< Una sfida al Polo
Questo testo è stato riletto e controllato.
Capitolo XX - La caccia al treno
XIX XXI

CAPITOLO XX.


La caccia al treno.


La giornata trascorse senza che la situazione cambiasse per nulla.

Quantunque quegli ostinati animali non avessero potuto scoprire di certo nè muschi, nè licheni sotto il ghiaccio, che come abbiamo detto si stendeva sopra le acque del golfo, non avevano lasciato il loro posto.

Si erano contentati di girare e di rigirare intorno al vecchio maschio abbattuto dallo studente, mandando dei muggiti poco rassicuranti, poi calata la notte si erano coricati dinanzi al treno, formando una lunga linea e mantenendo la distanza di cinque a seicento metri.

Si sarebbe detto che ormai avessero perfettamente conosciuta la potenza delle armi da fuoco dei loro avversari.

I tre esploratori cominciavano già ad inquietarsi non poco di quella situazione che minacciava di prolungarsi assai, quando verso le sei di sera un gran nebbione cominciò ad avanzarsi attraverso il golfo, scendendo dal settentrione e guadagnando rapidamente via.

L’ex-baleniere che l’aveva già previsto, e che stava fumando presso uno dei finestrini, levò dalla bocca la sua pipa, e rivolgendosi verso il canadese, disse:

— Signore: io credo che stia per giungere il momento di ripartire.

— Senza fanali?

M’incarico io di condurre egualmente l’automobile e di farlo passare sul corpo di quei maledetti animali.

— Che cosa dite voi, Walter? — chiese il signor di Montcalm.

— Io dico che abbiamo aspettato perfino troppo, e che colle armi che noi possediamo potremo passare.

— E se nella nostra corsa incontrassimo un ostacolo, ed i buoi muschiati si precipitassero su di noi colle corna calate?

— Li fucileremo a brucia-pelo, signor Gastone.

— Voi avete pronta la risposta a tutto.

— Mi preme di giungere al Polo.

— Sareste un altro concorrente, o meglio un rivale? — chiese il canadese, scherzando.

— Gli occhi, per quanto bellissimi, di miss Ellen non hanno bruciato affatto il mio cuore, ve lo assicuro, — rispose lo studente. — Io non amo le donne americane.

— Forse avete ragione, — disse il canadese, mentre la sua fronte s’increspava lievemente. — Dik, aprite la porta e andate a riempire i serbatoi.

I buoi non vi scorgeranno con questa nebbia che diventa sempre più fitta.

— Forse dormono, — rispose l’ex-baleniere, con accento strano.

Tolse la sbarra e uscì, scomparendo in mezzo alla nebbia.

Il canadese e lo studente spensero la stufa e la lampada affinchè la luce non attirasse l’attenzione dei buoi muschiati, ed indossarono le loro pesanti pelliccie.

Avevano prese le loro armi, aggiungendo due grosse rivoltelle, e stavano per raggiungere lo chaffeur quando se lo videro comparire dinanzi.

— Siete voi, Dik? — chiese il signor di Montcalm, il quale subito non aveva potuto distinguerlo.

— Sì, signore, — rispose l’ex-baleniere.

— Che cosa c’è di nuovo, dunque?

— Devo darvi una brutta notizia, signore.

— Quale?

— Che il motore non funziona più e che noi siamo in una panne completa.

— Che diavolo mi raccontate?

— Mi pare di essermi spiegato.

— Voi scherzate, mastro Dik!... — gridò lo studente, riaccendendo subito la lampada.

— Non ne ho l’abitudine, — rispose seccamente l’ex-baleniere.

— Per tutti i fulmini di Giove!...

— Dite quello che volete, il fatto è che noi siamo arenati.

— Che cosa si è guastato? — chiese il signor di Montcalm, il quale era diventato pallidissimo.

— Non lo so, signore, ma certo deve essere avvenuto un guasto importante, poichè i miei sforzi per far funzionare il motore sono stati vani.

