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ANNOTAZIONI
LIBRO TERZO
Platone.
„Il busto di Platone che rappresenta l’intaglio è il solo autentico ritratto di questo filosofo che noi conosciamo. — Una benda o strofio, distintivo d’apoteosi, cinge il suo capo, e tutti sanno che antichi e moderni diedero a Platone il titolo di divino — All’ampia fronte, alle ciglia arcuate, al venerabile aspetto, dopo ciò che gli antichi ne dissero, è impossibile non riconoscerlo. Ardirò soggiugnere, che nel suo profilo è facile notare quell’aria di vanità, la quale sappiamo essere stato il difetto principale del nostro filosofo, non così padrone di sè stesso da poterla sempre dissimulare“ Visconti — Se ci rechiamo a frenologicamente contemplare il busto di Platone non sarà difficile riconoscervi, secondo l’osservazione del Giornale frenologico di Edimburgo, una testa voluminosa, in cui le due regioni anteriore e coronale sono largamente sviluppate a paragone della posteriore, e predominanti gli organi dell’Idealità, del Linguaggio, della Causalità, del Paragone.
I. Vide in sogno Apollo ec. — „Sapientiæ principem non aliter arbitrantur nisi de partu virginis aditum.“ S. Girol. — L’antico mondo era inchinato a rappresentare i grandi uomini, i benefattori dell’umanità, come figli di numi; e se n’ha esempi in Ercole, Castore e Polluce, Romolo e Remo, Alessandro, Pitagora ed altri. Una stolta reiterazione creò sul conto del nostro filosofo anche altri racconti, ai quali fanno singolar contrapposto le molte diffamazioni che si spacciarono e che meritano forse egual fede di ciò che narrano Eraclide, Aristippo ed altri citati da Diogene e da Ateneo. — Il nome di questo grande, che fu appellato l’Omero della filosofia, sorpassò in celebrità tutti i suoi contemporanei, e giunse sino a noi senza temer riscontro che nel solo Aristotele. Sarebbe soverchio narrare l’ammirazione che il mondo gli tributò per quasi ventitrè secoli! All’ideale della platonica filosofia deesi certo la numerosa schiera de’ suoi segnaci. L’influenza che per tal mezzo esercitò Platone sull’andamento dello spirito umano, si sparse, dice Degerando, come un fiume maestoso a traverso l’età seguenti, e si captivò il cristianesimo al suo nascere. Alcuni Padri — que’ dei primi quattro secoli erano greci e platonici — supposero nella loro ammirazione, che il nostro filosofo fosse stato ammesso ad una specie di cognizione o presentimento della rivelazione; molti dottori lo collocarono nel novero dei santi. Al secolo scorso, Vico studiava in Platone l’uomo qual debb’essere, l’uom de’ filosofi, siccome in Tacito l’uomo qual è, l’uomo dei politici; e con questi due libri formava la doppia base della sua dottrina, la sapienza volgare è riposta, com’ei la chiama. Voltaire, al solito, lo faceva scopo del mordace suo riso. Al nostro secolo il divino Platone fu riposto in quel seggio che la moderna critica assegna ai veri classici, che si studiano sempre e sempre ci paiono nuovi.
II. Ed è nato l’ottantesima ottava olimpiade ec. — Od ottantesima settima. Secondo Corsini e Fabricio il terz’anno dell’88; 430 prima dell’e. v. o l’anno seguente, secondo Dodwel; o il primo della stessa olimpiade, secondo Dacier. La prima data concorda con altre circostanze e con un passo formale di Ateneo. If mese di Targelione principiava a 27 di aprile. — Osserva Ritter che la vita di Platone cade all’epoca più brillante dell’attica prosa.
V. Il nomò Platone. — „Fu appellato cosi perchè aveva due parti del corpo amplissime, il petto e la fronte; siccome costantemente dimostrano le immagini che per tutto gli furono poste.“ Olimpiodoro — Nè forse, acutamente osserva il Visconti, lo scultore del nostro busto ebbe altro motivo per non farne un erme; conciossiachè meno adatta era questa a dimostrarne l’ampiezza del petto.
VIII. Dal matematico Teodoro — per appararvi le matematiche. Fu detto aver Platone racchiusa nella sua scuola tutta la geometria dei Greci. Se Platone, dice Guglielmo Libri, fosse stato così geometra, come si spaccia, non avrebbe biasimato Archita per aver sottomessa la meccanica alla geometria (vedi Plutarco); nè incominciato dal respingere le idee cosmologiche dei pitagorici. Nonostante la sua scuola fu, tra le greche propriamente dette, quella che più coltivò con successo la geometria, quantunque troppo siasi vantata l’importanza dei loro lavori geometrici. — Hist. des math.
IX. Academia — ginnasio suburbano ec. — Fuori di città circa sei stadj (meno di un miglio) ornato di giardini, di viali, di acque scorrenti e di altari e di statue di iddii. Eravi all’ingresso il simulacro e l’ara d’Amore, e non lungi Porticello di Platone, ov’era solito abitare presso un tempietto ch’egli avea dedicato alle Muse. — Vedi Plutarco, Pausania ec.
X. Dice Aristosseno lui aver militato tre volte — La cronologia, dice Ritter, non è d’accordo con simili racconti poco accertati.
Aver fatto una mescolanza della dottrina ec. — Aristotele lo afferma del pari; e dovea aggiugnere anche Parmenide ed Anassagora, — giacchè, dice Ritter, si può asseverare aver Platone formato un bel tutto della filosofia greca anteriore a lui, conciliando e spiegando le contraddizioni apparenti delle varie tendenze, ed aggiugnendo la propria a quella tanta ricchezza.
XI. Cento mine — Ital. l. 9268, circa. — Gli ottanta talenti, ricevuti da Dionisio, equivarrebbero a ital. l. 417792, 84.
XII. Molto si giovò di Epicarmo. — Si vorrebbe negare al nostro filosofo il titolo d’inventore della celebre teoria dell’idee. Molti e in particolare il Patrizzi lo hanno tentato. Oltre i versi di Epicarmo, l’autorità di Iamblico e un passo di Nicomaco furono allegati per derivarla dai numeri misteriosi dei Pitagorici. La si volle rinchiusa nelle idee universali, nel tipo intellettuale dei pretesi oracoli di Zoroastre; la si dedusse dalle specie intellettuali e dalle potenze feconde degli Jungers indiani di cui parla Psello. — Al dire di Aristotele e di Sesto Empirico certo è che Eraclito aveva già prima di Platone scritto sulle idee, e che le sue dottrine ebbero molta influenza sulle dottrine di questo.
S’aggiunga un sassolino ec. — Si allude al modo di computare coi sassolini, usato in antico.
Sensibile essere quello che mai non perdura ec. intelligibile quello al quale nulla si toglie o si aggiugne. — Platone stabilisce una differenza tra quello per cui sentiamo e quello con cui sentiamo: gli organi dei sensi cioè, e l’anima. Per ogni senso noi non proviamo che una sensazione sola; quindi il pensiero che si rapporta a due sensazioni di organi differenti non può effettuarsi nè per mezzo dell’uno nè per mezzo dell’altro. Quando un sì fatto pensiero ha luogo, noi lo formiamo indipendentemente dagli organi dei sensi, per la forza che sente col mezzo di questi organi. È manifesto che noi possiamo pensare a due sensazioni di organi differenti, poichè noi le pensiamo entrambe come esistenti; ciascuna come esistente in sè, e tutt’e due insieme come due, riflettendo sulla loro somiglianza e differenza, ed acquistando per sì fatto modo la cognizione di ciò ch’esse hanno di comune e che vale per tutte le sensazioni. Per la qual cosa si dee attribuire all’anima, oltre la forza ch’essa esercita per facoltà corporee, un’altra forza ancora, quella cioè di indagare di per sè stessa ciò che tutte le sensazioni hanno di comune. Il che posto, trattasi di determinare ciò che opera nell’anima umana questa forza a pro del pensiero. Il nostro filosofo contrappone quello che si percepisce dalla sensazione, e quello che perveniamo a conoscere per riflessione ([testo greco]), col mezzo dell’intendimento, o della riflessione razionale, ([testo greco]). Ora ciò che si percepisce dalla sensazione è per esso il cangiamento costante, il flusso non non interrotto di quello che avviene, il batter dell’occhio, che è un passaggio costante di ciò che fu a ciò che sarà per mezzo del presente. Platone adunque, in opposizione a questo sensibile, concepisce quello che è compreso dall’intelletto come qualche cosa di costante, che nè si muta, nè passa, ma rimane sempre a un modo, come l’immutabile; che non riceve la propria forma da altro, e neppur serve di forma a cosa che sia, ec. — Ritter.
