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CAPITOLO XV.
Tutta la notte fu un rombo continuo intorno al treno che affondava sempre più nella neve turbinante in tutte le direzioni, poichè pareva che tutti i venti dei quattro quadranti si fossero messi in lotta, urtandosi con rabbia folle.
I tre esploratori non avevano osato chiudere gli occhi pel timore che qualche raffica riuscisse a mandare anche il carrozzone colle ruote in aria, cosa non difficile ad accadere con tanta furia di vento.
Rannicchiati presso la stufa, colle pipe in bocca, attendevano pazientemente che spuntasse l’alba, colla speranza che anche la tempesta di neve cominciasse a decrescere e permettesse loro di riprendere la corsa.
Dopo una lunghissima attesa, il cielo cominciò finalmente ad imbiancarsi verso levante.
Una larga ferita si era aperta fra le tempestose nubi ancora gravide di neve e di ghiacciuoli, allungandosi verso l’opposto orizzonte, diventando rapidamente violacea, poi rossastra.
Il sole stava per mostrarsi fra un altro grande strappo di vapori cavalcanti sulle ali del vento, e colla comparsa dell’astro la tempesta accennava a diminuire rapidamente d’intensità.
Il canadese si era alzato, mentre lo studente preparava il thè, e si era affrettato a lanciare uno sguardo attraverso un finestrino.
— Perbacco!... — esclamò. — Siamo quasi sepolti sotto la neve. Avremo ben da fare per aprire una via alla nostra macchina.
Dik, preparatevi a raggiungerla e ditemi se ha sofferto.
— Subito, signore, — rispose l’ex-baleniere, gettandosi addosso una pesante pelliccia. — Con questo freddo la neve si rassoda rapidamente e non correrà il pericolo di affondare. —
Aprì la porta, ma subito si arrestò mandando un grido soffocato.
Un gigantesco orso bianco era sorto bruscamente dinanzi a lui, uscendo dall’ammasso di neve che si addossava al carrozzone, spalancando una bocca enorme armata di lunghi denti gialli, solidi forse quanto l’acciaio.
Un momento di esitazione ed il terribile carnivoro balzava dentro.
Fortunatamente l’ex-baleniere non era un uomo troppo impressionabile, tanto più che aveva avuto, durante la sua vita avventurosa fra le regioni nordiche, altri incontri con quegli abitanti dei ghiacci eterni.
Rimessosi prontamente dalla sorpresa, aveva chiusa con fragore la porta sul muso del bestione, sprangandola.
— Che cosa avete, Dik? — domandò il canadese, il quale essendo occupato a mettere a posto alcune casse, non si era avveduto di quel brutto incontro.
— Che non mi aspettavo una simile sorpresa, signore, — rispose l’ex-baleniere, con voce un po’ alterata. — Credevo di doverli trovare più al nord.
— Chi?
— Gli orsi bianchi. —
Lo studente che, come abbiamo detto, stava preparando il thè, udendo quelle parole, aveva lasciato cadere il bricco pieno d’acqua bollente, mentre il signor di Montcalm interrogava collo sguardo il meccanico ancora pallido.
— Corpo di Giove!... Scherzate, mastro Dik? — gridò il campione di Cambridge.
— Non mi pare che questo sia il momento, signore, — rispose il baleniere. — Vi dico che quei signori dalla bianca pelliccia sono venuti a farci visita.
— Vi hanno consegnato il loro biglietto di visita? — chiese Walter. — Date qui.... Vedremo come lavorano gli stampatori polari.
— Andate a farvelo dare voi, se vi piace, — rispose Dik.
— Orsù, disse il canadese, — spiegatevi meglio. Dove sono questi orsi?
— Davanti alla porta. Se non mi affrettavo a chiuderla il primo entrava.
— Non avrete preso un blocco di neve per un orso bianco?
— Ah no, signor di Montcalm. Aveva tanto di bocca e certi denti da far venire la pelle d’oca al più coraggioso cacciatore della Compagnia delle pelliccie.
— Erano molti? — chiese lo studente, per nulla impressionato.
— Io non ne ho veduto che uno, ma ve ne possono essere degli altri, avendo quegli animali l’abitudine di andare accompagnati e talvolta perfino a branchi.
— Vediamo, — disse il canadese, staccando un fucile dalla parete, subito imitato dallo studente.
Aprirono uno dei finestrini più vicini alla porta e guardarono fuori.
Subito una testa comparve dinanzi a loro, alitando in pieno viso ad entrambi un fiato caldo e fetente.
— Corpo di Giove!... — esclamò lo studente, balzando indietro. — È ben un orso bianco questo.
