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NOTIZIE
intorno
ALLA VITA E AGLI SCRITTI
del marchese
SCIPIONE MAFFEI
Scipione Maffei nacque in Verona il giorno 1.º di giugno dell’anno 1675 dal marchese Gianfrancesco Maffei e da Silvia Pellegrini, amendue di famiglia patrizia di que111 illustre città. Dopo l’educazione domestica venne egli mandato nel collegio dei Gesuiti di Parma. Datosi di buon’ora alla poesia, seguì da principio gli autori che aveano maggior grido nello sfortunato secolo decimosettimo; ma confortato dai consigli e dagli esempi del Maggi di Milano e del Pastorini di Genova, ben presto si rivolse allo studio dei Classici, che imitò poscia costantemente. Abbracciò nella gioventù il mestiero delle armi, e nell’anno 1704 trovossi alla giornata di Donawerth in compagnia di suo fratello ch’era generale ai servigi della Baviera. Restituitosi in patria, attese nuovamente e con indefesso studio alle belle lettere ed alla storia, coltivate sempre da lui congiuntamente e con quella filosofia che è l’anima sì delle une come dell’altra. Nel 1710 mandò alle stampe il libro della Scienza Cavalleresca, in cui, coll’aiuto dell’erudizione e del dritto ragionare, dimostrò in elegante stile la barbara origine del duello, l’ingiustizia sua, le perniciose conseguenze che ne derivano, non che la vanità di quelle regole e di que’ precetti che si erano da alcuni oscuri scrittori voluti nobilitare col fastoso nome di scienza. Nell’anno 1712 diede fuori in Parigi, colla data di Zurigo, il libretto scritto in idioma latino, risguardante l’Ordine Costantiniano. Lavorava egli intanto pel Giornale dei Letterati, di cui fu uno de’ principali promotori insieme collo Zeno e col Vallisnieri. In esso ebbe più volle a rispondere ai Gesuiti autori del Giornale di Trevoux, i quali godevano in ogni incontro di malmenare l’italiana letteratura. Vedendo poi il Maffei siccome si fosse grandemente propagato fra di noi il gusto del teatro francese, onde richiamare gli Italiani all’amore delle cose proprie, indusse i comici a rappresentare alcune delle più celebrate tragedie del Cinquecento. Di esse anzi compilò una raccolta, la quale, coll’aggiunta di altre d’autori più recenti, venne poscia data fuori da lui nell’anno 1723, col titolo di Teatro italiano. Vi premise una dissertazione, in cui dopo aver tessuta una breve istoria del nostro teatro dà bonissimi avvertimenti per chi voglia comporre tragedie, e si fa a notare i difetti delle tragedie francesi, le quali, per vero dire, sovrastavano di lunga mano a quanto erasi presso di noi scritto fin allora in quel genere. Ma più veramente ottenne il fine a cui mirava, alloraquando compose la Merope, di cui tolse a soggetto l’estratto che Igino ci lasciò d’una delle più belle tragedie d’Euripide ora fatalmente smarrita. A scriverla fu spinto ancora dalla conversazione d’un’abile e famosa attrice, Elena Riccoboni, dotta non solo nell’arte sua, ma ancora nell’italiana poesia. Fu perciò data accusa al N. A. che per cagione di lei avesse scelto a protagonista della sua tragedia un personaggio femminile. La Merope è una delle più celebri e lodate fatiche del Maffei, ed è la prima tragedia italiana in cui si abbia un intreccio regolare, schivata la troppo servile imitazione dei Greci. Quantunque il poeta siasi astenuto in essa dall’amore e dalla galanteria, non di manco quella tragedia riuscì tenera ed appassionata per esservi dipinto e posto in azione con somma maestria il più vivo affetto materno. Lindo, corretto, con proprietà di dire ed armonica facilità di verso è lo stile della Merope. Comparve essa alla luce nel 1714, e tosto venne accolta con sommo favore sì in Italia che fuori: fu quindi rappresentata moltissime volte di seguito in diversi luoghi, e se ne fecero parecchie edizioni e traduzioni nelle lingue straniere. Non v’ha però opera, per quanto merito abbia, che possa sfuggire alla critica: di fatto molti Italiani la censurarono aspramente, come il Lazzarini ed il Valaresso. Il Voltaire avea pensato di volgere in francese la Merope del Maffei: ma poi cangiato consiglio, amò meglio di trattare egli stesso il soggetto medesimo. Nell’atto d’indirizzare con molte lodi all’Autore della Merope italiana la sua, avea notati, quantunque con astuzia particolare, alcuni difetti di quella. A ciò rispose il Maffei coll’esaminare di ricambio, ma forse troppo duramente, la Merope del suo competitore, il quale per vendicarsi stampò di poi sotto il nome di la Lindelle un’acerba critica della tragedia dell’Autor veronese. Con tutto ciò essa, anche dopo le molte tragedie dell’immortale Astigiano, che pure volle provarsi nello stesso argomento, è tenuta in conto d’una delle migliori composizioni drammatiche italiane. Compose inoltre il N. A. due commedie, le quali verseggiate e condotte languidamente non gli hanno procaccialo gran lode.