Le Idee ec. — La teoria delle idee è riguardata come il nocciolo, e in pari tempo come ciò che v’ha di più astruso nelle dottrine platoniche. Vediamo collo stesso acutissimo Ritter, ciò che in generale Platone chiama idee.
I moderni si tennero su questo particolare in assai stretti confini, poichè altri pensò che non si trattasse che di concetti ideali del bene, del bello, del giusto, ec.; altri che di una maniera di idee, di genere e di specie: giugnendo perfino a non intendere con esse che le proprietà generali delle cose. Pur nondimeno le espressioni di Platone oltrepassano tutti questi limiti; e non avvi alcuna specie di vera esistenza, ch’ei non abbia tentato di far entrare ne’ suoi concetti o idee, com’egli intende questa parola. Per comprendere tutta la sfera in cui Platone racchiude le idee è d’uopo rammentare ch’ei parla al tutto in un medesimo senso delle idee e dell’ente immutabile, dell’unità e di ciò ch’è per sè stesso, da che questo non è, secondo lui, che l’obbiettivo delle idee. Or noi troviamo che questo filosofo considera come idee, non solo ciò ch’ei conosce di più sublime e di più perfetto, il bello, il buono, il giusto e la scienza, ma anche i loro opposti, il vizio, il male, l’ingiustizia. Parla di idee di rassomiglianza e di differenza, d'uno e di multiplo, di quantità, di salute, di forza, ed anche di velocità e di lentezza; tratta dell’unità dell’uomo e del toro; della sfera assoluta e del cerchio assoluto; delle idee di letto, di tavola e di nome ec. Certo è dunque ch’egli intende per idea tutto ciò che rivela una verità eterna, qualche cosa di costante che serve di base alla mutabilità del fenomeno. E siccome la teoria delle idee è sorta dalla guerra dichiarata alle rappresentazioni sensibili dei sofisti ed alla abolizione di ogni distinzione, di ogni diversità; abolizione alla quale inchinava la scuola di Elea; essa per conseguenza stabilisce due cose: da prima che il sensibile non è il vero, e che la scienza la quale insegna una verità immutabile, non può avere per oggetto che l’immutabile essenza delle cose; ma in seguito eziandio, che la verità, o l’ente reale e vero, non è talmente identica da non essere diversa; ch’essa per couverso abbraccia una folla d’idee particolari, di cui ciascuna esprime al modo suo l’essenza eterna delle cose. Che se il vero è esposto nelle idee come elemento della scienza, e le idee sieno tra loro di tal fatta, che un’idea superiore molte ne abbracci d’inferiori e insieme le unisca, ne consegue non dovere gli elementi della verità separarsi gli uni dagli altri, come se non fossero tenuti in relazione da un legame superiore. — Ora se le idee inferiori sono tenute in relazione dalle idee superiori, trattasi di sapere se finalmente non siavi un’idea suprema, la quale abbraccia le idee inferiori, e per conseguenza, presenta in sè la totalità e l’accordo di tutte le idee? Per rispondere affermativamente, rammentiamoci solo che Platone vuol l’unità e l’insieme della scienza per ogni dove. — Dopo ciò è fuor di dubbio volere il nostro filosofo elevarsi dalla conoscenza delle ideo all’idea suprema, che rappresenta il principio di ogni cosa; all’idea di Dio, per fondare in essa la verità di tutte le idee inferiori. In opposizione alla dottrina di Protagora, che faceva dell’uomo la misura di ogni cosa, vuol egli per contrario che questa misura sia Dio. E se noi rammentiamo qui che Platone mette la conoscenza del bene e del buono al disopra di ogni altra; ch’ei la considera anche come la sola che sia vera, poichè senz’essa le altre conoscenze non hanno alcun valore; e che si compiace di rappresentare Dio come il bene, noi troveremo ancora lo stesso pensiero, allorquando egli chiama l’idea del bene l’ultima conoscibile. Dio, adunque, è principio, fine e mezzo di tutte le cose. Il perchè finalmente il mondo è pure appellato non solamente un’immagine delle idee, ma anche un’immagine e una somiglianza di Dio, l’idea di Dio, abbracciante la totalità delle idee. E quindi puossi dire che, per Platone, l’idea di Dio è l’idea suprema; che come idea suprema si trova in tutte le altre e tutte le contiene; e che Dio per conseguenza è anche l’unità che contiene l’essenza reale di tutte le cose — Ritter.
Colla teoria delle idee si congiunge la dottrina del ricordarsi le idee. Le nostre ricerche, il nostro apparare altro non sono che ricontarsi di ciò che abbiamo già saputo altra volta. Plotone fa vedere che nulla di perfettamente identico si rinviene nel mondo sensibile: che qualche cosa soltanto ci pare ora simile, ora dissimile. Il bello, il buono, il giusto, il santo e tutto ciò cui noi attribuiamo una verace esistenza, non hanno cosa sensibile; che loro assomigli: noi sentiamo solamente qualche cosa di analogo o di dissimile, ma che ha uno stretto legame con queste famiglie della vera esistenza: e noi allora ci ricordiamo del vero ente. D’onde è palese averlo noi già conosciuto e anteriormente saputo. E siccome non potè accadere in questa vita, è dunque accaduto in una anteriore. Ciò si lega coll’opinione platonica, che gli oggetti sensibili sono copie della verità soprasensibile. Questa dottrina del ricordarsi le idee è unita in mille modi, nelle opere di Platone, alle tradizioni mitiche sulla vita passata; anzi molte dottrine del nostro filosofo non debbono intendersi che in senso mitico; quindi la necessità di sceverarle dalla vera scienza ec. ec. Le idee sono l’esistenza reale; ogni altra esistenza non è che analoga e simile alle idee: quest’altra esistenza è l'esistenza sensibile, ciò che avviene nello spazio e nel tempo. È vero che quest’esistenza comprende di certo le idee, ma però in uno stato soltanto d'impura mescolanza. Ora siccome le idee sono ogni verace esistenza, così sono anche la pienezza e la misura di ogni esistenza; di modo che le cosa sensibili non sono tali che pel rapporto che hanno colla verace misura, colle idee. Questo rapporto non è quello dell’egualità, ma soltanto quello dell’analogia, che può essere ora più grande, ora più piccolo, e suppone eccesso o difetto nelle cose. Noi stessi, anime conoscitrici, sommerse nel fiume della sensibilità, noi non possiamo che puramente partecipare alle idee, senza attignere alla loro eccellenza, ma solo assimilarci ad esse nell’infinito; ed a questo tende appunto la necessità dei mezzi dei quali noi abbisogniamo per vivere. Quando la sensazione ci perviene con questo mezzo, pur essa medesima diviene un mezzo per la conoscenza delle idee, ma solamente in quanto essa ci richiama alla nostra origine divina per l’analogia ch’essa ha colla vera misura delle cose, e ci invita a separare per mezzo della riflessione pura resistenza delle idee confuse nella sensibilità, ed a trovare in noi stessi e nell’essenza eterna delle cose la vera misura e la vera egualità.
Ora, conchiude Ritter, trattasi di sapere come ed in che trovi Platone un punto di unione per l’esistenza del mondo sensibile, o come egli abbiasi figurato l’esistenza collaterale dei due mondi fra loro. Poichè se il mondo delle idee abbraccia ogni esistenza, ed è l’unico oggetto della scienza, come può allora trattarsi di un altro ancora? È facile uscire da questa difficoltà, risolvendosi a prendere in istretto senso ciò che Platone dice nel Timeo sulla formazione del mondo sensibile. Nel rappresentare Iddio come formatore del mondo egli si fonda su questo che le idee debbono essere considerate come modelli, prototipi, di cui le cose sensibili non sono che copie; nel che naturalmente suppone esistere qualch’altra cosa diversa dall’idee, capace di riceverne l’impronta o l’immagine. Platone quest’altra cosa paragona alla materia lavorata dagli artieri, e questa immagine serve anche di base a tutta la sua esposizione. È qualche cosa che è difficile far conoscere: è qualche cosa di essenzialmente indeterminato o privo di forma, ma suscettivo di tutte forme, e che per ciò stesso non dee averne alcuna, poichè allora rappresenterebbe male le altre forme: ma inaccessibile ai sensi e privo di figure, tutto contiene, e partecipa nel modo il più strano e il più difficile a comprendersi, alla conoscibilità. Egli è rappresentato come la massa suscettiva di ogni specie di esistenza corporea, la quale, mentre le forme ch’essa riceve cangiano incessantemente, resta ciò nullameno la stessa e non sembra in movimento che a cagione delle forme ch’essa rivesto e che si trasformano in differenti maniere, in diversi tempi. Ma Platone si esprime anche altrimenti sullo stesso soggetto. Il corporeo da cui deriva tutto il sensibile, è, per ciò che precede in qualche altra cosa, e non avviene e non passa che in questa; ma ciò in che avviene e passa è lo spazio che non passa, e che rimanendosi sempre lo stesso, non fa che dare un posto a tutte le qualità passeggierò e cangianti che hanno un divenire. Questi diversi modi di vedere ci fanno di leggieri rinunciare all’opinione, spesso emessa, che Platone concepisse la materia come un ente reale, o come una cosa sussistente di per sè stessa — e quindi credere che il nostro filosofo tentasse spiegare il mondo sensibile col mezzo delle sole idee, senza il soccorso di una natura che ad esse fosse straniera. — Ora, per dare pur un giudizio sull’esito felice o disgraziato di questo tentativo, non può Ritter nascondere a sè stesso molto esservi di indeterminato nelle idee medie colle quali Platone vuol passare dalle idee al sensibile.
