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Capitolo VIII - La caccia all’automobile
VII IX

CAPITOLO VIII.


La caccia all’automobile.


Quantunque il freddo fosse abbastanza intenso, segnando già il termometro 5° sotto zero, i tre esploratori si prepararono il pranzo all’aria aperta, proprio sul margine della grande foresta e precisamente sotto un gigantesco pino bianco che coi suoi folti e ben disposti rami aveva lasciato intorno a sè un bel circolo di terra sgombra di neve.

Contando, durante quella fermata, di provare le loro armi, avevano tolte dalle casse delle rivoltelle Colt e tre mauser, nonchè una grossa carabina a due canne, carica con proiettili a punta d’acciaio, destinati a bucare la pelle dei grandi ruminanti, i quali sono ancora abbastanza numerosi nelle selve del Canadà settentrionale, malgrado l’attiva caccia che danno loro gli scorridori della Compagnia delle pelliccie.

Pel momento però non si mostravano che degli uccelli, come falchi pescatori ed aquile pescatrici, gru con becchi lunghi più di venti centimetri e degli ortolani, chiamati anche uccelli delle nevi, perchè di solito non si incontrano che là dove il candido lenzuolo copre la terra.

In lontananza però, ben dentro la maestosa foresta, di quando in quando si udiva risuonare lugubremente qualche urlo dei lupi cervieri, animali pericolosissimi se si trovano in buon numero e che si frammischiano anche coi grandi e grossi lupi neri, quando si tratta di dare la caccia a qualche slitta od a qualche grosso capo di selvaggina.

— Proverei volentieri le vostre armi contro quegli urlatori, — disse lo studente, dopo terminato il pasto, mentre stava accendendo la pipa. — È vero quello che si dice, signor Gastone?

— Che ve ne sono ancora molti dei lupi nelle foreste canadesi?

— Precisamente, signore.

— Io sono certo che non ci mancherà qualche furioso inseguimento da parte di quelle brutte bestie.

Quando l’inverno comincia, la loro fame aumenta anche pel fatto che gran parte della selvaggina emigra in cerca d’un clima più dolce.

— Sicchè ne incontreremo di certo.

— Non avrete che da scegliere fra lupi cervieri, grigi e neri, — rispose il canadese. — Così ci provvederemo di pelliccie che nelle regioni più settentrionali ci faranno molto comodo.

— Per farci dei giustacuori, — disse l’ex-baleniere, il quale fumava come una vaporiera con una vecchia pipa tedesca che doveva contare un bel numero di anni.

— Siete anche voi cacciatore, Dik? — chiese Montcalm.

— Sì, padrone.

— Allora gli orsi avranno a che fare con noi. Volete che partiamo?

— Stavo per domandarvelo, signor di Montcalm, — disse lo studente. — Non udite come i lupi si chiamano? Che ci abbiano fiutati?

— È probabile.

— Che ci mangino le gambe?

— Ci rifugieremo nella vettura-salon e vedremo se saranno capaci di entrare. Sarà una vera fortezza imprendibile pei nemici a quattro gambe. —

Sgombrarono il posto togliendo la piccola stufa portatile e risalirono sull’avantreno portando con loro le armi e le cartucciere ben fornite.

La grande foresta lasciava dei varchi considerevoli, tali da permettere al treno di avanzarsi comodamente, tanto più che il terreno era abbastanza bene livellato.

Si sa già che i pini crescono ad una certa distanza l’uno dall’altro ed in regioni dove i cespugli scarseggiano affatto e mancano assolutamente le liane, i rotangi, i calamus e tutti gli altri arrampicanti che rendono invece quasi impenetrabili le foreste equatoriali e tropicali.

E poi pareva che la grande boscaglia fosse stata già vigorosamente attaccata dalla mano dell’uomo, poichè di quando in quando i viaggiatori incontravano delle vaste radure, dove giacevano ancora moltissimi tronchi già abbattuti e che davano non poca noia a Dik.

— Anche questa immensa riserva di legname, fra un paio d’anni, se non prima, subirà la medesima sorte toccata a quelle che un giorno coprivano le rive dell’Ottawa e del S. Lorenzo, — disse il canadese a Walter, il quale si occupava più delle urla dei lupi che degli alberi.