— Vi ha consegnato il suo biglietto di visita? — chiese Dik, ironicamente.
— Sarò io che gli darò il mio sotto forma d’una buona palla. —
Il canadese aveva pure fatto un passo indietro ed aveva passata la canna del mauser attraverso il finestrino, ma l’orso bianco era scomparso.
— Non sparate? — chiese Walter, il quale aspettava il colpo.
— Il briccone si è nascosto sotto il carrozzone, — rispose il canadese. — Vi sono tre o quattro larghe buche scavate quasi dinanzi alla porta.
— Che in ognuna vi sia un orso?
— Lo sospetto, Walter.
— Che aspettino che usciamo per mostrarsi?
— È probabile. Che cosa dite voi, Dik?
— Che siamo assediati, — rispose l’ex-baleniere.
— E potrà durare molto questo assedio? — chiese lo studente.
— Se sono affamati non se ne andranno se prima non avranno fatto almeno una colazione colle nostre polpe.
— In quanto a questo, la vedremo, mio caro baleniere.
— Vi è poco da scherzare cogli orsi bianchi. Valgono i grizly delle Montagne Rocciose.
Quello che ho veduto io era lungo non meno di due metri.
— Signor di Montcalm, che cosa pensate di fare?
— Lo domando a voi, Walter.
— Se provassimo a sparare un po’ di rivoltellate per deciderli a mostrarsi?
— Si può tentare. Dik, prendete anche voi un fucile e mettetevi all’altro finestrino.
Se si alzano, non fate economia di piombo.
— Sono pronto.
— Ed io pure, — disse lo studente, impadronendosi d’una Colt. — Se sono dei coraggiosi, dovrebbero accettare subito la battaglia che loro offriamo.
— Io credo invece che non saranno tanto minchioni, — disse l’ex-baleniere. — Non devono trovarsi troppo male sotto il carrozzone, colla stufa che brucia qui dentro.
— E non vi sarà qualche pericolo per l’automobile?
— Tutt’al più divoreranno la capote di cuoio, — rispose lo chaffeur, con un brutto sorriso.
— Provate, Walter, — disse il canadese.
Lo studente si affacciò al finestrino, allungando, prima di tutto, il braccio armato della grossa rivoltella, e guardò entro le buche che il canadese aveva notate e gli parve di vedere la neve muoversi.
— Sono lì sotto, — pensò. — Vediamo se salteranno fuori.
Si sporse più innanzi che potè e sparò, uno dietro l’altro, sei colpi, urlando:
— Fuori!... Fuori poltroni!... —
Dei grugniti minacciosi furono la sola risposta che ottenne.
— Non si mostrano? — chiese il signor di Montcalm, il quale attendeva col dito sul grilletto del mauser.
— Ma che!... Sono degli orsi vigliacchi, — rispose Walter. — Io al loro posto mi sarei per lo meno degnato di mostrare la punta del mio naso.
— Questa avventura da nessuno desiderata comincia ad inquietarmi.
— Quando non troveranno di che sfamarsi se ne andranno, signore.
— Uhm!... Gli orsi bianchi sono abituati ai più lunghi digiuni.
— E sono realmente terribili, signor Gastone? A vederli non si crederebbe.
— Sono ancora più pericolosi di quelli grigi delle Montagne Rocciose, poichè posseggono una forza straordinaria ed un coraggio a tutta prova.
— Questi no, signore. Lo escludo assolutamente.
— Provate a mostrarvi fuori del carrozzone e mi saprete dire poi qualche cosa.
— E sono più grossi dei grizly?
— Sì, quando sono adulti, — rispose il canadese. — Si sono veduti dei vecchi maschi lunghi perfino due metri e mezzo, e se ne sono uccisi di quelli che non pesavano meno di quattrocento chilogrammi.
— D’ottima carne?
— Eccellente, poichè, eccettuato il fegato, che talvolta produce dei grandi dolori a chi lo mangia, tutto è buono dell’orso bianco.
— Speriamo di assaggiare questa delizia polare. Mastro Dik, che cosa fanno quei signori?
— Mi pare che russino tranquillamente, rispose l’ex-baleniere.
— Ed allora prendiamo il nostro thè, — concluse lo studente. — Non vi è ragione alcuna per rinunciare alla colazione.
— Così sarete un po’ più grasso se qualcuna di quelle bestiaccie riesce ad acciuffarvi, — brontolò l’ex-baleniere, ritirando il fucile e richiudendo il finestrino.