Le idee non sono cose particolari esistenti per sè stesse, non forze, non sostanze, ma soltanto determinazioni da distinguersi nella divina ragione, secondo la quale s’ordina il vero nei fenomeni del mondo e della scienza; sono reali in quanto una vera determinazione nella ragione divina, una vera legge per gli sviluppamene e l’esistenza nel mondo ad esse corrisponde, a tale ch’e’ possono essere rappresentate, in ogni anima, a misura della loro chiarezza e del convincimento che arrecano nello spirito. Si dice ch’elle esistono di per sè stesse, per la ragione che debbono essere concepite ciascuna con diversità determinata, e che l’esistenza che ad esse corrisponde differisce parimente in sè da ogni altra esistenza. — Ritter.
L’idea di Platone è l’idea in sè, [testo greco], l’idea assoluta senza rapporti nè col mondo dello spirito, nè col mondo della natura; l’idea considerata come l’idea invisibile, la ragione prima ed ultima, eterna e assoluta di tutte le cose che la riflettono qui giù in questo mondo del relativo e dell’apparenza, perpetua metamorfosi di fenomeni che avvengono e si rinnovano sempre senza esistere mai sostanzialmente ([testo greco]). Per opposizione ai fenomeni, l’[testo greco], l’idea in sè, è la vera essenza, [testo greco], e risiede nel [testo greco], o l’intelligenza assoluta, al di là dall’intelligenza finita dell’uomo e dalla ragione inferiore di questo mondo. Ma l’idea dal seno dell’intelligenza eterna passa nell’umanità e nella natura. Allora non è più [testo greco], ma diviene [testo greco] nello spirito umano, e [testo greco] nella natura; ed è colà ciò che ancora v’ha di assoluto misto col relativo. Nello spirito umano l’[testo greco] è l’idea generale, perchè a questa parola si lega sempre una nozione di generalità. Ora senza generalità non vi ha vera conoscenza possibile; senza generalità non definizione. Un pensiero in apparenza il più particolare, per essere un pensiero, implica una qualche nozione di generalità, [testo greco]. L’[testo greco] è nello spirito umano il fondamento di ogni conoscenza. Ecco perchè in Platone l’[testo greco] è quasi sempre sviluppato per il [testo greco]; per esempio [testo greco] o [testo greco] — L’[testo greco] è il fondo dello spirito umano, il quale per ciò si mantiene in un rapporto costante coll’intelligenza assoluta. Ora la natura è sorella dell’umanità; ella è, al pari di essa, figlia dell’eterna intelligenza; la riflette, la rappresenta al pari di essa, ma in una maniera meno intellettuale, e per conseguenza meno intelligibile; chiara pei sensi, oscura al pensiero. L’[testo greco] a questo grado è [testo greco]; l’[testo greco] è l’[testo greco] caduto in questo mondo; lo spirito divenuto materia, rivestito di corpo, passato allo stato d’immagine. — Anche in questo stato l’[testo greco] conserva i suoi rapporti e con l’[testo greco] e con l’[testo greco], e contiene per conseguenza sempre qualche idea di generalità, non più nella forma interna del pensiero, ma nella forma dell’oggetto. L’ἰδέα è la forma ideale di ciascuna cosa; per essa anche la natura è ideale, intellettuale, e possiede la propria bellezza. Certo, la generalità propria dell’ἰδέα è molto al di sotto di quella dell’[testo greco], siccome le leggi della natura sono infinitamente meno generali di quelle dello spirito. Tale è il senso di questi vocaboli. Bisogna però convenire che [testo greco] e ἰδέα, si scambiano frequentemente, e non è rado trovare ἰδέα per [testo greco], come qualche volta si è trovato [testo greco] per una specie e non per un genere. — Cousin.
Le idee di Platone sussistono sotto nomi differenti nella moderna filosofia. Sono le verità eterne di Leibnitz. Sono in Kant lo schematismo che richiama l’ἰδέα, le categorie l’[testo greco], le idee della ragione pura l’[testo greco]. Sono le verità assolute, di cui Cousin pubblicava una teoria completa. Sono finalmente, in un grado inferiore, le leggi della costituzione della natura umana, i principj del senso comune della filosofia scozzese. — Sono le facoltà inerenti agli organi di Gall....?
E da prima riconta la rassomiglianza e il cibo ec. — „Meminerunt antem similitudinis et pabuli cujusmodi illis est optime callentes: quod sit animalibus omnibus insita similitudinis intelligentia. Ambrogio. — Nunc vero et similitudinem et alimentum sibi proprium recordantur, hoc ipso indicantia similitudinis contemplationem omnibus insitam esse animantibus. Aldobrandino. — Meminit autem similitudinis et pabuli cujusmodi illis esse soleat, ostendens quod sit animalibus omnibus insita similitudinis intelligentia.“ — En. Stefano.
XIV. Tre volte navigò in Sicilia. — Questi viaggi di Platone non hanno fondamento che in alcune delle epistole apocrife, le quali per altro potrebbero ricordare fatti autentici.
XVII. Non volle ingerirsi pel governo. — Si accusata Platone di essersi astenuto dai pubblici affari, sebbene dotato delle qualitè necessarie a procurare il bene della patria. Contro lo spirito e contro le azioni politiche di questo filosofo insorge forse con troppa violenza il Niebuhr nelle sue mescolanze istoriche e filosofiche. Ritter, senza pretendere di farne l’elogio, neppure accoglie il sospetto che animosità di setta covassero nell’animo di Platone: il quale, pare a lui, mancava di quella desterità che si richiedeva ad un uomo di stato del suo tempo, e di quella forza di voce ch’era necessaria per arrogate il popolo.
Gli Arcadi ed i Tebani lo chiesero per legislatore. — Queste tradizioni sembrano al Ritter affatto inverosimili.
XX. Mitridate dedicò una statua a Platone nell’Accademia. — Dice Visconti essere assai probabile che i simulacri di Platone fossero copiati da questa statua, lavoro di Silanione, e che quella descritta da Cristodoro, ch’era in Costantinopoli, fosse l’originale istesso, non avendo questo artista lavorato che in bronzo, nè accennando Diogene la materia della statua.
XXII. Anche Timone usando il bisticcio. — [testo greco] che non si potè serbare nella traduzione.
XXIII. È manifesto l’amor suo da questi epigrammi. — Al dire di Filone
Amore in Grecia nudo e nudo in Roma
non fu dal divino Platone coperto di un velo candidissimo e celeste che per umani riguardi. Certo è almeno che questi epigrammi, se fossero suoi, farebbero strano contrasto colle dottrine del Convito, che professate nel medio evo dai cavalieri erranti, produssero più tardi i cavalieri serventi ed i cicisbei. Le sentenze amorose di Platone ebbero poco favore presso gli antichi; e la bella Agatissa, che narrasi da lui sostituita all’amante sessagenaria, non attestava in favore di un amor metafisico; siccome i figli di messer Francesco della purezza del suo per la bella avignonese.
Or nulla è Alessi ec. — E l’epigramma e l’adagio dei cani ti spiega il proverbio:
Il bene di che godi
Guarda con chi lo lodi.
XXIV. Se Dionisio in Corinto ec. — I Lacedemoni risposero alle minacce di Filippo [testo greco], Dionisio in Corinto; poichè, dice Demetrio Falereo, più veemente appariva il parlare così stringato, di quel che, allargandolo con prolissità, il dire, che Dionisio una volta gran tiranno al par di te, ora divenuto privato, abitava parimente Corinto — [testo greco]. Cap. 4. — Modo proverbiale che accenna taluno caduto in basso stato alla maniera di Dionisio tiranno di Siracusa, il quale, espulso da’ sudditi, insegnava, per mercede in Corinto, le lettere e la musicca a’ fanciulli. — I tre viaggi di Platone in Sicilia furono argomento di discorso a’ Greci sempre inclinali alla calunnia, e Molone nemico suo diceva non meravigliarsi se Dionisio era in Corinto, ma se Platone in Sicilia, essendo il re stretto dalla necessità, Platone stimolato dall’ambizione. — Vedi Erasmo negli Adagi.