Il Maffei non avea in alcuna occasione giammai nominato nelle sue opere fra gli scrittori tragici Pier Jacopo Martello. Quest’autore, che ha dato fra noi il nome al verso di quattordici sillabe, erasi anch’egli studiato d’ottenere la riforma della tragedia in Italia; e come nella versificazione, così pure nel rimanente della composizione avea preso ad imitare specialmente i Francesi, benchè per altro cercasse di conciliare in qualche parte il loro gusto con quello dei Greci. Non pareva quindi a lui di meritare quell’obblio, e se lo recava a torto; ond’è che non potendo contenere il suo risentimento, compose un dramma satirico col nome di Femia sentenziato, in cui acremente mordeva il N. A., e tacciavaio d’ingratitudine perchè avesse dimenticato colui ch’erasi sempre dato cura d’encomiare la persona, gli scritti e la stessa Merope del Maffei. Il Martello distese il Femia (anagramma di Mafei) in verso sciolto, forse per mostrare che se nelle tragedie sue avea usata altra maniera di verso, non l’area punto fatto per mancanza d’abilità. Codesto dramma è scritto con bella ed aggiustata dettatura, e con certo stile lavorato ed evidente, sì, che il Parini confessava di non aver preso qualche norma del verseggiare da lui usato negli immortali suoi poemetti da nissun altro autore, fuor che dal Martello nel Femia. La stampa di questo componimento punse assaissimo il Maffei, il quale avendo fatto praticare alcuni uffici presso il Martello, questi, buono com’era di cuore, ritirò quante copie potè del Femia, dal che è venuta la somma sua rarità.
Lo studio dell’erudizione che era sempre vivo nel Maffei, e che faceagli trascorrere i campi non solo dell’antica storia, ma ancora quelli del medio evo, che allora incominciavano appunto a coltivarsi con profitto, gli suggerì l’idea della Storia diplomatica, da lui fatta di pubblica ragione nell’anno 1727. In essa s’accinse a tessere la storia degli antichi diplomi, e pose sott’occhio dei leggitori una serie di tali monumenti debitamente illustrati, da cui, più che dai nudi precetti, si può imparare quali siano i caratteri dell’autenticità o della falsità di quelle vecchie scritture. Dopo aver parlato delle materie di cui si fecero diplomi, non che di quant’altro al soggetto medesimo appartiene, il Maffei diede notizia delle principali raccolte d’atti antichi che a’ suoi dì si conosceano. Frutto dello stesso amore delle cose istoriche fu la Verona illustrata, da lui mandata in luce nell’anno 1732. Nella prima parte di quest’opera, che viene a buon dritto stimata una delle più grandi del N. A., egli esaminò la storia di Verona, non che dell’antica Venezia, cominciando da’ tempi de’ quali ci sono rimaste memorie, e venendo fino a Carlo Magno. Dovette perciò tener discorso delle arti, dell’agricoltura, delle costumanze, delle istituzioni civili e religiose, e finalmente della condizione fisica e morale in cui trovossi in diversi tempi quella città e quella provincia. Nella seconda parte trattò della storia letteraria di Verona: nella terza di quanto havvi degno d’ammirazione in codesta cospicua città: ed in fine nella quarta parlò degli anfiteatri, presa occasione dalla famosa Arena che tutt’ora ivi sussiste, e che è uno de’ più begli avanzi dell’antica magnificenza. Nell’anno 1732 intraprese il viaggio per la Francia colla mira principalmente d’osservare quanto vi rimane d’opere e di memorie de’ Romani. Scorsa quindi con molta cura la Provenza, che offre maggior copia di que’ monumenti, giunse nell’anno seguente, cioè nel 1733, a Parigi, ove pubblicò il frutto de’ suoi viaggi antiquarj col titolo di Alcune scelte Antichità delle Gallie divise in venticinque lettere latine indirizzate a diversi suoi amici. Nel tempo in cui il Maffei dimorava nella capitale della Francia, vi bollivano più che mai le controversie intorno al Giansenismo. Il N. A. che avea somma perizia nelle teologiche faccende, di che avea già offerto qualche saggio in varie sue operette poste a stampa; volle accingersi a scrivere l’istoria delle dottrine che aveano dato nascimento a quella contesa: al qual oggetto rimase per tre anni e mezzo in Parigi, vivendovi per altro solitariamente. Siccome poi il Maffei avea allora stretta nuovamente amicizia coi Gesuiti, erasi pure grandemente accostato alle loro opinioni. Dalla Francia passò egli nell’Inghilterra, ove fu accolto