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Poi appresso convien che questa caggia
Infra tre soli, e che l'altra sormonti.
Con la forza di tal, che testè piaggia.
Alte terrà per lungo tempo le fronti
Tenendo l'altra sotto gravi pesi,
Come che di ciò pianga e che n'adonti.
Giusti son due, e non vi sono intesi
Superbia, invidia ed avarizia sono
Le tre faville ch'hanno i cori accesi.
INF.VI.
Nella rivoluzione che seguì a Firenze per l’intervento straniero del Valois, non ebbe parte Dante, assente, e non mai più ripatriato se non per patirne fino alla morte. Ma appunto perchè ne vennero questi suoi patimenti, l’esilio e le quattro condanne, le calunnie, e poi l’ire miste d’amore verso la patria, quasi a una infedele ancor diletta, parmi, che a far giudicio poi di tutto ciò, sia necessario farlo ora di questa rivoluzione: ondechè continuerò a dirne coi particolari tratti da’ contemporanei. Oltrechè, gioverà forse porgere un esempio di più di queste scene di parti con lor debolezze e paure, fedi rotte, soverchierie e persecuzioni; e lo straniero che sopraggiugne, piaggiando prima e tiranneggiando poi. Che se son cose simili ad altre non che lette, udite, e vedute e sofferte da molti, vi son pure, tra molte somiglianze, alcune differenze recate dai tempi e i costumi. E poi, certe cose vi hanno non si ridicon mai troppo, e certi esempi che si vorrebbono citar di continuo affinchè si rinnovino meno; e solea dir Napoleone, che tra le figure di rettorica, la più utile è quella della ripetizione.
Entrò Carlo a Firenze, od anzi solamente, come pare, nell’Oltrarno, addì 1 novembre1; ed entrarono con lui, come per fargli onore, Lucchesi, Perugini, Sanesi, messer Cante Gabrielli da Gubbio (che in breve vedremo podestà), Malatestino e Mainardi da Susinana, ed altri Guelfi puro o Neri, a quattro, a sei, a centinaja per volta; sicchè, tra questi e i suoi, Carlo si trovò con mille dugento cavalli. Pregato di smontare dove già il Re Carlo e gli altri gran signori soleano, non volle, e smontò in
casa i Frescobaldi oltre Arno, e vi si fortificò. I Priori, per non essere sospetti a niuna delle parti, s’elessero un consiglio di quaranta cittadini d’amendue. "Quelli che aveano reo proponimento, non parlavano; gli altri aveano perduto il vigore. Baldino Falconieri ..... tenea la ringhiera impacciata mezzo il giorno, ed eravamo nel più basso tempo dell’anno. Messer Lapo Salterelli, il quale molto temea il Papa ....; per appoggiarsi co’ suoi avversari, biasimava i Signori, dicendo:Voi guastate Firenze: fate l’ufficio nuovo comune; recate i confinati in Città; e havea messer Pazzino de’ Pazzi in casa sua, che era confinato, confidandosi in lui, che lo scampasse, quando fosse tornato in stato". Quindi, certo, il disprezzo espresso poi da Dante contro questo dubbioso doppio uomo2.
Alberto Del Giudice, "ricco popolano, malinconico e viziato", instava perchè dismettessero i Priori, e se ne eleggesser de’ nuovi, e si facesser tornare i confinati. Messer Loteringo de’ Montespertoli voleva che a farli entrare, si traessero le porte de’ gangheri. Messer Andrea da Cerretto, savio legista, e d’antico Ghibellino fatto Guelfo Nero od esagerato, domandato ora da Dino se si potea far quell’elezione dei Priori nuovi fuor di tempo, rispose che non si potea3.
In questo, ritornarono, restando Dante in Roma, i due ambasciatori colleghi di lui, mandati indietro dal Papa. L’uno, Maso Minerbetti, uomo senza volontà propria; l’altro il Corazza, tanto Guelfo, che appena credea potesse rimaner volontà in nessuno narrandogli le parole del Papa. Quali fossero tali parole, non è detto; ma fattane giurar credenza, cioè segreto, ai due ambasciatori, e adunato un consiglio di sei legisti, fu preso il partito d’obbedire, e scrivere subito al Papa: - "Uno falso ambasciatore palesò la imbasciata; Simone Gherardini havea loro scritto da Corte, che il Papa gli avea detto: Io non voglio perdere gli huomini per le femminelle. I Guelfi Neri sopra ci consigliarono, e stimarono, per queste parole, che gli imbasciadori fossero d’accordo col Papa, dicendo: s’ei sono d’accordo noi siamo vacanti. E incontanente che intesero che al Papa per gli rettori si ubbidiva, subito s’armarono, e messonsi a offendere la città col fuoco e ferri, a consumare e struggere la Città4". E’ chiaro da tutto ciò, che gli ambasciadori, e così probabilmente Dante, erano per l’obbedienza al Papa; e che questa, secondo l’opinione stessa dei Neri, sarebbe stata lor perdizione, o almeno salvamento de’ Bianchi. Ma non era più tempo. I Neri sciolsero la quistione colla violenza.
