< Una sfida al Polo
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Capitolo XXIII - L’ultimo mammouth
XXII XXIV

CAPITOLO XXIII.


L’ultimo mammouth?


Come ebbero mangiato in fretta per approfittare delle poche ore di luce che rimanevano, avvicinandosi rapidamente la lunga notte polare, i tre esploratori che sentivano un grande bisogno di muoversi per combattere il torpore che li invadeva in causa del grande freddo, presero le armi e si allontanarono verso il settentrione, colla speranza di fare l’incontro di qualche orso.

Ne avevano già veduti parecchi durante la loro fulminea corsa e si tenevano certi di sparare non pochi colpi di fucile.

Pel treno, affondato nella neve fino alla parte inferiore dello chassis, non avevano nulla da temere, tanto più che avevano prima sprangato il carrozzone il quale conteneva i viveri.

La selvaggina non si presentava troppo abbondante. Qualche volpe polare scappava con velocità fulminea, sfidando le palle che lo studente le sparava dietro senza riuscire a colpirle; abbondavano invece i volatili, specialmente i borgomastri ed i gabbiani, ma nessuno pensava a sprecare delle munizioni diventate ormai piuttosto scarse.

Avevano percorso un paio di chilometri quando, con loro grande sorpresa, trovarono impresse sulla neve delle orme gigantesche che non potevano essere state prodotte dalle zampe di orsi bianchi, gli animali più grossi fino allora conosciuti.

— Signor Gastone, — chiese lo studente, al colmo dello stupore. — Quale bestione può aver impresse su questa neve queste orme? —

Il canadese invece di rispondere si era curvato, guardandole attentamente.

— È strano!... — esclamò finalmente. — Si direbbero traccie di elefanti!... —

Lo studente rispose con una sonora risata.

— Degli elefanti al Polo!... Ah!... Signor Gastone, che cosa dite voi mai?

— Vi stupite?

— Non siamo già all’equatore. Non sentite questo freddo cane?

— E allora?

— Vorreste proprio dire che queste traccie somigliano a quelle d’un pachiderma?

— Pachiderma: ben detto, mio caro Walter, perchè la bestia che è passata per di qua non può appartenere che a quella famiglia.

— Volete scherzare, signor Gastone.

— Niente affatto. Chi può assicurare che i giganteschi mammouth, quei fratelli degli elefanti, che un tempo popolavano queste regioni, siano veramente tutti scomparsi? Chi ha esplorate queste terre per affermare ciò?

— Infatti, signore, io ho letto in non so quale libro della biblioteca di Cambridge, che in tempi remoti i mammouth abitavano la Siberia e le grandi isole dell’oceano polare.

— Non tanto remoti quanto credete, amico, — rispose il canadese. — Nel 1900, se ben ricordo, giungeva all’Accademia di Pietroburgo la strabiliante notizia che un cosacco aveva scoperto sulle spiaggie dell’oceano polare, in un luogo assolutamente deserto, il cadavere di uno di quei colossali pachidermi in uno stato di conservazione splendido.

Aveva ancora intorno alle sue ossa la carne, e la pelle era ancora coperta di peli: non gli mancava che la proboscide.

— Nel 1900 avete detto?

— Sì, Walter. Ammetto che il ghiaccio abbia conservato a lungo la carne di quel colosso, ma ammetterete pure che non l’avrà conservata per secoli e secoli.

Ciò vuol dire che i mammouth se sono veramente tutti scomparsi, sono finiti molto recentemente.

Ed infatti Behring affermava di aver veduto sulle isole dello stretto degli animali giganteschi, i quali potevano benissimo essere dei pachidermi.

— E fu ricuperato quell’animalaccio?

— Il governo russo, appresa la notizia di quella scoperta, mandò subito in Siberia il conservatore delle collezioni zoologiche di Pietroburgo, ed il mammouth, che si era affondato in mezzo ai ghiacci, poco lontano dal villaggio di Sredne Kolynk, fu portato in Russia non senza grandi difficoltà, non esistendo allora nessuna linea ferroviaria fino agli Urali.

Oggi lo scheletro di quel bestione figura nel museo imperiale di Pietroburgo.

— Che non siano proprio tutti scomparsi?