— Che si sia spezzato od alterato il radiatore?

— Con questo nebbione mi sarebbe impossibile, per ora, trovare il malanno.

— Come va questa faccenda? — chiese lo studente. — Fino a stamane l’automobile funzionava perfettamente.

— Non so che cosa dire, — rispose Dik. — Gli automobili hanno gli organi delicati, checchè si dica.

— Accendiamo i fanali ed andiamo a vedere.

— Ed i buoi muschiati li avete dimenticati? — chiese lo chaffeur, con un leggier tono ironico, che produsse però sugli animi dei due esploratori una sgradita impressione. — Se scorgono i fuochi si getteranno su di noi e ci faranno a pezzi a colpi di corna.

Chi vi assicura che non abbiano approfittato della nebbia per avvicinarsi? M’è anzi parso di aver udito a brevissima distanza un muggito.

— Che sia stato uno di loro a produrre il guasto con qualche cornata? — si chiese il signor di Montcalm con ansietà.

— Può darsi, signore, — rispose Dik, — anzi io lo credo.

— Che cosa fare ora? — chiese Walter.

— Non ci rimane che aspettare l’alba, — rispose il canadese.

— E ci lasceranno quei dannati animali riparare il guasto?

— Questo è un vero punto interrogativo, mio caro Walter. Speriamo che durante la notte se ne vadano.

— Corpo di tutti i fulmini di Giove!... — gridò lo studente furioso. — Guastarsi la macchina proprio ora, mentre con questo nebbione avremmo potuto passare improvvisamente su di loro e scappare a tutta velocità!... Che il Polo cominci a congiurare contro di noi? Eppure finora si era mostrato benigno!

— Forse il guasto è meno grave di quello che Dik suppone, — disse il canadese. — Ne succedono sempre ai motori delle automobili, e noi possediamo una piccola officina fornita d’ogni istrumento necessario per una riparazione di qualsiasi genere.

Giacchè non possiamo fare nulla per ora, lasciamo che i buoi si godano i soffi della nebbia e noi cacciamoci sotto le coperte.

— Non sarebbe prudente montare la guardia, signor Gastone? — chiese lo studente.

— Lo ritengo affatto inutile. Con questa oscurità i buoi non oseranno assalirci, nè d’altronde credo che siano stati essi a danneggiare la nostra macchina.

Forse è avvenuto quel guasto in causa dell’intenso freddo.

Orsù, a letto. —

Tornarono a spegnere la lampada per non attirare l’attenzione dei maledetti animali, e si cacciarono, dopo essersi a metà spogliati, sotto le coltri.

Malgrado le loro preoccupazioni — preoccupazioni che Dik non condivideva di certo — tutti si addormentarono.

Dei muggiti minacciosi che si ripercuotevano perfino dentro il carrozzone, li fecero balzare in piedi dopo moltissime ore di sonno.

Una luce scialba, grigiastra, trapelava a malapena attraverso i vetri dei finestrini, incrostati esternamente d’uno spesso strato di ghiaccio.

— Per tutti i fulmini di Giove!... — esclamò lo studente, precipitandosi sul suo fucile. — Ci sono addosso. —

Aprì, non senza fatica, un finestrino e guardò al di fuori.

Fra le ondate di nebbia che un vento terribile, tagliente e freddissimo sospingeva, scorse delle grandi ombre le quali si aggiravano a soli pochi metri dal carrozzone.

Lo studente non esitò un solo istante ed esplose, con grande rapidità, tutte le cartuccie del serbatoio, sparando ora a destra ed ora a sinistra.

Il canadese non aveva tardato ad imitarlo, facendo fuoco dall’opposto finestrino dove altre ombre erano comparse.

Dei muggiti formidabili accolsero quelle scariche che si succedevano furiosamente, poi seguì un galoppo fragoroso che faceva risuonare cupamente la superficie gelata del golfo.