"I Priori scrissono al Papa segretamente, ma tutto seppe la parte Nera; perocchè quelli che giuraron credenza, non la tennono. La parte Nera havea due Priori segreti di fuori (cioè erano eletti di fuori, ma stavano dentro a tradire), uno era Noffo Guidi, e avea in uso che le cose faceva in segreto, biasimava, e in palese ne biasimava i fattori; il perchè era tenuto di buona temperanza, e di mal fare traeva sustanza5.
I Priori stimolati a depor l’ufficio e accomunarlo, facendo Priori altri scelti dalle due parti, deputarono a ciò Dino, che fece collegio coi deputati di ambe nella cappella di San Bernardo. Si accordarono, si elessero sei Priori nuovi, tre per parte. Il settimo, cioè il GOnfaloniere, "che divider non si potea, eleggemmo di sì poco valore, che niuno ne dubitava. I quali scritti, posi sull’altare. E Noffo Guidi parlò, e disse:Io dirò cosa, che tu mi terrai crudel cittadino. E io gli dissi, che tacesse; e pure parlò, e fu di tanta arroganza, che mi domandò, che mi piacesse far la loro parte nell’ufficio, maggiore; che tanto fu a dire, quanto:disfà l’altra parte, e me porre nel luogo di Giuda. E io gli risposi:che innanzi che io facessi tanto tradimento, darei i miei figliuoli, a mangiare a’ cani; e così da collegio ci partimmo6.
Messer Carlo spesso invitava i Priori a mangiare, ed ei non vi volevano andare per sospetto. Pure una volta ei trasse tre de’ Priori, fra cui Dino, a parlamentare a Santa Maria Novella fuori della Terra. Dino crede che se fossero andati tutti, li avrebbe uccisi; e dice che quando tornarono, molti cittadini lodavan Iddio, che da morte gli avesse scampati. Poi narra, che a consiglio di un santo uomo, chiamato frate Benedetto, fecero fare al Vescovo, una gran processione; di che molti si schernirono dicendo:che era meglio arrolare i ferri. Il Consiglio die’ balìa ai Rettori contro chi facesse rissa o tumulto; pene personali s’imposero, e che mettessero il ceppo e la mannaja in Piazza per punire i malfattori che contrafacessero. Fu cresciuta balìa al Capitano di guerra; ma i loro messi, famigli e berrovieri, li tradivano; e si trovò, che a venti di questi erano stati promessi fiorini mille dagli avversarii. I Neri dicevano: "Noi habbiamo un signore in casa; il Papa è nostro protettore; gli adversari nostri non sono guerniti nè da guerra nè da pace; danari non hanno; i soldati non sono pagati. Eglino aveano messo in ordine tutto ciò che a guerra bisognava per accogliere tutte loro amistà nel sesto d’Oltrarno; nel quale ordinarono tenere Sanesi, Perugini, Lucchesi, Saminiatesi, Volterrani, Sangiminianesi. Tutti i vicini haveano corrotti, e haveano pensato tenere il ponte a Santa Trinità, e di rizzare su due palagi alcuno edificio da gittare pietre; e haveano invitati molti villani d’attorno, e tutti gli sbanditi di Firenze. I Guelfi Bianchi non ardiavano mettersi gente in casa, perchè i Priori gli minacciavano di punire chi raunata facesse, e così teneano in paura amici e nemici. Non doveano gli amici credere che gli amici loro gli havesseno morti....; ma non lasciarono tanto per tema della legge, quanto per l’avarizia. Pare che messer Torrigiano de’ Cerchi fu detto:Fornitevi, e ditelo agli amici vostri7.