— Chi lo sa?... Qualcuno può essere sopravvissuto.

— Corpo di Giove!... Una caccia all’elefante al Polo!... Chi ci crederebbe? Signor Gastone, seguiamo queste tracce.

— Certo, Walter.

— Ho udito narrare che la tromba degli elefanti è un vero manicaretto.

— Così si afferma.

— Corpo di tutti i fulmini di Giove!... Se potessi assaggiarla anch’io!...

— Guadagnatevela, signor ghiottone.

— È quello che tenterò di fare.

— Allora in marcia dietro le orme. —

I tre uomini esaminarono prima i fucili, trattandosi d’una caccia tutt’altro che facile, poichè se il mammouth era un animale tranquillo quando non era disturbato, diventava invece, al pari degli elefanti, terribile se assalito; poi si misero in marcia risolutissimi a scovare quell’animale che fino allora si credeva scomparso da qualche centinaio d’anni se non di più.

Le larghe orme si dirigevano verso un picco isolato, contornato da colossali ice-bergs alla sua base e che probabilmente doveva essere un isolotto.

Giunti a duecento metri, i tre cacciatori, con loro non poca sorpresa, scopersero due traccie.

Una si dirigeva verso ponente del picco e l’altra verso oriente. Erano due i colossali pachidermi od uno solo che aveva girato e rigirato intorno agli ice-bergs?

— Dik, — disse il canadese, — se vi trovaste dinanzi ad un simile animale, avreste paura? —

Un sorriso quasi sprezzante spunto sulle labbra dello chaffeur.

— Un uomo che ha ucciso più di venticinque balene può affrontare un elefante, a qualunque razza appartenga, — disse. — Gli sparerò dentro il naso.

— Allora voi girate il picco verso ponente, mentre noi lo gireremo verso levante e se lo trovate spingetelo contro.

— Va bene, — rispose l’ex-baleniere.

Accese la sua pipa, quantunque avesse poche probabilità di fare molte tirate, in causa del freddo sempre intensissimo, e si allontanò col fucile sulle spalle.

Il canadese e lo studente, dopo aver esaminate nuovamente le orme, si misero a loro volta in marcia, girando il picco in senso contrario.

Un’ardore bellicoso animava entrambi. La prospettiva d’una caccia così colossale li esaltava, unita alla grande curiosità di vedere, ancora vivente, un animale appartenente alla razza antidiluviana, scampato chissà per quale miracolo alla formidabile sommersione della crosta terrestre.

Le traccie continuavano, traccie profonde, formate da cinque unghie assai larghe che avevano perfino spezzato il ghiaccio.

Non si poteva ormai più dubitare che si trattasse veramente d’un mammouth o di qualche altro animale simile, forse l’ultimo della sua razza sperdutosi sugli ultimi confini della terra di Ellesmore.

I due cacciatori raggiunsero l’estrema punta del picco che scendeva verso levante in forma d’uno sperone colossale, e piegarono verso il settentrione per incontrarsi con Dik che doveva procedere dal lato opposto.

Le traccie continuavano ma l’animale non compariva. Forse pascolava dall’altra parte, spaccando il ghiaccio colle robustissime zanne per mettere allo scoperto i pochi muschi ed i licheni sepolti sotto.

Già cominciavano a disperare d’incontrarsi con quel colosso, quando uno sparo rimbombò a poca distanza seguito da un urlo acutissimo che li fece trasalire.

— Aiuto!... Aiuto!...

— Dik!... La voce di Dik! — gridò Walter, prendendo lo slancio. — Signor Gastone, accorriamo!...

— Sì, preparate il fucile!... — rispose il canadese, con voce soffocata. — Il mammouth ha assalito il baleniere! —

Girarono a gran corsa una specie di bastione che si stendeva sul fianco settentrionale del picco, ed uno spettacolo terrificante si offerse ai loro sguardi.

Un animale gigantesco, assai più grosso e più alto d’un elefante, armato di due lunghissime zanne ricurve in alto, d’un avorio bianchissimo, aveva afferrato l’ex-baleniere colla sua tromba e lo scuoteva furiosamente a venti metri dal suolo, barrendo spaventosamente.

Il disgraziato chaffeur, semi-soffocato da quella poderosa stretta, agitava pazzamente le braccia e le gambe gettando delle grida orribili.