— Sono scappati!... — gridò lo studente. — Mastro Dik, all’automobile. —

L’ex-baleniere fece una smorfia, poi disse:

— Ne siete proprio sicuro?

— Mastro Dik, grande baleniere, avreste paura?

— Oh mai, signor mio.

— Allora seguiteci, — disse il canadese. — Noi vi scorteremo coi mauser e le Colt. —

Prima di scendere si misero in ascolto, per paura che non tutti i buoi muschiati fossero fuggiti, poi rassicurati dal silenzio che regnava intorno al treno, rotto solamente di quando in quando da qualche ululato del vento, si diressero sollecitamente verso l’automobile, le cui ruote erano coperte da uno strato di ghiaccio.

— All’opera, Dik, e subito, — disse il canadese, con voce imperiosa — Approfittiamo di questo momento di sosta.

Io me ne intendo abbastanza di meccanica e vi aiuterò.

— Ed io che non me ne intendo affatto monterò la guardia, — disse lo studente. — Corpo delle cento balene ramponate da mastro Dik!... Voglio vedere se quelle bestiaccie oseranno ancora circondarci. —

Si gettò sulle spalle anche il secondo mauser, e mentre lo chaffeur ed il canadese si mettevano alacremente all’opera per cercare il guasto e ripararlo, si mise a battere audacemente i dintorni, tuffandosi nel nebbione, il quale non accennava a lasciare il posto ai raggi solari.

Sia che fosse per dare una prova del suo coraggio o che se ne infischiasse delle corna dei bufali, l’imprudente prese il largo smarrendosi ben presto fra le masse di vapore.

Quando se ne accorse era troppo tardi.

Il treno era scomparso in mezzo al nebbione.

— Che diamine!... — esclamò lo studente, un po’ pentito della sua imprudenza. — Non ammetterò mai che il signor di Montcalm sia partito senza di me. Se fosse quel Dik!... —

Tese gli orecchi e non udì più i colpi di martello che poco prima giungevano fino a lui, nè i fragori del motore.

— Corpo di Giove!... — esclamò, che mi sia proprio smarrito? Ed i buoi muschiati? Il brutto sarebbe che andassi a battere la mia testa contro le loro corna.

Giove imbecille, aiutami insieme a Venere, a Marte e tutti gli astri che ti accompagnano.

Cerchiamo di orientarci. —

Era assolutamente impossibile prendere una direzione qualsiasi fra quel nebbione che diventava sempre più fitto, intercettando completamente la luce del sole.

Una semi-oscurità che nemmeno l’ice-blink riusciva a vincere, avvolgeva i grandi campi di ghiaccio stendentisi sul golfo.

— Dove andare? — si domandò per la decima volta lo studente. — Proviamo a volgere le spalle alla via che ho seguito finora.... Oh!... Triplice imbecille!... Forse che non ho due fucili per fare dei segnali? —

Ne impugnò uno e lo puntò in aria. Stava per far fuoco, quando un terribile pensiero lo arrestò.

— Stavo per commettere una grossa sciocchezza, — disse, abbassando prontamente l’arma. — Ed i buoi maledetti non accorreranno allo sparo e non mi scaraventeranno in aria?

Walter mio, tu minacci di diventare un vero stupido. Forse questo freddo cane non sarà estraneo al rammollimento del mio cervellaccio di studente poco meno che asino.

Gambe e occhi aperti ed orecchi tesi. —

Il giovanotto girò tre o quattro volte su se stesso non sapendo quale direzione prendere, poi partì a gran passi senza sapere dove potesse andare a finire, poichè la nebbia non gli permetteva di distinguere un oggetto qualsiasi a cinque passi dalla punta del suo naso.

Marciava verso l’automobile o gli volgeva le spalle? Si allontanava dai pericolosi animali o si cacciava proprio sotto le loro formidabili corna?

Quanto avrebbe dato per saperlo!...