"Un sabbato (addì 4) i Neri si armarono co’ loro cavalli coverti, e cominciarono a seguire l’ordine dato. I Medici, potenti popolani, (credo sia la prima volta che si trovan nomati nella storia), assalirono e fedirono un valoroso popolano chiamato Orlanduccio Orlandi, il dì passato vespro, e lasciaronlo per morto. La gente s’armò a pie’ e a cavallo e vennono al Palagio de’ Priori.....Il Podestà non mandò la sua famiglia a casa il malfattore; nè il Gonfaloniere della giustizia non si mosse a punire il malificio, perchè avea tempo dieci dì. Mandòssi per le vicherìe (le borgate all’intorno) e vennono, e spiegarono le bandiere, e poi nascosamente andarono dal lato di parte Nera, e al Comune non si appresentarono.... Venuta la notte, la gente si cominciò a partire, e le loro case afforzarono, e con asserragliare le vie con legname, acciocchè trascorrere non potesse la gente". Gli Scali principalmente fra’ Bianchi, gli Spini fra’ Neri, afforzarono i loro palagi a rincontro l’un dell’altro. Poi faceano questi a quelli buone parole; e così parecchi altri potenti Neri ad altri Bianchi, dicendo: "Deh perchè facciamo noi così? Noi siamo pure amici e parenti, e tutti Guelfi; noi non habbiamo altra intenzione, che di levarci la catena di collo che tiene il popolo a voi e a noi; e saremo maggiori che non siamo. Mercè per Dio. Siamo una cosa, come noi dovemo essere". Così i Bianchi si ammollivano, e i Ghibellini che li sostenevano, s’insospettivano; e non rimase fuori se non poca gente, non altro che alcuni artigiani a far la guardia. Intanto, messer Carlo, mostrando di voler che si punissero i malfattori, domandava la guardia delle porte della Città, e spezialmente del sesto Oltrarno ove dimorava: quelle gli fuorno negate, e queste date; "e levati ne furono i Fiorentini, e messi i Franciosi. E messer Guglielmo cancelliere, e il maliscalco di messer Carlo, giurarono nelle mani a me Dino ricevente per lo Comune, e dièronmi la fede del loro signore: che riceveva la guardia della terra sopra a sè, e gaurdarla e tenerla a petizione della Signoria. E mai credetti che uno tanto signore, e della casa reale di Francia, rompresse la sua fede; perchè passò piccola parte della seguente notte, che per la porta che noi gli demmo in guardia, diè l’entrata a Gherarduccio Buondelmonti ch’avea bando, accompagnato con molti altri sbanditi". I Priori, avvisati da un popolano, mandarono i maestri ad afforzare Porta San Pancrazio; ma i Tornaquinci gli assalirono e cacciarono, e le torri furono abbandonate da’ fanti. Ancora, furono avvisati i Priori, che s’andava per le case invitando ad armarsi per il giorno seguente: e mentre così venian perdendo ogni speranza, venne lor meno anche l’ultima de’ villani, che giungendo, spiccavano l’insegne dell’aste, e gli abbandonavano8.
Della giornata del 5 son dati i particolari più chiaramente dal Villani. "Soggiornato e riposato messer Carlo alquanti dì in Firenze, sì richiese il Comune di volere la Signoria et guardia della Città, et balìa di poter pacificare i Guelfi insieme: et ciò fu per lo Comune consentito. Et a dì 5 di novembre, nella chiesa di Santa Maria Novella, essendovi ragunate le Signorie et Priori di Firenze, fu della sua domanda fatta proposta, e deliberata, et rimessa in lui la signoria et la guardia della Città. Et messer Carlo, dopo la spositione del suo aguzetta, di sua bocca accettò et giurò; et come figliuolo di re promise di conservare la città in pacifico et buono stato; et io scrittore fui a queste cose presente. Incontanente, per lui e per sua gente fu fatto il contrario; chè per consiglio di messer Musciato de’ Francesi, il quale insino di Francia era venuto per suo pedotto, siccom’era ordinato per li Guelfi Neri, fece armare sua gente, innanzi che messer Carlo fosse tornato a casa, che albergava in casa ai Frescobaldi oltr’Arno: onde, per la novitade di vedere la sua gente a cavallo armata, la Città fu tutta in gelosia et in sospetto; et furono a l’armi grandi et popolani, ciascuno a casa suoi amici, secondo suo podere, abbarrandosi la Città in più parti. Ma a casa de’ Priori, pochi vi si ragunarono; et quasi il popolo fu sanza capo, veggendosi traditi e ’ngannati, i Priori, et coloro che reggeano il Comune. In questo, messer Corso Donati, il quale era sbandito e rubello, come era ordinato, il dì medesimo venne a Firenze da Peretola con alquanto sèguito di suoi amici, et con masnadieri a piede. E sentendo la sua venuta i signori Priori et Cierchi suoi nimici, vegnendo a loro messere Sciatta de’ Cancellieri, ch’era in Firenze per loro Comune capitano di trecento cavalieri soldati, et volea andare contro al detto messere Corso Donati per prenerlo ed offenderlo; messere Vieri, caporale della casa de’ Cierchi, non acconsentì, dicendo lasciatelo venire, confidandosi nella vana speranza del popolo, che ’l punisse.
Per la qual cosa, messere Corso entrò ne’ borghi della Cittade; et trovando le porte delle cerchie vecchie serrate, e non potendo entrare, sì ne venne alla postierla da Pinti, che era di costa a San Piero Maggiore, tra le sue case et quelle delli Uccellini; et quella trovando serrata, cominciò a tagliarla, et dentro per li suoi amici fu fatto il simigliante, sì che senza contrasto fu messa in terra; et lui entrato dentro, schierato in su la piazza di San Piero Maggiore, li crebbe gente et seguito de’ suoi amici, dicendo viva il barone, chè così era chiamato messer Corso. Et egli, veggendosi cresciere forza et seguito, la prima cosa che fece, andò alle carceri del Comune, ch’erano nelle case de’ Bastari nella ruga del palagio, et quelle per forza aperse e deliberò i prigioni; et ciò fatto il simile fece al palagio del Podestà, et poi a’ Priori, facendoli per paura lasciare la signoria, e tornarsi a lor case"9. In questa narrazione abbiamo incontrato finalmente il nome di messer Vieri, capo de’ Bianchi, ed è la prima e l’ultima volta che trovisi; e trovasi a dire e fare una scempiaggine. Onde scorgesi che buono in campo, come fu a Campaldino, era poi poverissimo capo di parte in città.