La presenza di quattro o cinque orsi, pronti a fare una scorpacciata di carne umana, non aveva tolto affatto l’appetito ai tre esploratori, poichè divorarono tranquillamente la loro colazione, facendo un’ampia breccia nella cassa del biscotto.
D’altronde non potevano correre alcun pericolo finchè si tenevano rinchiusi nella loro fortezza, poichè la porta era bene sbarrata, le finestre troppo piccole per permettere agli assedianti di entrare, e le pareti così solide da sfidare tutte le unghie riunite di tutti gli orsi bianchi della baia di Hudson.
C’era però il pericolo che quell’assedio si prolungasse per molti giorni, facendo loro perdere un tempo troppo prezioso.
Altri uragani di neve potevano scoppiare e seppellirli anche per delle intere settimane, e la stagione fredda era già abbastanza inoltrata per contare sulle buone giornate molto problematiche e anche troppo brevi in quelle regioni.
I tre esploratori si erano rimessi in osservazione dinanzi ai finestrini, tenendo i fucili a portata di mano, ma pareva che gli orsi bianchi si trovassero troppo bene sotto il carrozzone e che pel momento non avessero nessuna intenzione di forzare la piazza forte.
Walter, che aveva levato il grosso feltro che copriva il tavolato, accostando bene or l’uno ed ora l’altro orecchio, aveva dichiarato che le gigantesche bestie russavano beatamente, come se fossero sicure di fare, presto o tardi, una scorpacciata delle carni dei tre assediati.
A mezzodì nulla di nuovo era avvenuto. Solamente il tempo si era rimesso al cattivo, facendo sparire il sole sotto una nuvolaglia gravida di neve che pareva impaziente di scaricarsi del soverchio peso.
Dik, coricato su una poltrona, non aveva cessato di fumare come una vaporiera; il signor di Montcalm aveva occupato il suo tempo a mettere un po’ in ordine le casse e le cassette che ingombravano il carrozzone; il campione di Cambridge non aveva trovato di meglio che aprire un libro che si occupava della vita degli orsi bianchi. Diavolo!... Prima di affrontarli voleva almeno conoscere bene le loro abitudini e sopratutto accertarsi bene della loro ferocia.
Non si trattava più della corsa delle cento yarde, nè del gran salto!... Si trattava della pelle, altro che delle gambe!...
— E dunque, Walter? — chiese il signor di Montcalm, avvicinandosi allo studente, dopo di aver guardato l’ora. — Pare che gli orsi vi abbiano fatto dimenticare che tutti i mortali dell’orbe terracqueo, quando battono le dodici, usano cacciare qualche cosa in corpo.
— Per tutti i fulmini di Giove, avete ragione, signor Gastone!... — esclamò lo studente, scaraventando il libro dall’altra parte del carrozzone.
— Tanto v’interessavano gli usi ed i costumi di questi abitatori polari a quattro gambe e troppi denti?
— In fede mia sì.
— E che cosa avete appreso dunque?
— Che se non si ammazzano a colpi di fucile o di rampone non si lasciano mangiare.
— Soltanto questo?
— Per ora sì.
— Lo sapevo anch’io, senza leggere quell’interessantissimo libro. Visto e considerato però che quegli amabili animali non desiderano per ora offrirsi ai nostri mauser, fareste bene a prepararci della carne di bue conservata, con dei cavoli sotto aceto, così terremo lontano lo scorbuto.
— Ecco il cuoco all’opera, signore, — rispose lo studente, precipitandosi verso la stufa armato d’una padella.
— E voi, Dik, che nuove avete da darmi dei nostri vicini?
— Che si sono armati di molta pazienza, rispose l’ex-baleniere, alzando le spalle, — e che ricomincia a nevicare.
— Ancora?
— Fa molto buio al nord, signore.
— Brutto affare. Il nostro treno si immobilizzerà.
— Faremo come gli orsi, signore: ci armeremo di pazienza.
D’altronde che cosa ci manca qui? I viveri abbondano, il wisky ed il gin sono eccellenti ed il tabacco non manca.
Non si potrebbe desiderare di più!
— Ed il tempo passa.
— Al Polo non ci si bada al tempo, signore.
— Ma mister Torpon potrebbe giungervi prima di noi e questo non lo desidererei affatto. —
L’ex-baleniere scrollò un’altra volta le spalle.
— Non vi è giunto ancora, — disse poi. — Non si va facilmente al Polo quantunque anch’io riconosca che l’automobile abbia maggiori probabilità d’un veliero o d’un piroscafo.
Per centomila balenotteri!...
— Che cosa avete, Dik? —
Il baleniere aveva volto lo sguardo sul fornello sul quale lo studente, cuoco improvvisato eppure abbastanza abile, stava preparando la seconda colazione.