— Gira e rigira in qualche luogo andrò a finire, — si disse l’allegro giovanotto, il quale essendo armato di due fucili non si inquietava gran che. — Che finisca al Polo? Le mie gambe, dopo tutto, sono quelle d’un saltatore e d’un corridore. —

Camminò per una diecina di minuti, bestemmiando contro il nebbione che gli si accumulava addosso, rinserrandolo da tutte le parti, poi fece un rapido dietro front e si caccio dietro un piccolo hummok cercando di farsi più piccino che gli era possibile. A breve distanza aveva udito un muggito, seguito poco dopo da un altro più rauco e non meno minaccioso.

— I buoi muschiati!... — esclamò, a mezza voce. — Altro che automobile!... Che io sia proprio destinato a lasciare le mie budella sulle corna di quegli animali? —

In quell’istante udì uno sparo, poi un secondo, quindi un terzo.

— Le Colt del signor Gastone!... — mormorò. — Deve essersi accorto della mia scomparsa e mi chiama.

Che cosa fare? Se rispondo mi attirerò addosso tutta la banda dei buoi, e non sarà questo miserabile monticello di ghiaccio, che non è più alto di due metri, che mi salverà.

Corpo di tutte le corone e di tutte le spade di Giove!... Eccomi in un bell’imbarazzo. —

Un quarto, poi un quinto sparo rimbombarono, ma così lontani che lo studente ne fu spaventato.

Doveva aver percorso parecchi chilometri in mezzo al nebbione, credendo di girare sempre intorno al treno.

Malgrado il freddo intensissimo che avrebbe spaccato perfino una pietra, Walter si senti bagnare la fronte da grosse goccie di sudore.

— Triplice imbecille, — mormorò. — Che cosa fare dunque? Continuare a rivolgermi questa domanda senza nulla risolvere? —

Una sesta, poi una settima detonazione si propagarono fra la nebbia, la quale, contrariamente a quello che si crede, è una eccellente conduttrice dei suoni.

— Accada ciò che si vuole, io risponderò, — disse. — Se i buoi maledetti mi daranno la caccia tanto peggio per me.

Dopo tutto sono il campione della corsa delle cento yarde e per qualche motivo mi sono guadagnato quel grado. —

Alzò risolutamente uno dei due mauser e sparò, uno dietro l’altro, due colpi.

L’eco si era appena spenta quando altri due colpi risposero e questa volta non erano di rivoltella. Il canadese doveva essersi provveduto di qualche altro mauser essendovene parecchi nel carrozzone.

— Ora a me, garretti!... — gridò lo studente. — In marcia! —

Stava per slanciarsi a corsa sfrenata, quando udì dietro di sè un galoppo furioso.

— Fulmini!... — esclamò. — I buoi mi danno la caccia!... Via, Walter mio, se vuoi salvarti le tue budella. —

Si era messo a correre a tutta lena, spiccando di quando in quando dei grandi salti, spronato da un fragore di zoccoli che risuonavano vicinissimi a lui.

Dall’automobile il canadese o l’ex-baleniere continuavano a sparare ad intervalli di mezzo minuto.

Lo studente però, avvolto da quel gelido sudario, si trovava immensamente imbarazzato a mantenere una esatta direzione, anche perchè il vento spostava il rimbombo dei colpi.

Nondimeno non cessava di correre, raccomandandosi ai suoi garretti, fortunatamente robustissimi.

Diamine!... Si era ben allenato sulla pista di Cambridge prima di misurarsi coi corridori d’Oxford.

Correva come il vento, colle braccia tese innanzi per prevenire una disastrosa caduta, la bocca ben chiusa e le nari invece bene aperte, in preda ad un’angoscia che fino allora non aveva mai provata.

Dietro di sè udiva sempre il rombo prodotto da una ottantina di zoccoli percuotenti il ghiaccio.

I buoi gli davano una caccia spietata, accanita, colla speranza di fargli fare un bel salto in aria e di ricevere il suo corpo sulle punte delle corna.