Dino Compagni fu uno de’ Priori cacciati in quel giorno; e per ciò è certamente che non gli dà l’animo di narrarne distesamente. Ma alcuni particolari interessanti ci son pure da lui narrati. Mentre entrava messer Corso, egli Dino e gli altri Priori erano trattenuti a palazzo de’ baroni di messer Carlo, e da messer Cante da Gubbio ed altri, i quali giuravan loro che il signore si tenea tradito, e che farebbe impiccar messere Corso. Ma "non giurò messer Carlo il vero; perchè di sua saputa venne10". Poi accorse Lapo Salterelli e lo Schiatta Cancellieri, consigliando si mandassero in custodia a Carlo i più potenti delle due parti; e scrittine i nomi, Schiatta, che era capitano dell’armi, comandò loro d’andare; e andati, messer Carlo rilasciò i Neri, e ritenne presi i Bianchi. "O buono Re Luigi" (esclama quì Dino, invocando la memoria del santo re Ludovico IX), "che tanto temesti Iddio! ove è la fede della real casa di Francia, caduta per mal consiglio, non temendo vergogna? O malvagi consiglieri, che avete il sangue di così alta corona fatto non soldato ma assassino, imprigionando i cittadini a torto, e mancando della sua fede, e falsando il nome della real Casa di Francia! Il maestro Ruggieri, giurato alla detta casa, essendo ito al suo convento, gli disse:sotto di te perisce una nobil Città; al quale rispose, che niente ne sapea"11. Quando i Priori ne fecero sonare la campana grossa di Palagio, la gente sbigottita non trasse, e di casa i Cerchi non uscì uomo a cavallo nè a piè armato. Alcuni Adimari vennero, e vedendosi soli, se ne andarono, rimanendo la piazza abbandonata.
Cacciati così i Priori di palazzo addì 5, rimase la Città alcuni giorni senza magistrati. "Gli uomini che temeano i loro adversari, si nascondeano per le case de’ loro amici. L’uno nimico offendea l’altro; le case si cominciavano ad ardere, le ruberie si faceano, e fuggivansi gli arnesi alle case degl’impotenti. I Neri potenti domandavano danari a’ Bianchi. Maritavansi le fanciulle a forza; uccideansi huomini; e quando una casa ardea forte, messer Carlo domandava: Che fuoco è quello? E eragli risposto che era una capanna, quando era un ricco palazzo. E questo mal fare durò giorni sei, chè così era ordinato. Il contado ardea da ogni parte. I Priori, per piatà della Città, vedendo multiplicare il mal fare, chiamarono merzè a molti popolani potenti, pregandoli per Dio, havessono piatà della loro Città: i quali niente ne vollono fare; e però lasciarono il priorato"12. Ma già, addì 7, raunavasi il consiglio sotto un nuovo capitano, messer Carlo de’ Marchesi di Monticalo; ed ivi, troppo male invocando i nomi di Dio e de’ Santi protettori di Firenze, "ad esaltazione della Chiesa Romana e del Papa e dei suoi fratelli i cardinali, e del serenissimo signor Carlo per la grazia di Dio re di Gerusalem e di Sicilia, figlio già del Re Carlo di Francia, costituito per la medesima Santa Madre Chiesa paciero nella provincia Toscana, ad onore, bene, pacifico e tranquillo stato del popolo e Comune di Firenze, e ad impedire non si facessero" (già eran fatti e continuavano a farsi) "incendii, devastazioni, ruberie, offensioni ed omicidii nella Città, nel comitato e distretto di Firenze", facevansi sei priori e ’l Gonfaloniere nuovi, con gran balia e autorità, per un mese o più, fino all’epoca solita del 15 dicembre13. Furono questi Priori nuovi, non più come s’era trattato, delle due parti; ma naturalmente tutti della vincitrice Nera e, al dir del Compagni, "pessimi popolani": Baldo Ridolfi, Duccio Magalotti, Neri Ardinghelli, Ammannato Beccanugi, messer Andrea da Cerreto e Ricco degli Albizzi; con Tedice Manovelli per Gonfaloniere. Entrarono in uficio addì 11 novembre in vece de’ cacciati, e stèttevipoi fino ai 15 decembre, epoca legale delle nuove elezioni; e pochi dì dopo essere entrati, elessero a Podestà messer Cante Gabrielli da Gubbio, "il quale riparò a molti mali e a molte accuse, e molte ne consentì14".