— Si brucia dunque spaventosamente nel Canadà? — chiese lo studente. — Eppure ci sono delle miniere di carbone anche qui.

— Ma con quello non si fabbrica la carta.

— La carta!... — esclamò Walter, guardandolo con stupore.

— Ma sì: è la peggiore nemica delle foreste e finirà, in un tempo più o meno lungo, per distruggerle completamente.

— Oh diavolo!... Io non lo avrei mai supposto.

— Potrei invece dire che è il giornalismo, specialmente quello americano, che finirà per farle scomparire.

— Non si adoperano più i cenci per fabbricare la carta, ora?

— Certo, anche quelli, ma a che cosa basterebbero? Tutti gli stracci raccolti nel mondo non potrebbero bastare nemmeno alla decima parte del consumo attuale della carta.

Sono i nostri vicini degli Stati dell’Unione che hanno decretata la distruzione dell’abete bianco, dell’abete rosso e del pioppo, i quali sono i più indicati per ottenere una buona carta adatta alla stampa a buon prezzo.

In questi ultimi venticinque anni le dimensioni dei giornali americani si sono raddoppiate ed il solo aumento nel numero di pagine rappresenta la distruzione annua di una foresta lunga venti chilometri e larga dieci.

— Fulmini di Giove!... — esclamò Walter.

— Questo immenso sviluppo del giornalismo americano va attribuito al basso prezzo della carta, all’introduzione delle macchine ed allo sviluppo enorme della réclame per mezzo dei giornali.

Oggidì funzionano, nelle sole tipografie dei giornali dell’Unione, oltre seimila macchine per comporre ed ognuna di esse fa in media il lavoro di tre operai.

I più importanti periodici domenicali della sola città di New-York hanno quasi tutti sessanta pagine ciascuno e ogni copia rappresenta la quantità di carta necessaria per un libro in ottavo di 480 pagine, e tuttociò per soli venticinque centesimi.

Se fate il calcolo vedrete che ogni domenica negli Stati dell’Unione escono 456 edizioni su tanta carta quanta ne basterebbe per sei milioni di volumi in ottavo di 500 pagine ciascuno.

— Quei giornali divorano una foresta alla settimana dunque!...

— Poco meno, Walter, — rispose il canadese. — E questo enorme consumo comincia ad impensierire non poco i yankees, i quali vedono scomparire le loro antichissime e meravigliose foreste con una rapidità spaventevole.

— E quali parti impiegano delle piante?

— La corteccia, la quale viene lavorata con una rapidità incredibile.

Poco tempo fa si è anzi tentato un record da una grande cartiera di Eisenthal.

Alle sette e trentacinque del mattino tre alberi venivano tagliati in una vicina foresta e subito portati alla fabbrica dove vennero immediatamente scorticati e macinati. Il legname fu ridotto, passando per diversi bagni, in una specie di pasta che fu affidata alle macchine da carta che la distesero in fogli sottili ed alle nove e mezza il primo foglio usciva già pronto per la stampa.

La tipografia di un giornale quotidiano sorgeva a quattro chilometri dalla fabbrica.

I primi fogli furono caricati su un’automobile e portati alla tipografia. Alle dieci le prime edizioni del giornale uscivano belle e stampate cogli alberi abbattuti due ore e mezza prima.

— È meraviglioso!... — esclamò lo studente, — Ma se si va di questo passo non vi saranno più foreste sulla superficie del globo.

— No, anche la distruzione delle boscaglie presto si arresterà, poichè i chimici hanno già trovato di che surrogare le corteccie dei pini.

Oggi si comincia a ottenere della buona carta colla torba ed a un prezzo quasi derisorio.

Un altro ritrovato molto recente, che dà già buoni frutti, si ha dai detriti delle piantagioni di cotone.

Fino ad oggi i produttori di cotone lasciavano inutilizzati gli arbusti spogliati dell’elemento tessile. Ora si è scoperto il procedimento per mezzo del quale quelle canne triturate, macinate e ridotte in polpa si possono convertire....

— In carta, — disse lo studente, vedendo che il canadese si era bruscamente arrestato.

— In lupi....

— In lupi!... Che cosa dite signor di Montcalm?

— Eccoli!

— Chi? I piantatori di cotone od i fogli di carta?

