della partenza della macchina.
— Meraviglioso, — mormorò il meccanico. — Ecco ciò che si può chiamare una macchina perfetta.
E pel congelamento dell’acqua avete pensato, signore? Capirete che dovremo affrontare delle temperature spaventevoli.
— Naturalmente, ed è per questo che ho pensato, o meglio che il mio amico ingegnere ha pensato di sostituirla con un miscuglio formato di una metà d’acqua ed una di acquavite di grano, miscuglio che non potrà gelare nemmeno a 60° sotto lo zero.
— Benissimo, signore.
— E le ruote?
— Sono delle pneumatiche coperte completamente di pelle, per evitare che le basse temperature del Polo possano guastare le gomme.
Adopreremo prima quelle liscie, poichè finora sono state quelle che hanno fatto la miglior prova sulle superficie gelate; più tardi vedremo che cosa sapranno fare quelle dentellate.
Negli sgeli ci saranno forse più utili.
Guardate ora lo chassis. Corto, quadrato, solidissimo, molto più rialzato degli altri per evitare maggiormente gli affondamenti nella neve, aperto sul dinanzi e, come ben vedete, fornito d’una grossa capote di cuoio che può coprirlo interamente.
Per proteggervi meglio, ho fatto collocare dinanzi al volante uno scudo di metallo rivestito di cuoio che vi riparerà perfettamente il petto e le gambe ed un tubo che vi porterà l’aria calda nella ridotta, ottenuta semplicemente coi prodotti dello scappamento.
— E la benzina?
— Si trova sotto la seconda vettura, rinchiusa in serbatoi di quattrocento litri ognuno, sufficienti quindi per tremila miglia e divisi in latte di venti litri ciascuna.
— Basterà per giungere lassù? È un po’ lontano il Polo. —
Il canadese sorrise.
— Ho pensato al pericolo di dover rimanere senza combustibile.
Guardate, sotto la seconda vettura, abbastanza lontana dal deposito di benzina, ho fatto collocare una piccola macchina che noi potremo alimentare con canape inzuppata d’olio di foca, con grasso d’orso e magari di balena.
Non otterremo certo una notevole velocità, ma quella macchinetta ci eviterà delle panne inguaribili in una regione dove non troveremo delle drogherie aperte per venderci il combustibile che ci è necessario.
— Meraviglioso!... — mormorò per la seconda volta l’ex-marinaio. — Con simile treno si può andare anche in capo al mondo. E l’illuminazione?
— Ho pensato anche a quella. Noi porteremo una riserva di carburo abbastanza considerevole che ci servirà per alimentare due magnifici fanali a vetri sostituibili. Quando non ne avremo più, arderemo dell’olio di foca o di morsa e vedrete che mediante un sistema ottico speciale avremo luce finchè vorremo.
— Che preparazione splendida!... — esclamò lo studente bocciato. — Quel bisonte americano non avrà di certo un simile treno.
— Lo credo anch’io, — rispose il canadese.
— Non avete saputo più nulla di lui?
— Assolutamente no.
— Che sia già partito?
— È impossibile. E poi un americano non parte senza farsi fare della réclame, e finora i giornali non hanno scritto una riga.
Venite a visitare la nostra casa, poichè la vettura di rimorchio diventerà la nostra abitazione, quando i grandi freddi ci piomberanno addosso.
Guardate, è tutta foderata di hickory, tutto è legato di chatterstone, poichè colle basse temperature non è prudente fidarsi del metallo.
Ecco i nostri letti, ecco la nostra cucina, la nostra stufa, e queste ruote? Toccatele!... Non sono mica delle semplici pneumatiche, sono delle Ducasble che non si possono rompere e ne ho altre due di ricambio. Potrei percorrere, con tutta sicurezza, venticinquemila chilometri.
E poi guardate questi predellini. Vi sembrano ben larghi ma questi nascondono dei segreti. Quando correremo sulle nevi sorreggeranno meravigliosamente la nostra casa e le impediranno di affondare.
E guardate sotto che cosa nascondono: delle scatole d’acciaio che contengono incudini, lime, utensili d’ogni genere, i pezzi di ricambio, tutti bene avvolti e classificati.
Che cosa vorreste di più? Io sono convinto di poter raggiungere il Polo.
— Ed io più di voi, signor di Montcalm, — disse lo studente bocciato.
— E voi, Dik?
Il meccanico lo guardo col suo unico occhio, poi disse:
— Io spero di farvi salire perfino sulle cime degli ice-bergs con una simile macchina, signore. Vi assicuro che faremo una bella corsa.
— Toccheremo la Groenlandia, signore? — chiese Walter.
— Sì, ma molto tardi, poichè io conto di passare a ponente dell’immensa baia di Hudson, anche perchè mi hanno riferito, per caso, che il mio rivale passerà invece lungo le rive di levante.
Risparmierà via, questo è certo, ma io preferisco marciare sulle innumerevoli isole che l’Artico racchiude nel suo seno.
Quando avremo raggiunta la terra di Grant, potremo andare a trovare gli esquimesi, se ne troveremo a tale latitudine.
Ora basta: avete veduto abbastanza, quindi possiamo andare a far colazione.
Fra un boccone e l’altro discuteremo sulla via da tenersi, quantunque ormai abbia preso il mio partito, per evitare qualsiasi possibile incontro con mister Torpon.
Venite. —