Seguono nella narrazione del buon Compagni, quattro grandi facciate di lamenti e descrizioni di persecuzioni; le quali, perchè le persecuzioni di tutti i tempi si assomigliano e son fastidiose, noi passeremo brevemente: ricercati i Priori vecchi perchè desser danari, e lasciati star solamente per timor dello sdegno pubblico che se n’alzò; Rinuccio Rinucci, un ricco popolano, in villa a cui messer Carlo andava a uccellare, messo a taglia di fiorini quattro mila, e rilasciato poi per ottocento; i Bostichi, che prendevano in guardaterra i beni d’un loro amico per fiorini cento, e poi rubavano i beni, e collavano gli uomini in casa loro in Mercato Nuovo, nel mezzo della Città, di mezzodì; poi disonestà fatte a vergini e donne; pupilli rubati, uomini spogliati; accuse, condanne, e massimamente taglie imposte. "Patto, pietà nè mercè in niunno mai si trovò. Chi più dicea muoiano, muoiano i traditori, colui era il maggiore. Molti di parte Bianca, antichi Ghibellini per lunghi tempi, furono ricevuti da’ Neri in compagnia loro, solo per mal fare15". Tuttavia niuno per allora fu cacciato; ma naturalmente, uscivano volontarii molti de’ perseguitati, e rimanevano fuori coloro che vi si trovavano. Gli emigrati sogliono precedere, ma in breve confondersi co’ cacciati.
Così avvenne a Dante, il quale finita da sè l’ambasceria, rimase probabilmente qualche tempo a Roma. E tanto più che, almen per poco fu presa dal Papa la difesa de’ Bianchi vinti; nè sarebbe troppo ardita congettura attribuirne l’onore in parte agli scaduti ambasciatori. Nel medesimo novembre il Papa mandò legato a moderare i Neri, quel medesimo cardinal d’Acquasparta, venuto già inutilmente l’anno innanzi a moderare i Bianchi. E parve dapprima facesse miglior effetto questa volta, strignendo parecchie paci e matrimoni tra’ Cerchi, Adimari, Donati e Pazzi, Bianchi e Neri; ma quando ei venne al raccomunar gli ufficii, come i Bianchi già non avean voluto, così’ ora i Neri non vollero, ed egli lasciò partendo la città interdetta in mano loro, come l’avea lasciata l’anno innanzi in mano ai Bianchi. Chiaro è che, se non più felici e destri, erano almeno più sinceri ed imparziali pacieri questo legato e il Papa. Avremo occasione di rivedere la medesima cosa di altri legati ed altri Papi, ed è naturale; i Papi capi fin allora di parte guelfa avevano grande interesse a non lasciarla suddividersi e guastarsi.
Ma partito il cardinale non durarono guari le paci da lui fatte. "Il dì di Pasqua", di Natale vegnente, andando messer Nicola de’ Cerchi Bianchi al suo podere et mulina con suoi compagni a cavallo, passando per la piazza di Santa Croce, che vi si predicava, Simone di messere Corso Donati, nepote per madre del detto messere Nicola, sanza colpa o cagione non guardandosi dal detto suo nepote, fu atterrato del suo cavallo e morto. Ma come piacque a Dio, la pena fu apparecchiata alla colpa; chè fedito il detto Simone da messere Nicola per lo fianco, la notte appresso morì, onde tutto fosse giusto giudicio di Dio. Fu tenuto gran danno del detto Simone, però ch’era il più compiuto e vertudioso donzello di Firenze, et da venire in maggiore stato et pregio, et era tutta la speranza di suo padre messere Corso; il quale di sua tornata et allegra vittoria hebbe in breve tempo doloroso principio di suo futuro abbassamento"16. D’allora in poi, s’inasprirono più che mai le parti; e benchè non si facesse ancora una cacciata generale de’ Bianchi, continuaronsi e accrebbersi le condanne di taglie, e,non pagando, d’esili a parecchi.
Poscia, probabilmente al principio del 1302, Carlo andò per poco in Corte a Roma, o per far levar l’interdetto e per prender nuovi concerti su Firenze, o per apparecchiare la vicina impresa di Sicilia. E domandando danari al Papa, questi gli rispose, che "l’avea posto nel fonte dell’oro". Indi a pochi dì, si disse che alcuni di parte Bianca teneano trattato con messer Piero Ferrante di Linguadocco, barone di messer Carlo, per farlo uccidere17. Diffatti, se ne trovarono, che dovea a loro petizione uccidere messer Carlo. Il quale tornato da Corte, raunò in Firenze uno consiglio segreto di diciassette cittadini, una notte; nel quale si trattò di far prendere certi che nominavano colpevoli, e fare loro tagaliare la testa. Il detto consiglio si recò a minor numero, perchè se ne partirono sette, e ne rimason dieci; e fècionlo, perchè i nominati fuggisson e lasciasson la terra. Feciono cercare la notte segretamente messer Goccia Adimari e ’l figliuolo, e messer Manetto Scali, che era a Calenzano, e andònne a Mangona; e poco poi messer Muccio da Biserno, soldato, con gran masnada, e messer Simone Cancellieri, nimico di detto messer Manetto, giunsono a Calenzano, credendolo trovare; e cercando di lui, fino la paglia de’ letti con ferri forarono.
Il giorno seguente, messer Carlo gli fece richiedere, e più altri; e per contumaci e per traditori gli condannò, e arse le loro case, e’ beni pubblicò in comune per l’ufficio del paciaro"18. Il Villani, narrando la medesima cospirazione, dice solamente, che fu per tradire messer Carlo; ma aggiunge ch’ella fu cercata da quel barone francese per istigazione de’ Neri, e che furono falsificate le lettere19: e così Leonardo Aretino, che un secolo appresso vide negli archivii fiorentini e giudicò tali quelle lettere20.