Satone — [testo greco]. Vezzeggiativo con cui le balie blandivano i bimbi. Come chi notasse di fanciullaggine la sentenza platonica.
XXV. La forma de’ suoi discorsi tra il poema e la prosa— Le opere di Piatone capo lavori, come le chiama Tennemann, del genio poetico e filosofico, ebbero veste di stile maraviglioso. Fu detto che Giove, se avesse dovuto usare un idioma mortale, non avrebbe parlato altra lingua che quella di Piatone. — Wieland, fra’ dialoghi del nostro filosofo, così del banchetto: „Opera di lusso poetico, cui tutte le Muse hanno preso parte, e nella quale Platone ha versato sovra i suoi lettori, come dal corno d’Amaltea, tutte le ricchezze della sua immaginazione, del suo spirito, del suo sale attico, della sua eloquenza e del suo ingegno nel comporre; opera travagliata, polita e perfezionata al lume della notturna lucerna, e per la qnale egli ha voluto mostrarci che da lui dipenderà di essere a sua posta il primo tra gli oratori, i poeti o i sofisti dal suo tempo“.
La Repubblica scritta quasi che tutta nelle contraddizioni di Protagora. — Altri filosofi avevano immaginato repubbliche ideali e Protagora prima di Platone. Le Arringatrici di Aristofane che ci dipingono un governo di donne, le quali cercano di far adottare nuove leggi fondate sulla comunanza dei beni e delle donne, sono una parodia di queste repubbliche; e precipua singolarità della platonica era appunto la Comunanza dei beni, dei figli e delle donne che doveano godersi di tutte le prerogative degli uomini. — Ma i libri di Platone non erano forse che un trattato sulla natura della giustizia. Platone, dice M. Pagano, non potè ben dispiegare l’idea della giustizia, che fingendo una repubblica, la quale dovea essere perfetta s’ella altro non era che l’immagine e l’esemplare della giustizia. Ma tal fine di Platone è volgarmente ignorato, e da questa ignoranza per l’appunto nacque la calunnia a questo principe de’ filosofi data, ch’ei si fosse troppo amico di chimere e di impossibili progetti — Sag. pol. — Dalla Repubblica di Platone particolarmente si scorge che la morale e la politica non erano per lui quasi che una scienza sola. La seconda non era che l’applicazione della prima alle istituzioni sociali, le quali non hanno per fine che la libertà e l’unità.
XXVI. Salito a cavallo ec. — A comento di questo passo eccone uno, pur di Laerzio, nella vita di Antistene: Mordeva (Antistene) Platone come orgoglioso. Ora in una solennità reggendo un cavallo annitrire, disse, rivolto a Platone: pare a me che anche tu saresti un cavallo magnifico. E ciò perchè avesse Platone lottato sovente il cavallo.
XXX. Così aveva testato. — O questo testamento, o è falso ciò che ha scritto Apuleio: Lasciò di patrimonio un orticello annesso all’Accademia, due serventi, una patera colla quale supplicava agli Dei, e tant’oro, quanto ne portava in un orecchio un giovine nobile.
In ogni miglior modo. — [testo greco]. En. Stefano traduce: quantum fieri potest. Scaligero sospettò errata la lezione e corresse: [testo greco]. E formula testamentaria, che risponde alla latina: quacumque ratione, del Digesto, e ch’io ho spiegato con frase notarile.
Tre mine d’argento. — lt. 278,04, censessanta cinque dramme di peso. — La dramma pesava circa 82 grani d’argento quasi puro, che ora varrebbe una lira circa. — L’obolo valeva poco più di quindici centesimi italiani.
XXXII. Ma perchè tu sei a buon dritto tenera di Platone. — „La matrona cui Laerzio indirige le Vite era un’Arria rammentata anche dall’autore del libro della triaca“. Quest’asserto di Egidio Menagio è posto in forse, con bel corredo di erudizione, dal ch. sig. Av. Manin, nella sua introduzione alle Vite di Laerzio.
Ostetrico. — [testo greco], tutto che ha relazione all’ufficio di mammana;, ed è allusivo a Socrate, il quale, esplorati i sensi dell’animo, vi eccitava, quasi doglie precorritrici il parto, i principii del dubbio; poscia ne liberava gli uomini, conducendo alla verità l’anima loro; e, come dice Fabio, facea da levatrice all’anima partoriente. Socrate stesso, nel Teetete, afferma di esercitare l’ostetricia, ma quella che serve agli uomini, non alle donne, e gli animi non i corpi riguarda. — Menagio.
XXXIV. Poi Tespi un attore inventò ec. — Gli eruditi veggano come il Castelvetro, nella traduzione della poetica d’Aristotele, interpreti il passo di Laerzio [testo greco] uno contrafacitore, cioè una maniera di contraffacitori, non intendendo un personaggio, propriamente, ma, secondo la frase di Terenzio, l’intero gregge, il quale ab antico rappresentava senza ballo, senza canto e senta suono. Tespi trovò una maniera di contraffacitori (il coro), che insieme ballava, cantava e sonava, mentre gli attori riposavano. Questi tre uffici furono poi divisi da Eschilo e da Sofocle, e il coro si compose di cantanti, ballerini e sonatori, tre maniere di contraffacitori.
XXXV. Dialoghi legittimi cinquantasei. — Se non si assegnano tredici libri alle Leggi, che in tredici appunto, secondo Suida, furono divide da Platone, i dialoghi registrati da Laerzio non sarebbero che cinquanta cinque. — Tutte queste opere, coll’essere sino a noi pervenute, attestano degli ammiratori ch’ebbe in ogni tempo il divino Platone. Tutte per altro non seno certamente sue. Uscirebbe dai limiti di una nota l’esame delle varie opinioni dei dotti sull’autenticità di alcuni di questi dialoghi, e ci mostrerebbe giudizj spesso contrarj, e non sempre dettati da una critica spassionata.
XXXVI. Tredici epistole. — Gli eruditi concorrono per la maggior parte nel crederle apocrife, fuor Boeck che la settima ha per autentica.
In esse scriveva ec. — [testo greco], Bene agere, bene vivere; gaudere, volta l’Aldobrandino. Bonne vie; bonheur; salut, il traduttore francese. Oltre ciò che dicono in proposito gli annotatori ed in particolare Menagio, vedi il dialogo di Luciano: Su di uno errore occorso nel salutare.
XXXVIII. Usava nomi diversi. — Intorno all’oscurità di Platone, dice Ritter che mal si giudicherebbero i suoi scritti, se in quelli si dovesse cercare un’esposizione scientifica della sua filosofia. — Sono scritti exoterici; sono una specie di iniziazione, non introducendo il nostro filosofo nel santuario della scienza che discepoli provati e conosciuti abili. Quest’opinione di Tennemann si rafforza di un’altra che molti hanno sulle pretese sue sentente non scritte, [testo greco]. Si parla anche di divisioni scritte e non scritte, ma Ritter osserva che sono indizii troppo indeterminati, poichè Aristotele traendo la dottrina autentica di Platone, meno poche eccezioni, da’ suoi dialoghi, non ne riconosce una exoterica. — Per l’ambiguità delle nuove parole furono composti dei lessici inferi.
XXXIX. Di alcuni segni posti ne’ suoi libri. — L’uso di appor note o segni alle scritture, era presso i Greci vario ne’ poeti, oratori, teologie. Passò a’ latini, e se n’ha testimonio in un’epistola di Cicerone ad Attico. — X pigliasi per le locuzioni e le figure ec. adhibetur, ubi inusitatior et figurata locutio. Menag. Il Casaubono crede il [testo greco] posto in luogo di [testo greco] locuzioni affatturate. Ne’ Greci interpreti s’incontrano spesso le parole [testo greco] delle quali si servono per indicare od errore o voce fuor dell’uso o locuzione nuova. — La doppia ec. Nell’accennata lettera di Cicerone vi si dice, animadvertito locum, ubi erat diple. Sospetta il Rainesio che fosse una doppia linea = [testo greco]. Altri creda che la doppia linea si congiugnesse in punta, così >, e un interprete d’Aristofane ora l’accenna rivolta all’indentro, ora all’infuori. Pare ad E. Stefano che il [testo greco] si riferisca al X e ne indichi il raddoppiamento, quindi traslatò: XX duplex. — X fra punti, o punteggiato. E. Stefano lasciò [testo greco], senza voltarlo ed ommise il X, che quando aveva due punti, così X, veniva chiamalo e significava [testo greco]. — La doppia tra punti ec. Qui pure lo Stefano volta duplici periestigmeno, — [testo greco], una lineetta punteggiata. E. Stefano nol traduce. Ricevasi anche [testo greco], linea, ed è quella lineetta colla quale si sottosegnano le parole ec. Punteggiata così — — si usava: — Un sigma rovescio, [testo greco], fra punti così — Il fulmine, [testo greco] così |. Dice Isidoro che il cerannio si pone ogni volta che molti versi si disapprovano, nè ciascuno si sottolinea. — Ma forse troppo di queste inezie; intorno alle quali si possono consultare le note della ediz. Westeniana.