Il signor di Montcalm in pochi salti raggiunse il colossale pachiderma, imbracciò il fucile e sparò uno dietro l’altro, con una calma meravigliosa, sei colpi, mirando le spalle anzichè la testa.

Il pachiderma, spaventato da tutte quelle detonazioni che si succedevano senza tregua e colpito in pieno, sciolse la tromba lasciando cadere Dik in mezzo ad un ammasso di neve fortunatamente non ancora gelata, scosse le larghe orecchie, lanciò un formidabile grido di guerra che si ripercosse contro i fianchi della montagna e si scagliò innanzi, cercando di precipitarsi verso lo stretto di Smith che era poco lontano.

Altri sei colpi rimbombarono in quel momento. Walter, passato il primo istante di stupore, a sua volta vuotava il serbatoio del suo mauser.

Il colosso si fermò un momento lasciandosi fucilare quasi a bruciapelo, lanciò tre o quattro barriti spaventevoli, poi, quantunque avesse in corpo ben dodici palle, riprese la corsa verso la spiaggia.

Giunto però sulla ripa si fermo nuovamente lasciando penzolare, quasi inerte, la sua proboscide pelosa, scosse le orecchie, poi rovinò sul pak sottostante con un cupo rimbombo.

L’ultimo mammouth era morto!...

Mentre fuggiva, il canadese si era slanciato verso Dik il quale si teneva le mani strette ai fianchi.

— Siete ferito, Dik? — gli chiese premurosamente.

— Bah!... — rispose lo strano uomo con un sorriso. — I balenieri hanno le costole dure. Se però tardavate un istante a giungere, non so se avrebbero resistito ad un’altra stretta.

Quei bestioni posseggono la forza delle balene. —

Si alzò senza dimostrare alcuna sofferenza, incrociò le braccia e dopo d’aver guardato lo studente che si era precipitato dietro al mammouth, gli disse:

— Signor di Montcalm, vi devo la vita.

— Mi è costato ben poco a conservarvela. Al mio posto voi avreste fatto altrettanto.

— Non lo so, signore, — rispose l’ex-baleniere, con voce grave.

— Che cosa vorreste dire, Dik? — chiese il signor di Montcalm con stupore.

— Che avendomi salvata la pelle, io vi condurrò al Polo.

— Dik!... Siete impazzito? Io non riesco a comprendervi.

— Mi comprenderete subito quando vi dirò che mister Torpon mi ha dato diecimila dollari per impedirvi di andare al Polo.

— Miserabile!... — gridò il canadese, levandosi la rivoltella che portava alla cintura e puntandogliela contro.

— Uccidetemi pure, — disse l’ex-baleniere. — Siete nel vostro diritto. —

Il canadese aveva subito abbassata l’arma, poi l’aveva rimessa nella guardia.

— Vi ha versato diecimila dollari! — esclamò.

— Sì, signor di Montcalm.

— Mi aspettavo qualche brutto tiro da parte di quel yankee. Mi stupisce però che voi vi siate lasciato comperare da quell’uomo.

— Sono un miserabile, signore, — rispose Dik, con voce sorda. — Che cosa volete? Quei diecimila dollari caduti dal cielo mi avevano acciecato.

In quel momento pensavo con quella somma di armare una piccola goletta e di ritornare baleniere per mio conto.

— Confessate di aver cercato di rovinare il nostro motore?

— Lo confesso.

— Disgraziato, e non pensavate che perdendo noi nelle solitudini gelate del Polo perdevate anche voi?

— A questo non ci avevo pensato.

— Io avrei il diritto di uccidervi.

— Non ve lo contesto: se volete, armate la vostra rivoltella e finitemi. Questa vita che voi avete strappata alla proboscide di quel bestione vi appartiene.

— No, — disse il canadese. — Io non commetterò mai un assassinio così, a sangue freddo, ma vi avverto Dik, che se vi sorprendo a guastare la mia automobile vi ammazzerò come un cane, e vi avverto pure che io sono un uomo da mantenere la parola.

— E farete bene, signor di Montcalm. Dovendovi però troppa riconoscenza, siate sicuro che io farò tutti gli sforzi possibili per condurvi al Polo.