Avevano però da fare con un vero campione di corsa, poichè lo studente manteneva la distanza tuffandosi sempre più nel nebbione.

— Se non ci vedo io, non ci vedranno nemmeno loro, — si diceva il fuggiasco, allungando sempre. — Quando troverò l’automobile? —

Ad un tratto si tolse dalle spalle uno dei fucili, si arrestò un momento e scaricò sei colpi dietro di sè, a casaccio, all’altezza d’un metro.

— Ormai mi hanno scoperto, — disse, riprendendo la corsa, — tanto vale quindi a rispondere al signor Gastone. —

Due spari risposero tosto a quella scarica. Il canadese e l’ex-baleniere segnalavano sempre la loro posizione.

Quei colpi erano echeggiati vicinissimi, forse alla distanza di cinque o seicento metri.

Il treno quindi non era lontano e non doveva essere difficile ritrovarlo se gli spari continuavano.

Lo studente si orientò rapidamente, impugnò il secondo fucile e riprese lo slancio urlando:

— Forza, campione di Cambridge!... Batti il récord di Oxford! —

Pareva però che anche i buoi muschiati volessero stabilire il récord polare, poichè non cessavano un istante di galoppare sulle tracce del disgraziato studente.

Avanzavano con un fragore d’uragano, muggendo ferocemente, furiosi di non aver ancora potuto raggiungere il fuggiasco che li teneva così bene in scacco e di non aver ancora potuto affondare le loro corna nelle sue carni.

Un altro minuto di corsa disperata, poi due lampi squarciarono il nebbione a pochi metri dinanzi allo studente.

L’automobile ed il suo carrozzone stavano a pochi passi, pronti a ripartire poichè il guasto, più per opera del canadese che dell’ex-baleniere, il quale se avesse potuto l’avrebbe invece aggravato, era stato nel frattempo riparato.

— Signor Gastone!... Dik!... — gridò lo studente con voce strozzata.

— Qui!... Qui!... — rispose subito il canadese.

— I buoi!... I buoi!... Mi danno la caccia!...

— Li odo!... Saltate!... —

La sirena lacerò l’aria, mentre il motore ricominciava i suoi teuff-teuff affannosi.

Walter in quattro salti raggiunse l’automobile ormai visibile pei suoi fanali proiettanti attraverso la nebbia due splendidi fasci di luce, si slanciò sul predellino e cadde fra le braccia del canadese il quale grido subito:

— Via Dik!... A cinquanta miglia!... —

Poi prendendo una bottiglia di wisky ancora mezza piena, la porse allo studente, dicendogli:

— Mandate giù un sorso e poi sparate. —

I buoi muschiati giungevano come una valanga, in gruppo serrato, le teste basse, colle corna quasi rasentanti la superficie gelata.

Guai se tutte quelle masse, lanciate come erano, si fossero precipitate addosso al treno. Fortunatamente giungevano con qualche mezzo minuto di ritardo.

— Via, Dik!... — ripetette il canadese, impugnando le due grosse Colt.

L’automobile scricchiolò tutta sotto lo sforzo supremo fatto per sbarazzare le sue ruote dal ghiaccio che le imprigionava, con un salto raggiunse il livello del banco e si slanciò innanzi rumoreggiando sinistramente.

I buoi vedendola fuggire non interruppero la loro corsa, anzi raddoppiarono di velocità, ma un fuoco terribile partito dai due lati dell’automobile e che gettò a terra tre o quattro di loro li obbligò ben presto a sostare.

D’altronde non avrebbero potuto gareggiare a lungo con quella splendida macchina che divorava la via sfondando il nebbione. Qualche istante dopo il loro galoppo furioso cessava, mentre il canadese e lo studente lanciavano le loro ultime cariche.

— Signore, — disse Dik, il quale cominciava a rallentare, temendo di trovarsi, da un istante all’altro, dinanzi qualche canale pronto ad inghiottirli tutti. — Così non possiamo continuare.