— No, no, i lupi: guardateli come corrono!... Sono cervieri e neri!... Me l’aspettavo questo attacco.

Ecco il momento, Walter, di dare una prova della vostra maestrìa nel tiro a segno.

— Fulmini di Giove!... Altro che carta e giornali!... — gridò l’ex-studente, afferrando lestamente uno dei tre mauser che stavano appoggiati ai sedili. — Qui si tratta di denti.

— E che denti anche, — aggiunse lo chaffeur. — Che cosa devo fare, padrone? Lanciare la macchina a cinquanta o sessanta miglia all’ora?

— A cento!... — gridò lo studente.

— Vi dimenticate che abbiamo da rimorchiare la nostra casa che può diventare, da un momento all’altro, una fortezza necessaria per salvare le nostre gambe? A cinquanta miglia, Dik.

— Va bene, padrone, — rispose l’ex-baleniere.

L’automobile accelerò subito la marcia, filando sotto i pini giganti i quali, fortunatamente, lasciavano dei vasti e numerosi passaggi.

Degli ululati feroci, che si ripercossero lugubremente sotto gli immensi vegetali, seguirono subito quell’aumento di velocità.

Cinque o sei dozzine di lupi, tutti di alta statura, quali grigi e quali nerastri, alti di gambe e coi musi affilati, si erano scagliati dietro al treno, ululando a squarciagola.

Erano dei magnifici corridori, specialmente i primi che sono appunto chiamati, per la loro straordinaria agilità, lupi cervieri.

— Walter, — disse il canadese, il quale si era pure armato d’un mauser. Volete divertirvi? Aprite pure il fuoco.

Se montassimo una semplice slitta vi proibirei di sparare, per non renderli furiosi, ma noi non abbiamo gran che da temere poichè il carrozzone che ci segue è sempre pronto a riceverci. —

Lo studente si alzò, appoggiò bene il calcio del fucile alla spalla ed attese che l’automobile trovasse sotto le sue ruote un lembo di terreno abbastanza liscio per non subire dei soprassalti improvvisi.

Qualche minuto dopo un colpo di fuoco si mescolava agli ululati delle fameliche belve.

Un grosso lupo cerviero, che guidava la corsa, aveva spiccato un gran salto, stramazzando subito in mezzo alla neve.

L’orda che gli veniva dietro gli si era precipitata addosso con rabbia feroce, azzuffandosi.

Uno scricchiolìo d’ossa, pochi colpi di mascelle, e sul bianco tappeto non erano rimaste che delle macchie di sangue.

Il povero cerviero era scomparso pelle e peli nelle gole dei suoi compagni.

— Che denti! — esclamò lo studente. — Povere le nostre gambe se dovessero attaccarsi alle nostre uose!

— E che valente tiratore, mio caro, — disse il signor di Montcalm, sorridendo. — Tutti gli studenti di Cambridge vi invidierebbero.

— No, signore, quelli di Oxford, — rispose l’allegro giovanotto, prorompendo in uno scroscio di risa. — Quelli di Cambridge sapevano già che ero il loro campione e che non potevano gareggiare con me.

— Ora riprendete la musica, amico.

Quando si cominciano a fucilare, i lupi attaccano con maggior slancio.

— E perchè?

— Perchè se non possono divorare gli uomini si divorano fra di loro. L’avete visto come è finito quel magnifico cerviero?

Sotto: ci sono addosso!... —

I feroci animali, niente spaventati da quel colpo maestro, avevano ripresa la corsa e con uno slancio così fulmineo, da raggiungere quasi l’automobile.

Si erano divisi in due colonne e galoppavano furiosamente, sempre ululando per chiamare i compagni dispersi per la foresta.

Quegli inviti di caccia non rimanevano inascoltati. Di quando in quando delle coppie d’altri lupi sbucavano fra i cespugli di rose canine che avvolgevano la base dei grandi pini e si univano al drappello ingrossandolo continuamente.

Quegli ululati che si ripercuotevano sotto l’infinita foresta, minacciavano di far accorrere legioni di affamati.

— Fulmini di Giove!... — esclamò Walter, il quale aveva già sparate sei cartuccie gettando a terra ben cinque assalitori. — Mi pare che la faccenda cominci a diventare seria.