— Non se ne parli più di questo affare. Se il destino mi farà incontrare Torpon, qualche cosa di terribile succederà, e le nevi immacolate del Polo si tingeranno per la prima volta di sangue umano.

Seguitemi: andiamo a vedere l’ultimo mammouth, poichè sono certo che è l’ultimo della sua razza.

— Mi avete perdonato, signor di Montcalm?

— Vi ho detto di sì, — rispose un po’ asciutto il canadese.

— Vi giuro che sarò da questo momento il vostro fedele marinaio.

— Vedremo. —

Raccolse il fucile e si diresse verso la spiaggia, dove si udiva lo studente strepitare come un’oca marina.

In meno di cinque minuti i due esploratori raggiunsero la ripa dalla quale era rotolato sul pak il gigantesco animale.

Il ghiaccio che copriva il canale di Smith doveva avere uno spessore enorme, poichè non aveva ceduto sotto l’enorme urto, sicchè il colosso non si era sprofondato nel mare.

Giaceva rovesciato sul fianco sinistro, colla proboscide tesa dalla quale era uscita una larga pozza di sangue, colla bocca spalancata dalla quale era sfuggito l’ultimo barrito e l’ultimo rantolo. Una delle sue gigantesche zanne si era spezzata ed era rimbalzata a cinque o sei metri dal corpo; l’altra invece si ergeva ancora minacciosa, arcuata in alto, molto più bianca dei denti degli ippopotami che danno il miglior avorio, assai superiore a quello degli elefanti.

— Che sia proprio un vero mammouth, signor Gastone? — chiese Walter al canadese, girando e rigirando intorno alla mostruosa massa.

— Avete mai veduto degli elefanti con delle zanne così arcuate?

— Io no.

— E così coperti di pelo? Se guardate bene il pelame e di due tinte diverse: uno breve, fitto, rossastro ed il secondo più lungo e più biondastro.

— Infatti è vero.

— Anche la coda è diversa da quella degli elefanti: guardatela. È più breve, poichè non misura più di cinquanta o sessanta centimetri ed è formata esclusivamente da peli neri.

— E questi colossi devono possedere una vitalità straordinaria. Dodici palle e palle di mauser e sparate, almeno da parte mia, in direzione del cuore.

— Mio caro, nel mammouth scoperto a Sredne Kolynk si è potuto constatare che le pareti del cuore avevano la bagatella di cinque centimetri di spessore.

— E sono intelligenti questi animali?

— Non meno degli elefanti, avendo il loro cervello uno sviluppo quasi eguale.

— E voi dite che un tempo erano numerosissimi in queste regioni?

— Non solo qui, bensì, ma in Siberia e perfino allo Spitzberg.

— E perchè sono scomparsi? Distrutti a poco a poco dal freddo o dalla fame?

— No, gli scienziati danno una versione ben diversa. La causa che ha determinate la fine di questi colossi, che secoli indietro dovevano essere numerosissimi, a giudicarlo dalla grande quantità d’ossami che si scoprono continuamente, specialmente in Siberia, la si deve cercare nel movimento dei ghiacciai.

Rotolando questi, attraverso le valli, continuamente dei massi, vi formavano delle vere trappole sulle quali i mammouth si arrischiavano per cercare i muschi ed i licheni dei quali avevano bisogno per nutrirsi.

L’enorme peso degli animali sfondava quelle croste di ghiaccio ed i disgraziati precipitavano in gran numero dentro quelle trappole senza poter poi più uscire.

Infatti tutti gli avanzi dei mammouth si sono sempre trovati a dieci e perfino a quindici metri sotto lo strato attuale del ghiaccio.

Dik, andate a prendere un paio di scuri e tagliate un pezzo di proboscide, — continuò il canadese, volgendosi verso lo chaffeur. — Noi l’assaggeremo, è vero Walter?

— Ve la preparerò in salsa piccante.

— Come vorrete, amico, — rispose il canadese, ridendo.

Mezz’ora dopo i tre uomini tornavano al treno reggendo a grande stento mezza tromba del disgraziato animale, la quale non pesava meno di centocinquanta chilogrammi, aumentando così considerevolmente le loro provviste diventate già piuttosto scarse.

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