XL. Le sue opinióni erano queste. — Chi mai, se le opere di Platone fossero perite, si darebbe vanto di trarre un senso netto dalle laerziane rassodie? Noi col voltarne fedelmente alcuni passi mutilati o guasti dal buon Diogene, e coll’aiuto in particolare di Ritter, Cousin, Sevano e di altri, vedremo, se ci venga fatto, senza oltrepassare di molto la brevità che ci siamo prefissi, di rendere meno estruse alcune di queste astrusissime dottrine; onde il lettore a norma dello statuito disegno, abbia in iscorcio un’idea delle dottrine di ogni filosofo.
L’anima immortale, molti corpi vestire ec. — Platone secondo le idee della sua nazione parla spesso di campi Elisi, di ricompense, di pene; parla del passaggio delle anime per differenti forme umane e animali; opinioni che possono conciliarsi fra loro considerando l’inferno come uno stato intermedio tra le differenti vite di quelle sulla terra. L’idea della migrazione delle anime risponde a capello alle dottrine fisiche di Platone, e strettamente si collega colle sue opinioni morali, quindi, secondo Ritter, non s’ha a tenere come una semplice esposizione figurata o mitica della continuità della vita dell’anima dopo la morte. La vita e la trasmigrazione delle anime dipende dall’uso che le singole anime fanno della ragione per dominare la loro parte mortale. Qualunque sia l’influenza del passeggierò sul divino, una cosa nella vita mortale non vi è soggetta, la virtù. Dessa non riconosce superiori o padroni, e però ciascuno ha in sua mano il proprio destino; libera ne è la scelta. Chi vive saggiamente, passa alla sua stella; ma chi saggiamente non rise passa, al suo secondo nascere, in un corpo di donna, o se non cessa di fare il male, a norma di sua vita, in quello di animali i cui gusti sieno analoghi a’ suoi, in fino a che, purificato per molte metensicosi, e’ non abbia appreso a sommettere la parte sua animale al corso regolare dì una vita razionale, e non sia tornato a’ primi e migliori modi di vivere. — Ritter.
L’anima principio armonico, averlo geometrico il corpo. — Nell’animo tre cose sono da considerarsi: la sostanza indivisibile, cioè divina: la sostanza divisibile, cioè corporea: ed una terza sostanza, cioè quella che serve di connessione e vincolo all’altre due nature. Platone per ispiegare questi misteri dell’anima si vale di alcuni simboli o immagini prese dai numeri; non già perchè voglia insegnare che l’anima sia di numeri composta, ma perchè le ragioni dei medesimi servono maravigliosamente a rappresentare la natura dell’anima, la quale è media tra le cose sensibili e le intelligibili. Così dispari significa la natura indivisibile dell’anima, cioè la intelligibile e divina; pari la natura divisibile e irragionevole. Laonde l’anima è composta del numero cinque, acciocchè per la composizione del numero pari e dispari ne nasca la comune abitudine dell’anima dai tre principj, cioè il medesimo, il diverso ed il terzo, vale a dire la connessione. Così l’anima ha l’intelletto dalla natura indivisibile, cioè divina; ed ha il senso dalla natura divisibile, cioè corporea. E come è il medesimo riguardo al diverso, cioè la ragione al senso, cosi è il diverso al medesimo, cioè il senso alla ragione. Quindi ne nascono la forza e l’attività, che sono la vera armonia dell’anima. — Così il Sevano. — Chi più ne volesse in proposito consulti il Timeo, e le altre note dello stesso commentatore. — Il principio geometrico del corpo rinverremo in seguito quando della forma degli elementi.
La parte ragionale nella testa ec. — Tutto nel corpo umano è formato per la ragione secondo alcuni fini determinati. La testa, che è rotonda ed imita così la forma perfetta del tutto, dovea servire di seggio alla parte divina dell’anima, alla parte razionale ([testo greco]). Spetta alla testa il governo dì tutto il corpo. Il cuore fu eletto a contenere l’irascibile ([testo greco]); collocato nel petto, sotto la testa, perchè non avesse a confondersi colla ragione. La parte concupiscìbile ([testo greco], appetitiva) ebbe sua sede nell’ombelico, cioè nella parte inferiore del tronco, nel ventre, separata dalla sede dell’irascibile per mezzo del diaframma, perchè destinata ad essere infrenata e retta dalla ragione, col mezzo dell’irascibile, separata com’è e dall’una e dall’altro. A quest’uopo Dio le ha dato una guardia, il fegato, che sodo, levigato e lucido, contiene qualche cosa di amaro e di dolce. Proprio a riflettere le immagini dei pensieri, come in uno specchio, allorquando la ragione minaccia, ei sa spaventare i desiderj colla sua amarezza, siccome quando la ragione si dispone alla bontà tutto ei calma per mezzo della dolcezza. Profetizza anche nel sonno, nelle malattie e nell’entusiasmo, affinchè per tal modo la parte più vile, del corpo partecipi, sino ad un certo punto, alla verità.
La irascibile nel cuore. — L’irascibile destinato ad assistere la parte divina dell’anima, la ragione, contro le sollecitazioni della parte sensibile, si appropria al contingente. La parola [testo greco], cuore, coraggio, ardire, ira, dice Riiter, non è facile a tradursi in tedesco. Tennemann propone cuore, Schleiermacher vorrebbe zelo, ovvero coraggio, non intendendo però solamente quella disposizione particolare dell’anima che si chiama proprio così, ma tutto ciò ancora che anticamente significava il vocabolo Math, prima di perdere la sua generalità.
Diceva abbracciare dal centro tutto quanto il corpo. — L’uomo, come il mondo, è composto d’anima e di corpo. Il corpo non esiste che a cagione dell’anima, che dee considerarsi come il principio di quello, stando nell’anima l’origine del moto, e non potendo, senz’anima, alcun corpo muoversi da sè. L’anima del mondo come principio di tutte le forme corporee nel mondo è sparsa per tutto, a fine di aver possanza dovunque. Tutto che v’ha di corporeo altro non sembra essere che l’organo di quest’anima, poichè sino i corpi elementari sono dotati di sensazioni. Malgrado questa diffusione per tutto il mondo, la sede dell’anima ne è fissata nel centro, per indicare la sua unità. Di là stende ella sino al cielo la sua azione, a quel cielo ch’ella dispiegò intorno di sè, avviluppandosene come di un proprio corpo. — E qui avvertasi coll’Aldobrandino, che le dottrine platoniche riferite dal buon Laerzio, ora spellano all’anima mondiale, ora all’umana. — L’accorto lettore scorgerà di leggieri questo guazzabuglio, e sarà con noi più del solito, indulgente.
Due cerchi congiunti ec. — Rechiamo intiero e fedelmente tradotto il passo del Timeo, a schiarimento, se fia possibile, od almeno a testimonio delle laerziane mutilazioni. — Tutta questa composizione divise in due per lo lungo; e, mezzo con mezzo ciascuna parte, l’una all’altra sovrapponendo a guisa di un X, curvò in cerchio, e l’una all’altra unì di contro alla loro sovrapposizione, e col moto che a uno stesso snodo e a un medesimo punto si ravvolge, quelle comprese. L’un de’ cerchi fece esterno, l’altro interno, e il movimento esterno chiamò della natura del medesimo, l’interno del diverso, quello del medesimo piegando da lato, sulla destra, quello del diverso per diametro (diagonale), sulla sinistra. Diede principato al movimento del medesimo, del simile, poichè questo lasciò indivisibile, quello entro divise in sei, formandone sette cerchi disuguali, con intervalli doppj e tripli, tre ciascuno, e ordinò che il muoversi de’ cerchi fosse in senso contrario, tre con pari velocità, quattro fra loro e coi tre diversamente, ma con movimento regolato.