Se lanciassimo il nostro treno a ottanta miglia si potrebbe lasciare a distanza queste bestie ostinate.

— No, — rispose il canadese, il quale vuotava il serbatoio del suo mauser senza mai mancare il bersaglio. — Ci tengo troppo alla mia casa.

— Ci sono addosso, signore.

— Lasciateli fare.

— Ed aumentano spaventosamente.

— Me ne rido.

— E non potremo più rifugiarci nella carrozza-salon.

— Questo è vero, Walter. Avremmo dovuto farlo prima.

Ora, discendere per passare nella nostra fortezza sarebbe pericoloso per le nostre gambe.

— Ed anche per le nostre teste, credo.

— Non inquietatevi per così poco.

— Fulmini di Giove!... Guardate come diventano audaci. — Un lupo enorme, un lupo nero dal pelo irsuto e fumante per la lunga corsa, si era slanciato sul predellino di sinistra tentando di azzannare le gambe dello studente.

Dik però l’aveva scorto a tempo, e senza abbandonare il volante, aveva afferrata rapidamente una Colt che si trovava sospesa allo scudo, fulminandolo con un paio di palle.

— Grazie, mio bravo chaffeur, — gridò lo studente, il quale si trovava in quel momento col fucile scarico. — Cercherò di rendervi, più tardi, questo favore. —

Un sorrisetto ironico fu la risposta dell’ex-baleniere.

— Signor di Montcalm, che cosa facciamo adunque? — riprese lo studente, dopo d’aver sparato l’una dietro l’altra, cinque o sei rivolverate. — Ci lasceremo rosicchiare i piedi?

— Dik, — disse il canadese, invece di rispondergli. — Arrestate la macchina.

— E poi? — chiese l’ex-baleniere, mentre lo studente spalancava gli occhi.

— Saliamo sulla capote di cuoio e fuciliamo queste noiose canaglie. Lassù non ci prenderanno.

— Meravigliosa idea!... — esclamò Walter, afferrando innanzi tutto le due cassette contenenti le cartuccie dei mauser e delle Colt. — Assedio in piena foresta!...

Ecco un bel titolo per un capitolo d’un romanzo straordinario.

— Lasciate stare i romanzi e salite presto!... — gridò il canadese prendendo le armi.

L’automobile si era fermata, affondando le sue ruote fra lo strato nevoso, ed i lupi avevano rallentata la loro corsa per scagliarsi, compatti, contro la macchina.

Come abbiamo detto, l’automobile aveva sopra di sè una grossa capote di cuoio, situata a tre metri e mezzo dal livello delle ruote, per proteggere i viaggiatori dalle raffiche di neve e dai freddi intensi, senza obbligarli a cercare un rifugio nel carrozzone di rimorchio.

Una solida armatura in ferro, tutta rivestita di grosso feltro, la sorreggeva.

I tre uomini, vedendo i lupi scagliarsi, in un momento si misero in salvo lassù, scaricando le rivoltelle.

Sette od otto animali, che si erano già gettati dentro lo chassis sperando di trovare, se non gli uomini, almeno dei viveri, stramazzarono a destra ed a sinistra della macchina, ululando spaventosamente.

I loro compagni, niente spaventati dai colpi di fuoco che si succedevano con rapidità meravigliosa, poichè ora erano i mauser che parlavano, in un baleno furono loro addosso divorandoli semi-vivi.

— Ah!... Diavolo!... — esclamò Walter, sospendendo per un istante il fuoco. — Io non ho mai veduto animali così ripugnanti!...

— Rimettete a domani le vostre riflessioni e consumate invece delle cartuccie, disse il canadese. — Non vedete che l’orda, invece di diminuire, continua ad ingrossare, malgrado i grandi vuoti che abbiamo fatto?

— Che sia la foresta preferita dai lupi questa, signor Gastone?

— Parrebbe.

— Mi dispiace consumare tante munizioni. Dobbiamo serbarne anche per gli orsi bianchi.

— Non temete: ne abbiamo una grossa provvista.

— Ed allora avanti. Pum!... Patatum!... Come cadono bene!... Ottime armi questi mauser!... I boeri avevano ragione a provarli contro i miei compatriotti in cambio dei loro vecchissimi röers.