Subito dopo questo ritorno di messer Carlo a Firenze, per ragione o pretesto di questa cospirazione, e del mese d’aprile 1302, mettono tutti gli storici l’esilio de’ Cerchi e de’ Bianchi. Lo Stefani lo mette addì 2 d’aprile21; il Villani addì 422; altri documenti addì 4 e 523; e Dino Compagni del mese d’aprile senz’altro, e reca molti nomi di cacciati, fra cui Dante Aldighieri che era ambasciatore a Roma"; ed alla già lunga lista aggiunge ancora: "e molti altri, che furono più di huomini seicento, i quali andarono stentando per lo mondo chi qua e chi la"24. Dopo del che, subito messer Carlo se ne partì definitivamente per Roma e per l’impresa di Sicilia; e Firenze rimase in mano de’ Neri, principalmente dei due messer Corso Donati e messer Rosso della Tosa, che vedremo poi suddividersi nuovamente.
Ed or siamo finalmente ricondotti a Dante. Il quale, secondo i documenti più precisi, ritrovati poco più di mezzo secolo fa negli archivii di Firenze, non fu solamente compreso nella condanna generale di sua parte de’ primi giorni d’aprile, ma pare aver avuto l’onore di due condanne speciali e anteriori, del 27 gennajo e 10 marzo di quell’anno 1302, non trovandosene se non quattro anteriori. Resta, dunque, confermato il dir del Boccaccio sull’importanza di Dante nella repubblica prima della venuta di messer Carlo, e il dir di parecchi altri sulla generosa opposizione di lui a tal venuta. La prima delle dette condanne trovasi in una lista intitolata Condennaciones facte per nobilem et potentem militem Dom. Cantem de Gabrielis potestatem Florentie MCCCII et primo25. Ed ivi, poi, ella è riferita per estratto così:
MCCCII. XVII.
Dom. Palmerium de Altovitis de Sextu Borghi Dantem Allaghierii de Sextu S. Petri Maioris Lippum Becchi de Sextu Ultrarni.
Orlandinum Orlandi de Sextu Porte Domus.
accusati dalla fama pubblica - e procede ex officio ut supra de primis - e non viene a particolari, se non che nel Priorato contraddissono la venuta Domini Caroli - e mette che fecerunt baratterias, et acceperunt quod non licebat vel aliter quam licebat per leges etc. In lib. VIII m. per uno; et si non solverint, fra certo tempo devastentur, et mittantur in commune; et si solverint, nihilominus pro bono pacis stent in exilio extra fines tuscie duobus annis.
Resta, quindi, provata più che mai e senza dubbio la bella colpa di Dante, d’essersi opposto alla venuta di messer Carlo. L’èsservisi opposto durante il Priorato, resta certamente meno indicato nel documento, non recandosi di ciò le parole testuali; e quand’anche si trovassero in esso, dovett’essere accusa inesatta, avendo noi veduta l’improbabilità che di tal venuta si trattasse in giugno-agosto 1300, sei mesi prima della congiura di Santa Trinità, in che, secondo tutte le memorie, se ne trattò per la prima volta. Finalmente, quanto all’altra accusa di baratteria, cioè guadagni illeciti quì apposti a Dante, molto fu scritto, e inutilissimamente, a parer mio, per difenderne Dante. Siffatte accuse non determinate, aggiunte ad una principale anche vera, non sono in buona regola tenute per vere nemmeno nelle cause di delitti privati; tanto meno nelle politiche. Io non so se Dante sia stato o no barattiere; non parmi probabile dal complesso di sue virtù e suoi vizii: ma l’accusa fattagliene in causa politica da contrarii potenti, lontano esso e inudito, è per me come se non esistesse. Nè Dante se ne difese, nè vi fece allusione mai.