Due cerchi congiunti. — Delle due linee, dice Cousin, formò due cerchi di cui il più piccolo tocca internamente il più grande in due punti, lontani l’uno dall’altro tutta la lunghezza del diametro del più grande, e loro impresse un movimento di rotazione intorno allo stesso punto. — Non diserti, questi cerchi, di composizione, mentre l’esterno conserva la sua unità e si muove con moto uniforme, l’interno è diviso in sette grandezze disuguali con velocità e direzioni diresse.
Quello della natura del medesimo, questo del diverso. — Il movimento del medesimo è quello che conviene a tutto l’universo, poichè questo movimento, eseguendosi intorno ad un punto centrale, si opera sempre in un solo e medesimo luogo, seguendo l’immagine della verace ragione. Sembra, per converso, che il movimento del diverso, della materia, sia un movimento di progressione in linea retta, poichè Platone attribuisse anche alle fisse, del pari che agli enti particolari, nella sfera delle fisse, un doppio movimento: l’uno il movimento del medesimo, seguendo il quale le fisse girano attorno di un punto centrale non uscendo il medesimo dal medesimo, e riflettendosi sempre sopra il medesimo; l’altro il movimento di progressione, che nulla ostante si eseguisce intorno al punto centrale del mondo, poichè è dominato dal movimento regolare del medesimo e dell’universo. — Ritter.
Questo situato secondo il diametro, internamente a sinistra, quello da canto a destra ec. — Diviso il cerchio del diverso in più cerchi, il più grande di questi cerchi conserva sempre il suo primo diametro e i suoi due punti d’intersezione coj cerchio del medesimo. Per indicare l’apertura dell’angolo prodotto dell’inserzione di questi due cerchi, Platone dichiara che il cerchio esterno è diretto nel senso del lato, e il cerchio interno nel senso della diagonale; ciò è a dire che, se si concepisca un parallelogrammo il cui gran lato sia il diametro del tropico, e il piccolo la distanza che separa i due tropici, il cerchio del medesimo è diretto nel senso di uno dei grandi lati del parallelogrammo, e il cerchio del diverso nel senso della sua diagonale. — Platone aggiugne che il movimento del medesimo ha luogo da sinistra a diritta, e il movimento del diverso da diritta a sinistra. Per gli antichi Pitagorici la diritta del mondo è l’oriente, la sinistra l’occidente. Osserva Calcidio che il mondo essendo rotondo non dovrebbe avere nè diritta nè sinistra; ma soggiugne che la difficoltà scompare quando si ridette che il mondo, secondo Platone, è un animale. — Platone neppur tocca della posizione respettiva del cerchio esterno, e del più gran cerchio interno; segna gli intervalli che separano i cerchi interni fra loro; ma il fa in modo oscurissimo. — Cousin.
Il secondo dell’orbite de’ pianeti. — Il cerchio interno fu diviso sei volte in modo da formare sette cerchi ineguali, con intervalli doppj e tripli. Quest’intervalli doppj e tripli sono evidentemente i tre rapporti di cui la ragione è 2, e i tre rapporti di cui la ragione è 3, pei quali Dio ha cominciato a dividere in parti proporzionali la mescolanza delle tre essenze: questi rapporti sono rappresentati dai numeri 1, 2, 3, 4, 9, 8, 27, i quali indicono le ottave della scala musicale di Platone. Ora se ci rammentiamo che gli antichi Pitagorici disponevano i pianeti secondo gli intervalli del digramma, si potrà conchiudere che Platone ammette lo stesso rapporto tra le distanze che separano gli uni dagli altri tutti i cerchi del diverso, i quali non sono che le orbite dei pianeti.
Dalla direzione del cerchio del diverso ec. — Il movimento da sinistra a diritta è quello che gli ultimi platonici hanno chiamato razionale, paragonandolo all’andamento che segue la ragione umana che parte da Dio, per ritornare a Dio per mezzo della contemplazione delle sue opere, come il movimento del medesimo parte da sinistra per ritornare al medesimo punto passando per la divinità. Il movimento da diritta a sinistra, che è quello del diverso, è stato paragonato al movimento sensibile dell’uomo. Questo movimento sensibile è quello per il quale, dopo di esserci innalzati dalla creatura a Dio, noi ricadiamo nella creatura. — Cousin.
XLI. Due principii, materia e Dio ec. — „Dio, sostanza formata dall’essenza delle idee, i cui caratteri sono unità, universalità, invariabilità — materia, principio del variabile, dell’imperfetto, del finito. — Il variabile non potendo essere conosciuto, senza aver relazione coll’invariabile, dovette questo agire sul primo per imprimergli la forza delle idee. Quindi Iddio sostanza, e cagione; sostanza delle idee, cagione delle forme, che nell’ordine variabile sono la impronta esterna delle idee. Ecco il platonico [testo greco], il Verbo, che contiene le idee eterne, tipi di ogni cosa, per mezzo delle quali, considerate sotto quel duplice rapporto, si giugne soltanto alla conoscenza di Dio. Ciò che torna lo stesso: Dio non poter essere conosciuto e non rivelarsi all’intelligenza che per mezzo del suo Verbo. — Ma Dio non poteva produrre il mondo, perchè dotato di caratteri diametralmente opposti a’ suoi. V'ha dunque fuori di Dio un principio del variabile, che non avendo potuto uscire da Dio, esiste per sè, come Dio. Questo principio è la materia. — La nozione di questi due principii conduce a riconoscerne un terzo. Il mondo non esisterebbe se Dio non avesse agito sulla materia; perchè la materia, rimasta nel suo stato di passività e di indeterminazione, nessuna forma, nessun ordine avrebbe prodotto. Or la materia essendo, per ogni rispetto, l’antitesi di Dio, l’azione di Dio sulla materia contiene una realtà la quale non è nè l’attività pura, come Dio, nè la passività pura come la materia. Questo principio di mezzo, che partecipa della natura della materia e della natura di Dio, fu da Platone indicato col nome di anima del mondo. La cosmologia platonica, considerata dalla radice, può essere rappresentata da questa formola: Dio sta all’anima del mondo, come l’anima del mondo sta alla materia, e l’universo è una gran regola di proporzione. — I due principii servirono a Platone per ispiegare l’origine del male. Il male esiste necessariamente, poichè non è altro che la resistenza della materia: esiste indipendentemente da Dio, poichè la materia esiste di per se stessa. — Il male esiste nel principio materiale, finchè questo principio non è informato dalle divine idee. Dio nell’operare sopra di esso tende a distruggere il male, anche per questo, ch’ei riconduce la materia domata sotto le leggi proprie delle idee, e la creazione, in tutta la sua durala, non è che lo sviluppamento di questa lotta divina.“ — Salinis ec. — L’anima mondiale fu o dimenticata da Laerzio, o confusamente accennata nel paragrafo antecedente.
Stimando l’ordine migliore del disordine. — Oltre all’infanzia dei Greci nelle fisiche, non ebbe Platone ad occuparsene gran fatto, spiegando la natura al tutto teologicamente. Il mondo ha avuto principio perchè è visibile, sensibile e corporeo. Or tutto ciò ch’è tale è percettibile, e il percettibile non è eterno, ma contingente. Ma ciò che è contingente dee necessariamente essere fatto da una cagione, e però anche il mondo dee avere una cagione. Platone riconosce un formatore e padre di tutto, che tutto compie, con ragione, nella natura. L’attività di una sì fatta cagione parte necessariamente da una idea che serve come di modello per ciò che dee avvenire. Ora si possono concepire due specie di modelli o tipi: l’uno eterno, immutabile, un altro contingente e mortale. Non è da Dio formato il mondo a norma di questo, poichè il mondo è la più bella delle opere e Dio la migliore delle cagioni; straniera all’invidia, essa dovea al possibile rendere l’opera sua simile a sè. Egli è per ciò che questo mondo, fatto all’immagine di quanto v’ha di migliore, passò dal disordine allo stato di ordine, perchè l’ordine è migliore del disordine. — Ritter.
Questa sostanza essersi immutata in quattro elementi. — Il costante cangiamento nella natura corporea, secondo Platone, si opera nello spazio dalle forme dei quattro elementi, i quali non possono altrimenti essere concepiti, che come stati della stessa natura corporea universale. Insegnava egli per conseguenza potere uno di questi elementi facilmente tramutarsi in tutti gli altri. — Vedi più innanzi.
