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XXXI
PER LA MONACAZIONE DI SILVIA DELLA MARRA
Al padre di lei, duca della Guardia
Verginella innocente in bianco velo,
miro pura donzella,
tutta candida e bella,
far de la sua beltá giudice il cielo;
calca i fasti e le pompe e sembra umíle,
in sua tenera etá, giglio d’aprile.
Nel suo casto voler ferma ed immota,
tronca il biondo tesoro
e consacra quell’oro,
Berenice novella, al ciel devota;
e di Cristo imitando il regio crine,
la sua tenera fronte orna di spine.
Veste candida lana e bianco lino,
che si ritorce in onda
cosí pura e gioconda,
che somiglia in candor terso armellino;
e ben dovea chi di colomba ha il core,
di colomba vestir l’almo candore.
Serba il sacro silenzio i muti nodi
in quel labbro modesto;
ma poi libero e presto
l’apre, dando al suo sposo inni di lodi;
serve con libertá signore immenso,
signoreggia le voglie e doma il senso.
Dentro spine di ferro intatta rosa,
ha del mondo vittoria;
di sua fuga si gloria,
poggia sopra le stelle e in terra posa;
con devota umiltá china i ginocchi
e la mente inalzando abbassa gli occhi.
Prigioniera, a la terra invia piú franca
la sua candida mente;
bella, casta, innocente,
alba sembra a la gonna intatta e bianca;
e mentre di pietá raggi sfavilla,
di sue lagrime pie rugiade stilla.
O felici serragli, o sacre mura,
che chiudete e serrate
quel tesor di beltate,
quella gemma d’onor sí tersa e pura;
riverente a voi giro i lumi e i passi,
vi saluto con gli occhi e bacio i sassi.
E tu d’opra sí pia, signor, ben pago,
godi d’aver produtto
sí generoso frutto,
che serba fior di puritá sí vago;
deh, se paterno amor ti punge il petto,
mostra che ’n ciò sai dominar l’affetto.
— Padre — par ch’ella dica, — oggi m’ascondo
dentro un’angusta cella,
per fuggir la procella
del tempestoso ed agitato mondo.
«Ben mostra per salvarsi animo accorto
«chi fugge la tempesta e corre al porto». —