La seconda condanna del 10 marzo pubblicata già dal Tiraboschi26, è una conferma delle condanne date ai quattro soprannomati, e ad Andrea de’ Gherardini, Lapo Salterelli, Donato Alberti, Lapo di Domenico, Lapo Biondo, Gherardino Diodati, Corso Ristori e Giunta de’ Biffoli. Della compagnia di questi, e principalmente di Lapo Salterelli, l’orgoglioso Dante s’adontò; come apparisce da più luoghi della Commedia, più assai che non della condanna stessa e dell’accuse contenutevi. Non riferiremo, poi questo secondo atto giudiziario lungo e nojoso, che non è altro che una dichiarazione, che i condannati contumaci s’abbiano per confessi; "e che, se alcuno dei predetti in qualunque tempo pervenga nella forza del Comune fiorentino, tal perveniente sia bruciato, cosicchè muoja: igne comburatur sic quod moriatur. E’ pronunciata tal condanna dal medesimo Cante de’ Gabrielli, podestà; condannatosi egli stesso a perpetua rinomanza<ref>Questa condanna è posta da tutti i biografi, Tiraboschi, Pelli, l’autor del Veltro, Arrivabene, Fauriel, ecc. come l’abbiamo quì posta noi all’anno 1302; e sono tali uomini da non contraddirsi leggermente. Tuttavia più che la loro autorità varrebbe quella del documento quì citato, la cui data essendo in lettere piene sub anno Domini millesimo trecentesimo secundo die decimo mensis martii; e l’anno 1302 non terminando allora in Firenze se non ai 15 del medesimo marzo, chiaro è che contando a modo nostro la data sarebbe del 1303. Ma 1°. questa data non è ella stata mutata e adattata all’uso nostro sal Savioli che primo la copiò negli archivi di Firenze? Ciò potrebbe verificarsi ne’ detti archivi. 2°. Essendo il documento fatto a nome di Cante Gabrielli converrebbe verificare se era ancor podestà ai 10 marzo 1303, il che mi par probabile, che non lasciasse l’ufficio che allo scader dell’anno fiorentino 5 giorni dopo. Nello stato attuale della questione io prenderei a credere questo documento e così la seconda condanna di Dante del 10 marzo 1303. Ma esposto tal mio dubbio, non l’ho seguito nel testo, e per reverenza a’ quei miei predecessori, e perchè poi non essendo altro che una conferma della prima condanna, ella non muta nulla alla vita e all’esilio di Dante che dee contarsi da quella prima. - Molta mutazione vi sarebbe se si trovasse un giorno ne’ documenti originali degli archivi fiorentini che anche la prima condanna abbia a dirsi del 1303. E in tal caso meriterebbe attenzione la postilla riferita a p. 82 del Tom. X. Delizie Erudiz. Tosc. che fa Dante opporsi ad una provvisione d’aiuti dati da Carlo addì 26 marzo 1302. Ma non significa nulla nello stato attuale della quistione, parendo certa per ora la data del 1302 dalla prima condanna. Ma quando sarà egli poi limitato a Firenze (e con anche più utilità per la storia d’Italia) l’esempio dato a Torino di pubblicare i documenti originali de’ pubblici archivi? Il Piemonte ultimo già ai tempi del Muratori in tale munificenza v’è ora il primo grazie al Re suo.</ref>.
A’ vinti Bianchi già vedemmo che si dava il guasto a furia di popolo prima delle condanne, ed or vediamo che era parte della condanna stessa. Di Dante particolarmente è ricordato Leonardo. "Per isdegno di coloro che nel suo priorato confinati furono della parte Nera, gli fu corso a casa e rubata ogni sua cosa, e dato il guasto alle sue possessioni"27. Anche il Boccaccio dice il medesimo; ed al solito, tra le declamazioni, aggiugne particolari interessanti. "Uscito dunque Dante in cotal maniera, di quella città, dalla quale egli non solamente era cittadino, ma n’erano li suoi maggiori stati edificatori, e lasciatavi la sua donna, insieme con l’altra famiglia male per la piccola età alla fuga disposta, di lei si curò poco, perciocchè per consanguinità la sapeva ad alcuno de’ principi della parte avversa" (cioè al barone messer Corso e agli altri Donati) "congiunta. Di sè medesimo or quà or là incerto, andava vagando per Toscana. Era alcuna particella delle sue possessioni dalla donna, col titolo della sua dote dalla cittadina rabbia difesa; e non senza fatica ottenutala, de’ frutti di essa sè e li piccoli figliuoli di lui assai sottilmente reggeva; per la qual cosa, povero, con industria disusata, gli conveniva il sostentamento di sè medesimo procacciare"28. Certo questo non è un operar da Xantippe; nè della separazione o della rovina loro e di lor famiglia sono da accusare essa e Dante, ma gli oppressori.
Tutti questi eventi della rivoluzione fatta per Carlo di Valois e del proprio esilio son rammentati da Dante in parecchi luoghi della Divina Commedia; ma in due principalmente. Il primo è quello della predizione di Ciacco nel canto VI dell’Inferno, che dividendo più chiaramente le due epoche delle parti fiorentine, noi riferiamo mezzo al principio del capo X e mezzo al principio di questo. Il secondo dei luoghi detti è al fine di quella terribile imprecazione che incomincia:
Ahi serva Italia di dolore ostello,
la quale toccando principalmente alle relazioni dell’Italia coll’imperio, sarà da noi riferita più giù. Ma ei termina quell’imprecazione generale con quella terzina:
Chè le terre d’Italia tutte piene
Son di tiranni, ed un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene.
Ov’io non saprei se paia ad altri, ma l’ultimo verso in bocca di Dante parmi un vituperio de’ Cerchi venuti di Villa, a messer Vieri l'asino di porta, ed alla parte Selvaggia. E continua poi rivolgendosi ironicamente a Firenze, ed accennando con precisione gli eventi del novembre 1301:
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
Di questa digression che non ti tocca
Mercè del popol tuo, che si argomenta29.
Molti han giustizia in cuor, ma tardi scocca,
Per non venir senza consiglio all’arco;
Ma ’l popol tuo l’ha in sommo dalla bocca.