Del fuoco elemento una piramide, dell’aria un ottaedro ec. — In due modi il nostro filosofo si esprime sulla natura dei quattro elementi: l’uno si riferisce alla figura geometrica dei corpi, l’altro alle qualità sensibili, sotto le quali questi elementi ci appaiono. Platone, in generale, considerando i rudimenti indeterminati della materia come lo spazio, non poteva considerare le forme determinate della materia che come le figure dello spazio. Ciò si congiugne coll’idea generale, esservi piuttosto accordo e regolarità ne’ rapporti corporei, che disaccordo e irregolarità. Quindi i cinque corpi regolari servono di base alla determinazione delle forme elementari, poichè la piramide dovea corrispondere al fuoco, il cubo alla terra, l’ottaedro all’aria, l’icosaedro all’acqua, mentre il dodecaedro è assomigliale alla sfera, e riservato alla forma del mondo che comprende tutti gli elementi.
Ciascuno non essere spartato in luoghi distinti; chè la circonferenza comprimendoli e conducendoli al centro, ne riunisce le parti ec. — Le figure degli elementi sono picciolissime e non possono essere scorte e divenire sensibili che nella loro riunione omogenea, la quale naturalmente risulta dal prendere le forme simili un luogo determinato dal movimento della materia: luogo nel quale esse si assembrano, da che il simile si separa per attaccarsi al simile. Ma v’ha tra i differenti corpuscoli un’unione tale, che le figure di una specie medesima di elementi non si trasformano punto, ma quelle soltanto di specie differente; e questo per un’azione reciproca: ciò che produce il movimento. Siccome per altro gli elementi omogenei vanno naturalmente nel loro proprio luogo, il movimento cesserebbe bentosto se la circolazione del tutto non comprimesse gli elementi, e, non lasciando così alcun luogo vuoto, non forzasse le piccole figure del fuoco e dell’aria a penetrare negli interstizii delle grandi figure. Da ciò la spiegazione della miscea degli elementi fra loro e il loro reciproco tramutarsi, e dalla non esistenza del vuoto la conchiusione, che ogni movimento eseguito ritorna sopra sè stesso in qualche modo circolarmente; donde Platone spiega la forza attrattiva apparente dei corpi, come quella della calamita e dell’ambra, quasi alla maniera di Cartesio. Spiegazione, osserva Ritter, in ciò al tutto meccanica.
Ed anche animato. — Perchè il mondo divenisse buono e simile al suo autore, Dio osservò che nessuna cosa sensibile, irragionevole, non sarà mai piò bella di un’altra ch’ebbe la ragione in partaggio; ma che anche la ragione senza l’anima non può essere il partaggio di alcun ente; quindi ei fece il tutto mettendo la ragione nell’anima, e l’anima nel corpo; che ciò ch’è contingente partecipare doveva pure del corpo. Dire adunque si può con verisimilitudine che la provvidenza ha fatto di questo mondo un ente animato, dotato di ragione e vivente. L’anima è considerala in quella unione come il mezzo che congiugne la natura eterna e invisibile della ragione colla natura mutabile e divisibile della materia; poichè la natura del diverso, di difficile mistione, è mista al medesimo per mezzo del poter divino. — Ritter.
Un mondo solo ec. — Il mondo fatto ad immagine del perfetto, perfetto essere doveva egli stesso, per quanto, rispetto alla materia, era possibile ch’ei fosse. Dall’altro canto nulla dovea mancargli a tal uopo nella materia. Il perchè un mondo solo fu creato. Piatone mette assai in dispregio l’opinione che vi sia un’infinità di mondi: opinione, dice egli, che non può essere professata se non da chi ignoro quello che si dee sapere: alludendo alla dottrina che ogni specie d’infinito sfugge al nostro conoscimento. Ammette un sol mondo, perchè un mondo solo dovette formarsi sii di un unico prototipo che abbraccia tutti i modelli, degli enti che vivono e che non può esser due con un altro, poichè l’idea che abbracciasse i due, sarebbe il vero prototipo.
Sferico perchè ecc. — „Dio, così Platone, diede al mondo convenevol figura, ed affine ([testo greco]) alla propria, perocchè a quest’animale che nel suo giro avrebbe contenuto tutti gli animali, si affacea primamente quella figura, in cui ogni figura si contenesse.“ — Perche il mondo potesse comprendere ogni ente vivo, e’ dovea contenere ogni figura possibile. Per questa ragione e’ fu fatto in forma di sfera, per tutto eguale (liscio) a norma della più perfetta o simmetrica forma. La sfera che secondo i Pitagorici è assimilata al dodecaedro, contiene in sè tutti gli altri corpi regolari, e per figure s’hanno ad intendere i corpi regolari. Forma simmetrica e perfetta, dimostrante l’unità circoscritta del mondo, il quale essendo sferico, non ha in sè naturalmente nè alto nè basso.
Non avente alcun organo. — Se il mondo è una unità fuor della quale nulla esiste di materiale, non può naturalmente avere organi, come gli enti che vivono, sia per raccorre dallo esterno, sia per agire sull’altre cose, o per cibarsi, o per secernere; e fu sì maestrevolmente costrutto da avere, in sè e per sè ogni passione ed ogni azione.
Durare il mondo immortale ec. — Il mondo, come opera divina, deve essere un’opera perfetta esente da malattia e da vecchiezza; ciò che non può essere che a patto che nessuna altra forza materiale possa esercitare sopra di esso un poter distruttore. Per la qual cosa fu questo mondo fatto indissolubile, eccetto solo per chi lo formò; il quale ciò non pertanto nol distruggerà perchè non v’ha che la malizia, che possa disfare quello ch’è mirabilmente fatto.
Constare il mondo di fuoco, acciocchè sia visibile ec. ec. — La materia doveva essere visibile e sensibile. Ma senza fuoco nessuna cosa sarebbe visibile, nessuna sensibile senza solidità, solida senza terra nessuna. Doveva dunque Iddio il mondo di fuoco e di terra comporre. Ciò nullostante non si possono due cose perfettamente unire: vi dee quindi essere un luogo di mezzo tra l’una e l’altra, che sia per l’una ciò che l’altra è per esso. Ora uno solo di questi luoghi mezzani non sarebbe bastato, se i corpi non avessero avuto oltre alla superficie, anche la profondità. Ma il corpo non è mai legato che per due mezzi, affinchè le quattro superficie del corpo, legate fra loro, appaiano. Due altri elementi, l’aria e l’acqua, dovevano adunque essere collocati tra il fuoco e la terra. Così Ritter. — Questo passo, dice Cousin, tormentò i commentatori, perchè l’asserzione erronea, che i corpi solidi non si uniscono mai insieme per via di un solo mezzo, ma per due, è difficilmente conciliabile col sapere geometrico di Platone. Stalbum pensa con ragione essere questo passo molto più semplice che noi si credette finora. Due superficie ci vogliono nel sistema pitagorico per fare un solido. Se due superficie possono essere unite da un solo termine intermedio, ci vorranno due termini intermedii per unire due solidi, e l’unione sarà anche più perfetta qualora la ragione delle due proporzioni sia la stessa. La geometria non ha qui luogo che per rendere più manifesta la spiegazione, nè Platone ha pensato di dare alla sua frase un rigor matematico.
Il tempo immagine dell’eternità. — Dio, il padre ed il principio generatore, contemplando l’essenza eternamente vivente, il modello del mondo, concepì il pensiero di fare il mondo somigliante al possibile al suo modello. Ma siccome ciò nullodimeno e’ non potea fare che il contingente fosse eterno, depor volle almeno nel mondo un’immagine mobile dell’eternità, immagine che noi appelliamo tempo. Per altro egli intende per tempo, non semplicemente il corso successivo degli stati, quale si concepisce già nell’idea di vita, ma il corso ordinato e regolare di questi stati secondo la misura determinata del giorno e della notte, della luna e degli anni. Ma un tempo non è cosi ordinato e misurato che pei movimenti regolari del cielo; e per questa ragione il sole, la luna e gli altri cinque astri che portano il nome di pianeti sotto stati preposti alla determinazione ed alla guardia dei numeri del tempo.
Il mondo animalo, perchè collegato da un movimento animato ec. — Ciò che ha luogo, come s’è veduto, (p. xl) nelle fisse in conseguenza del movimento del diverso ha certamente luogo anche per li pianeti in riguardo al movimento del medesimo. Quando pure non si attribuisse ad essi che il movimento del diverso, e’ sarebbero dominati ancora dal movimento del tutto, e descriverebbero un cerchio, quantunque mossi da un movimento, meno uniforme; poichè, concepiti come unità, essi eseguiscono differenti cerchi. In tutti questi movimenti dei corpi celesti appare il concetto che le grandi masse del mondo sono ordinate e dominate dalla vita generale del mondo. — Ecco gli animali celesti, creati colle nature degli altri animali.