ed onorato in bel modo dai principali dotti di quel paese e dalla Reale famiglia. Fu in quell’occasione ch’egli stampò ed intitolò al Principe di Galles la traduzione in versi italiani del primo libro dell’Iliade, del qual poema egli tradusse e pubblicò in tempi posteriori due altri libri. Dovette poi avere una grandissima compiacenza di sè medesimo, quando portatosi a visitare in una sua villa sul Tamigi il Pope, trovollo occupato intorno alla Merope, di cui quel sommo poeta aveva allora intrapresa una versione in inglese che poscia non condusse a fine. Dalla Gran Brettagna andò per l’Olanda a Vienna, pigliandosi sempre cura di visitare i luoghi chiari per antichi monumenti. Nel 1736 finalmente si restituì in Verona. Altri viaggi intraprese poi per la media Italia, all’effetto specialmente di raccogliere memorie intorno agli Etruschi; e di fatto egli pubblicò parecchi scritti i quali trattano dello stato di quell’antico e possente, ma pressochè sconosciuto, popolo. L’affetto per le cose archeologiche, e la cognizione che avea di esse, lo indussero a fondare ed ornare con somma diligenza e dispendio il Museo Veronese, nè lasciò alcuna via intentala onde indurre i suoi cittadini ad ampliarlo, avendo le cure sue sortito un ottimo esito. Delle antichità che si contengono in questo Museo pubblico egli in seguito un’acconcia illustrazione insieme con quella del Museo Torinese, del Viennese, non che di parecchi altri vetusti monumenti. Nell’anno 1742 mando in luce l’Istoria teologica delle dottrine e delle opinioni corse nei cinque primi secoli della Chiesa in proposito della divina grazia, del libero arbitrio e della predestinazione. Egli avea incominciato quell’opera in Parigi, e poscia erasi trattenuto intorno a lei con molto amore: finalmente nel viaggio che fece a Roma la sottopose al giudizio d’assennati e valorosi teologi. Se pero in tale storia diede a divedere quanta dottrina ed acume egli avesse nelle cose ecclesiastiche, si trasse addosso l’odio e gli scritti di coloro che pensando in differente loggia lo tacciarono d’aperto Molinismo. Maggior impaccio gli procurò ancora l’altra sua opera pubblicata nel 1744, che ha per titolo Dell’impiego del danaro, in cui si fece a dimostrare che il ricever interesse nel prestito non è contrario alla morale o alla Scrittura, giacchè videsi assalito da intolleranti avversarii, e perseguitato dalla stessa civile Autorità che lo rilegò da Verona in una sua villa, ove stette per ben quattro mesi. Con altre sue dotte scritture imprese quindi a provare la vanità dell’arte magica, e nel suo trattato de’ Teatri antichi e moderni combattè gli argomenti co’ quali il rigoroso P. Concina interdiceva ad ogni Cristiano l’assistere alle sceniche rappresentazioni. Noi abbiamo fatta menzione delle opere principali del Maffei, ma altre ancora, sia morali, sia teologiche, sia d’erudizione lapidaria, diplomatica, archeologica d’ogni genere, non che parecchie sue culte poesie sono a stampa, come pure molte lettere, articoli e dissertazioni in lui sono sparse nei giornali e nelle collezioni di quei tempi. Coltivò anche la fisica, e di ciò ne sono testimonio le Lettere sopra i fulmini, ed il libretto che tratta degli insetti rigenerantisi, de’ pesci impietriti e dell’elettricità. Fu Provveditore del Comune di Verona, e con zelo non ordinario attese a procacciare il vantaggio della patria. Clic poi assai avanti sentisse nelle cose di stalo, hassene la prova nell’operetta che lascio manoscritta, e che ha per titolo: Suggerimento per la perpetua prese reazione della Repubblica veneta atteso il presente stalo d’Italia e d’Europa, nel quale diede utilissimi consigli onde sostenere in alcuna maniera quel vacillante governo, proclamando la grande massima che per essere liberi e dominanti è di mestieri l’esser potenti, e che uno stato non è potente se non allorquando tutti i sudditi sono impegnati pel proprio interesse a sostenerlo. Finalmente dopo 79 anni d’una vita attiva e studiosa il marchese Maffei morì il giorno 11 febbraio 1755, compianto da’ suoi compatriotti, e dagli stranieri ben anco, che cotanto ne apprezzavano lo svogliatissimo ingegno. Dopo la sua morte l’Accademia Filarmonica di Verona fece rimettere sulla porla del Museo l’iscrizione e il busto che avea posto al Maffei ancor vivo, e che egli con rara modestia avea l’alto levare di là,