Molti rifiutan lo comune incarco;
Ma ’l popol tuo sollecito risponde
Senza chiamare, e grida: io mi sobbarco30.
Or ti fa lieta, chè tu hai ben onde;
Tu ricca, tu con pace, tu con senno,
S’io dico ver, l’effetto nol nasconde.
Atene e Lacedemona, che fenno
L’antiche leggi, e furon sì civili,
Fecero al viver bene un picciol cenno;
Verso di te, che fai tanto sottili
Provvedimenti, c’ha mezzo novembre
Non giunge quel che tu d’ottobre fili31.
Quante volte del tempo che rimembre,
Leggi, monete, e offici, e costume
Hai tu mutato, e rinnovato membre?
E, se ben ti ricordi e vedi lume,
Vedrai te simigliante a quella ’nferma,
Che non può trovar posa in su le piume,
Ma con da volta suo dolore scherma.
PURG. VI.
Note
- ↑ La confusione delle date negli autori contemporanei e nei compilatori, è quì peggiore che mai. Dino, contemporaneo, partecipe e priore, dopo aver detto, che l’entrata di Carlo fu differita per quella ragione dei vini nuovi dal dì d’Ognissanti alla domenica seguente, pone poi l’entrata a questa Domenica, che ei chiama 4 novembre (p. 490). Poco impiccio sarebbe il trovare nel calendario dell’Art de verifier les dates, che questa domenica in quell’anno fu addì 5, e far quindi la correzione. Ma il Villani, pur testimonio oculare (p. 376), Marchionne Stefani contemporaneo (p. 17), Ammirato il giovane, scrutator degli archivii fiorentini (p. 213), pongono quell’entrata al dì di Ognissanti. Io tornai più volte dall’uno agli altri senza mai potermi soddisfare d’aver così a ricusar testimonii egualmente irrecusabili; e tanto più che nè l’una nè l’altra data (da cui dipendono le seguenti) non quadra a tutti gli eventi. Finalmente, avvisando che alla domenica 5 il Villani pone l’adunanza a S. Maria Novella, la signoria data a Carlo e il resto, dubitai, e parmi certo, che il Compagni abbia preso questo giorno per quello dell’entrata, perchè fino a quel dì Carlo era rimasto senza muoversi Oltrarno, in casa Frescobaldi. Fissato questo punto, tutte le date del Compagni e degli altri si possono facilmente far concordare. Del resto, quasi inerrabile Muratori pone, senz’altro, l’entrata al dì 1°, e poco muta che che il Pelli ne lo morda. Ei si vuol andar adagio, prima di dar torto al Muratori, il quale suole indovinare ciò che altri dimostra poi.
- ↑ Parad. XVII.
- ↑ Dino Comp., p. 491
- ↑ Dino Comp., p. 493.
- ↑ Dino Comp.. p. 493.
- ↑ Dino Comp., p. 493.
- ↑ Dino Comp., p. 494.
- ↑ Dino Comp., p. 495.
- ↑ Vill., pp. 376, 377.
- ↑ Dino Comp., p. 495.
- ↑ Dino Comp., p. 497.
- ↑ Dino Comp., p. 497; e Vill., p. 377, che fa durare cinque dì in città, otto in contado quest’anarchia.
- ↑ Docum. orig. nel tomo X Delizie degli Erud. Tosc., p. 84.
- ↑ Dino Comp., pag 497.
- ↑ Dino Comp., pp. 498 - 501.
- ↑ Villani, p. 376.
- ↑ Queste parole non si trovano nell’altre copie. (Nota al testo Muratoriano).
- ↑ Dino Comp., p. 501.
- ↑ Vill., p. 378.
- ↑ Leon. Aret., p. 55. E forse si trovano ancora quelle lettere negli archivii, e sarebbe desiderabile lor pubblicazione.
- ↑ Stef., p. 25.
- ↑ Vill., p. 378.
- ↑ Il documento del Tom. X Deliz. Erud. Toscani p. 85, mette la condanna principale di messer Vieri addì 4 - quella della p. 99, la mette addì 5.
- ↑ Dino Comp., pp. 501, 502.
- ↑ Delizie degli Eruditi Toscani, Tom. X, 1778, p. 73 - Questa doppia data MCCCII et primo è relativa all’antico modo fiorentino di numerar gli anni, secondo il quale le dette condanne dovrebber trovarsi, quelle di gennajo, febbrajo e prima metà di marzo, segnate MCCCI e le posteriori MCCCII. - E il trovarsi poi segnate tutte ad una ad una MCCCII, indica che la mutazione del modo antico al modo moderno fu fatta già dall’abbreviatore. Onde noi le dobbiam tener tutte del 1302.
- ↑ Storia della Letteratura Ital., tom. V, p. 494.
- ↑ Leonard. Aret., p. 56.
- ↑ Bocc., Vita di D., p. 55.
- ↑ S’argomenta - per s’ingegna, s’affatica a ciò.
- ↑ Io mi sobbarco - per mi piego, mi sottometto.
- ↑ Osserva l’esattezza di questa reminiscenza