— Chiacchierate troppo, Walter, — disse il canadese. — Guardate invece Dik: non pronuncia una parola, ma ammazza invece continuamente.

— È vero, signor Gastone. Ah!... I signori dal pelame grigio o nero si sono finalmente accorti che fa un po’ troppo caldo qui!... Ah!... Miei cari gentlemen dei boschi nevosi, non conoscete ancora la portata delle nostre armi.

Più indietro, più indietro se volete salvare la pelle. —

I lupi, che erano spaventosamente aumentati, poichè ne giungevano sempre, attirati dagli spari e dagli appelli disperati dei loro compagni, dopo un furioso assalto spinto perfino dentro lo chassis dell’automobile, avevano rotto le loro file e si erano dispersi, arrestandosi a cento o centocinquanta passi dal treno.

Si erano divisi in gruppetti di quattro o cinque, cercando di ripararsi dietro gli enormi tronchi dei pini bianchi e rossi, assolutamente impenetrabili anche alle palle dei mauser.

Avevano però formato una specie di cerchio irregolare intorno alle due vetture, in modo da impedire ogni fuga.

Alcuni, più furbi, si erano rifugiati sotto lo chassis della macchina, pronti ad avventarsi contro i viaggiatori se avessero osato abbandonare la capote di cuoio.

— Fulmini di Giove!... — esclamò l’eterno chiacchierone, tormentando il grilletto del fucile. — Che cosa dite voi, signor Gastone?

— Io dico che ci hanno bloccati, — rispose il canadese.

— Pare anche a me.

— Che possa durare molto questo assedio?

— Chi lo sa. Dipende dalla maggiore o minore pazienza dei signori lupi.

— Voi che siete pratico del paese e delle bestie che lo abitano, potreste spiegarvi un po’ di più.

— Mio caro Walter, io non sono mai stato un lupo e perciò non posso indovinare le intenzioni di quelle bestiaccie.

— E se questo assedio dovesse prolungarsi?

— Ci armeremo di pazienza.

— Siamo senza viveri, signore, poichè le provviste si trovano nel carrozzone-salon.

— Stringeremo la cintola dei nostri calzoni per ora.

— Ah!... Diavolo!...

— Ohè, signor studente, credevate di andare al Polo placidamente sdraiato su un sedile o su un letto, col cuoco sempre ai vostri ordini e la stufa sempre russante?

— No, no, signor Gastone, tutt’altro.

— Allora non vi lamentate così presto, mio bravo campione di Cambridge, — disse il canadese, ridendo.

— Converrete però con me che la nostra situazione può diventare poco allegra. Guardate: comincia a nevicare per di più.

— Ah!... Questa sì che secca, se l’assedio dovrà prolungarsi.

— Se non ci fossero sotto le vetture quei cinque o sei lupi si potrebbe scendere sotto la capote e metterci al coperto.

— Non vi consiglio di tentarlo, Walter. Queste bestie sono ancora troppo affamate. Suvvia, riprendete il fucile e cerchiamo di decimare quelle bestiaccie. —

L’ex-baleniere, durante quel dialogo, non aveva cessato di far fuoco. Disteso sulla capote mirava con calma, da uomo che ci tiene a non sprecare le sue cartuccie, e ogni volta che un lupo commetteva l’imprudenza di mostrarsi lo fulminava con una precisione meravigliosa.

Se parlava poco agiva molto, destando un vero entusiasmo nel canadese.

Per una mezz’ora i tre viaggiatori continuarono a sparare, sbagliando ben pochi colpi, poi sostarono.

I lupi, diventati eccessivamente diffidenti, non ardivano più mostrarsi.

Avevano ormai compreso che avevano da fare con degli uomini ben risoluti a difendersi e che sapevano maneggiare terribilmente quei piccoli eppure tremendi arnesi di distruzione, e si tenevano in guardia per non farsi sterminare troppo presto.

Che cosa aspettavano? Che gli assediati si decidessero ad offrire loro le proprie gambe? Oppure aspettavano la notte, già non lontana, per ritentare un assalto disperato?

Ed intanto la neve continuava a cadere, lenta, silenziosa, cadendo fra albero ed albero, intorno all’automobile ormai arenata come un veliero che ha dato in secco su un bassofondo.



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