— Hanno un buon naso gli orsi, — disse. — Ed infatti, quando noi volevamo attirarli sulla costa, bastava dar fuoco ad una scatola piena di grasso.
Anche se si trovavano a dieci miglia di distanza accorrevano, per offrirsi gentilmente ai nostri colpi di carabina.
— Che cosa volete dire, Dik? — chiese il canadese.
— Che qualcuno viene a reclamare la sua parte di cola.... —
Non aveva finita la frase. Un vetro d’una delle piccole finestre era stato infranto da un poderoso colpo di zampa, ed una testa era comparsa, sbuffando dentro il carrozzone una fumata d’aria densa.
Lo studente aveva levata prontamente dal fuoco la padella e si era precipitato dinanzi alla finestrina, gridando:
— Eccovi servito, signore!... La carne è pronta!... Favorite entrare, se la vostra pelliccia non vi impedisce!... —
L’orso bianco, attirato certamente dal profumo che esalava la carne aveva spalancate le mascelle mandando un urlo rauco.
Il canadese, con rapidità fulminea, si era impadronito d’una rivoltella, gridando:
— Indietro, Walter!... Lasciate che gli faccia pagare anticipatamente il conto del vetro e della colazione!... —
Lo studente si era precipitosamente abbassato, guardando bene di non rovesciare la padella.
Il signor di Montcalm, che si trovava ad un passo dal finestrino, aveva alzato il braccio sparando furiosamente.
Al primo colpo l’orso aveva spalancato maggiormente le mascelle: al secondo aveva mandato un urlo ferocissimo che si era ripercosso sinistramente dentro il carrozzone; al terzo le sue zampe, aggrappate all’orlo del finestrino, si erano staccate; al quinto tutto il suo corpo gigantesco si era alzato sotto la spinta delle zampe deretane, mostrando il petto, ed al sesto era stramazzato, affondando nell’alto strato di neve.
— Signore!... — gridò Walter, slanciandosi verso il finestrino. — E la mancia? Pezzente, me l’avete frodata come un negro dell’Angola!... Prendi, canaglia!... Mangia anche questo, giacchè hai annusato il profumo!... Ti consolerà nelle ultime strette dell’agonia!... —
Ed il mattacchione, senza pensare che i suoi compagni attendevano la colazione, scaraventò padella e contenuto dentro la buca dove era affondato il gigante dei mari glaciali.
— Corpo di una balena!... — gridò Dik. — Che cosa avete fatto? E noi? —
Lo studente si era voltato calmo, calmo, guardando ironicamente l’ex-baleniere, il quale pareva che fosse lì lì per scagliare fuori una interminabile sfilza di imprecazioni marinaresche.
— E noi, — disse, — mangeremo uno dei zamponi dell’orso. Non sapete che valgono i prosciutti dei maiali d’Irlanda?
— E chi andrà a prenderlo? Io no di certo.
— Corpo di tutti i fulmini dell’amico Giove!... — esclamò Walter, grattandosi la testa. — Mi ero dimenticato che vi sono altri tre o quattro orsi nascosti sotto il carrozzone! Decisamente sono uno stupido!...
— E grosso come un rinoceronte, — brontolò l’ex-baleniere, stritolando il cannello della pipa che teneva fra i denti.
— Walter, — disse il canadese. — Era grossa la mancia?
— Non l’ho ancora ricevuta, signore, — rispose lo studente, il quale appariva desolato.
— Il fornello è sempre acceso però.
— Lo vedo.
— Se potete offrirci uno zampone arrostito, io e Dik siamo pronti ad assalirlo.
— Ah no, signore. Domani forse, ma per ora non mi sento al caso.
— Allora aprite delle altre scatole di conserva e rimettetevi al lavoro.
— Mi lasceranno poi finire, i signori orsi?
— Se verranno a disturbarvi ci penseremo noi, è vero Dik?
— Sì, purchè il cuoco faccia presto. Il thè l’ho già in fondo ai talloni io. —
Il canadese riaccese la sua pipa e si mise in osservazione dinanzi ad uno dei finestrini, mentre lo studente si affannava a preparare la colazione non senza brontolare contro gli orsi.
L’uragano continuava ad imperversare al di fuori con furia crescente.
La neve turbinava in forma di trombe immense, le quali finivano poi per abbattersi contro il treno, minacciando di seppellirlo.
Degli orsi nessuna nuova. Sonnecchiavano pacificamente sotto il carrozzone, in attesa che gli uomini si decidessero ad uscire.
Intanto aguzzavano l’appetito.