Io non posso rispondere delle vostre vite se questo nebbione non si alza.

— Infatti è una corsa da pazzi che finirà in una catastrofe, — disse il canadese, il quale pensava pure alla possibilità di fare un terribile salto in qualche spaccatura del campo di ghiaccio. — Si odono più i buoi?

— No, signor Gastone, — disse lo studente. — I miei amici sono rimasti indietro e ci hanno perduto di vista.

— Potete avanzare al passo con piena sicurezza, Dik?

— I fanali proiettano abbastanza luce per scorgere a tempo un ostacolo.

— Allora tirate innanzi come potete, mantenendo la rotta sempre al nord.

Rimonteremo più tardi la riva.

E voi, Walter, come vi siete smarrito nel nebbione? Simili imprudenze, come avete veduto, possono costare la vita.

— Mi è costata invece, le gambe la mia, — rispose lo studente, ridendo. — Ah!... Che corsa, signor Gastone!... Se tornerò un giorno in Inghilterra lancerò una sfida in piena regola a tutti i corridori dell’Università di Oxford e di Cambridge insieme, sicurissimo ormai di batterli senza troppa fatica.

Meno male che tirando su di me l’attenzione dei buoi, ho lasciato a voi il tempo di lavorare tranquilli.

Era grave il guasto?

— Oh!... — rispose il canadese, facendogli segno di troncare subito.

— Che diavolo vi è qui sotto? — brontolò lo studente, un po’ impressionato dall’aria grave del canadese.

Il dialogo termino lì.

L’automobile intanto continuava ad avanzare quasi a passo d’uomo, sempre affogata in mezzo al nebbione. Dik non osava lanciarlo, quantunque la luce dei fanali, potentissima, si proiettasse fino ad una decina di metri.

Quella marcia durò un paio d’ore, poi il canadese comando l’alt.

— Andiamo a prepararci la colazione, Walter, — disse, — e voi Dik, giacchè non temete nè il freddo nè gli orsi, andate a esplorare un po’ la via.

Prendetevi un fanale e non dimenticate il fucile. —

Attese che lo chaffeur si fosse allontanato, poi si ritrasse nel carrozzone assieme allo studente e accese la lampada e la stufa.

— Amico mio, — disse poi, — che cosa avete voi pensato di quel guasto misterioso?

— Aspettavo da voi anzi una spiegazione, — rispose lo studente. — Si trattava di cosa grave?

— No, perchè è forse mancato il tempo all’autore del guasto di dare il colpo di martello esattamente, ma un po’ più innanzi, ed il radiatore, l’anima della nostra macchina, andava a pezzi.

— Signor Gastone, quello che mi narrate è molto grave.

— Non dico di no, — rispose il canadese, il quale appariva assai preoccupato.

— Sicchè voi dubitereste di Dik?

— Non potrei affermarlo, tuttavia....

— Ed a quale scopo il baleniere avrebbe tentato di arrestarci?

— Chi lo sa? Vi potrebbe essere sotto la mano di Torpon.

— Signor Gastone, quel guasto non potrebbe essere stato prodotto da qualche scossa o da una cornata di qualche bue muschiato?

— Non è possibile.

— Corpo di tutti i fulmini di Giove!... Che la faccia di quel Dik non mi rassicuri pienamente, non ve lo nego, tuttavia non lo crederei capace di compiere una simile infamia.

— Potrò essermi ingannato, Walter, però vi consiglio di aprire anche voi ben bene gli occhi.

È facile guastare un automobile, e se ciò accadesse non dovremmo più pensare a conquistare il Polo.

— Aprire gli occhi!... Non lascerò un solo momento, da questo istante, il baleniere, e se lo sorprendo, giuro su tutti i fulmini di Giove di fracassargli il cranio con una rivoltellata.

Ed ora signor Gastone, prepariamoci la cena. —




Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.