Numi ignei. — I corpi celesti, enti vivi, sono tutti anche più perfetti di altri, i quali non hanno che un movimento irregolare. Quindi è che Platone li chiama enti divini, e celesti famiglie di iddii; o, per meglio sceverarli dal Dio eterno, dei sensibili e contingenti; e forma il loro corpo precipuamente di fuoco, perchè siano risplendenti e belli al possibile e dà ad essi, forma rotonda, e simile a quella del tutto. E siccome sono stati così meravigliosamente incatenati e, formati da Dio stesso, essi hanno anche ricevuto una specie di immortalità, perchè non sono soggetti a dissoluzione e non conoscono la morte; di modo che possono essere chiamati immortali. — Ritter.
Tre generi, volatile, acquatico, terrestre. — Nati gli dei immortali, altri enti mortali venir dovettero a vita. Sono essi di tre specie, secondo ch’e’ vivono sulla terra, nell’acqua o nell’aria; mentre il corpo degli dei contingenti è generalmente formato di fuoco. V’ha dunque una divisione per gli enti vivi, secondo i quattro elementi. La ragione, per la quale le tre specie di animali mortali dovettero essere formate, consiste in questo, che quattro generi di enti vivi sono nell’idea dell’ente vivo in generale, e che il mondo sarebbe imperfetto se tutti i generi di enti vivi non dovessero essere in lui contenuti.
La terra più antica degli Dei. — Platone non dice nulla per difinire se la terra, non altrimenti che i pianeti e le stelle fisse, debbasi riguardare come un ente animalo e come un dio contingente; ciò che parrebbe quasi, considerando il luogo assegnatole fra gli altri dei contingenti, e il posto d’onore che occupa la terra stessa, nel centro del mondo, a norma della precedenza dovutale, per la sua primogenitura in confronto degli altri pianeti. Ell’è appellata dal nostro filosofo, guardia e architetto della notte e del giorno.
La terra siccome nel mezzo, nel mezzo girare. — La terra, come si è veduto, fu collocata da Platone nel mezzo del mondo, ove si stende intorno al polo, o meglio all’asse del mondo, e dove è rattenuta e ferma per suo proprio equilibrio e per l’egualità del mondo intorno a lei. Ma Platone, osserva Ritter, non s’è che ambiguamente spiegato sulla quistione: se la terra resta in riposo nel centro del mondo, o se, docile al movimento universale, gira intorno al mondo. — Discordi gli antichi su questo punto di dottrina platonica, si è da ultimo assentito generalmente all’opinione che la terra è in riposo. Veggasi Bœckh. La ragione, per altro, che a questo dotto pare senza replica, non esclude, secondo Ritter, ogni movimento terrestre, quantunque si opponga al moto di rotazione sul proprio asse.
Alcune cose esistere per mezzo della mente, alcune per ragione di necessità. — Per mezzo della mente, di Dio, dell’anima, cagioni perpetue; dei quattro elementi, in cui si tramutò la materia, cagioni necessarie. Due generi di cagioni già poste da Platone.
Non sono elementi, ma possono contenerli. — Dalla mutazione scambievole degli elementi fra loro — di che si toccò in una nota — appare ch’e’ non sieno altra cosa da una natura seconda, composta di qualità, della quale prima è la materia e la forma.
Constare di triangoli. — La materia che sempre rimane la stessa, è determinata dalle forme cui viene assoggettata. Quindi la materia, per sè priva di forme, come ricettacolo di tutte forme, è abile a trasformarsi in qualunque cosa. Ma la forma dei quattro elementi è forse per il nostro filosofo un esempio, piuttosto che un fatto; servendosi di quella dei triangoli, che sono i principii di tutte le figure piane, siccome composte di linee, e base delle solide. — Così Ritter; ma crede Stalbaum, contro l’opinione di Aristotele, non trattarsi già di superficie ideali, ma di veri solidi terminati da superficie. Anche presso i pitagorici pare che il triangolo fosse l’istromento della formazione del mondo.
Elementi di esse il triangolo con un lato bislungo e l’isoscele. — „In prima a tutti è patente che il fuoco, la terra, l’acqua e l’aria, sono corpi: poi che ogni corpo ha anche profondità, e che ogni profondità è giuoco forza che accolga la natura del piano. Ora la parte retta della base piana si compone di triangoli, e tutti i triangoli hanno principio da due, avendo entrambi un angolo retto e due acuti. — Si eleggano i due triangoli, dai quali il fuoco, ed i corpi dell’altre cose sono composti, cioè, l’equilatero, e quello che ha un lato maggiore tre volte in potenza del minore. — L’equilatero ha una sola natura, e quello che dall’altra parte è più lungo, infinite. — È per vero quattro specie si fanno dai triangoli eletti da noi: tre di uno avente i lati disuguali; il quarto solo si compone del triangolo equilatero.“ Timeo. — L’aria, l’acqua, il fuoco hanno un principio comune, la terra lo ha dà sè.
XLII. Dei beni e dei mali diceva: essere fine rendersi simile a Dio ec. — Platone considera la morale come il fine essenziale della filosofia. Essa è il bene supremo. Mala dall’amore consiste nella tendenza alla perfezione. Due maniere di beni: umani, transitorii, ingannevoli; divini, permanenti, necessarii. A questi spettano tre condizioni: verità, armonia, bellezza, e appartengono all’ordine delle idee, di cui la divinità è sede, sorgente, tipo. La pratica della morale altro non è che il culto della divinità. Avvicinandosi a Dio si sale alla virtù; consacrandosi alla virtù si onora Dio in modo degno di lui. Siccome per la logica, l’anima imita il [testo greco], il verbo divino, così per la morale imita Dio come amante ed attivo. Dio, che infinitamente ama le idee, non operò esternamente che per ridurre all’atto questi archetipi di tutte cose. Dee l’uomo del pari, assoggettando l’amore dei beni variabili e sensibili all’amore delle idee, o del bene assoluto, non adoprarsi, in quanto si può, che a ridurre in atto le idee divine. Quindi principio della morale l’imitazione di Dio, il rendersi simili a Dio, principio del vero, da cui deriva il bene ed il bello, il quale non è che io splendore del bene.
XLIII. Trattò della giusta applicazione dei nomi. — I nomi ed i verbi, vocaboli semplici, formano le enunciazioni sulle quali fonda la dialettica i suoi ragionamenti; e quindi ne costituiscono le minime parti. Tratta di essi nel Cratilo.
XLV. Le cose divideva in questo modo. — Lettor mio, il buon Laerzio trasse, come pare, queste divisioni platoniche da un’opera di Aristotele, che certo perì, se più non si rinviene nelle superstiti. Tutti suoi per altro saranno al solito i pregi dello stile, cui danno anche maggior risalto quelle specie di recapitolaziòni che degnamente conchiudono le divisioni! Distinto fra gli altri il p. xlv, ci chiederai, perchè a diminuzione di noia non si potessero omettere, come fece il traduttore francese? — Si potea veramente, ma era in opposizione al nostro sistema di tradurre.
L. Cinque specie di medicina. — Secondo Celso sono tre: una che si giova del vitto, una dei medicamenti, la terza della mano: dietetica, farmaceutica, chirurgica appellate da’ Greci. Platone non divise la medicina in cinque, come afferma Laerzio, ma solo in tre, come dice l’Aldobrandino, il quale osserva per altro aver Platone fatta menzione della nosognomonica. Certo la [testo greco] non dee costituire un genere spartato di medicina. — Menagio.
LXXIV. Così divideva la prima. — [testo greco], ita prima dividebat, termine filosofico cbe significa i primi sentimenti che natura ci dà.
„La filosofia platonica vinse, in estensione ed in varietà, tutte l’altre greche filosofie che la precessero. Platone da queste attinse, a dir vero, di molti elementi, ma aggrandendoli gli fece suoi, e gli sviluppò e gli uni alle sue concezioni. — La filosofia, per suo mezzo, apparve colla propria potenza; e si mostrò come la scienza cbe costituisce l’unità delle scienze diverse. — L’unità logica del sistema platonico si trova radicalmente nella teorica delle idee. — La dipendenza delle sensazioni dalle nozioni, delle nozioni dalle idee, riproducesi, sotto forme diverse, in ogni parte della filosofia di Platone, e determina, ne’ singoli cerchi della realtà, un ordine analogo. Nel seguente specchietto, si scorge, di leggieri, quest’unità:
Teorica della conoscenza.
Idee | Nozioni intermedie fra le idee e le sensazioni | Sensazioni |
Teorica dell’universo.
Dio assoluto, necessario, immutabile; il medesimo. | Anima del mondo che partecipa della natura di Dio e della materia. | Materia, principio del variabile, del relativo; il diverso. |
Anima umana.
Regione dell’intelligenza e dell’amore, corrispondente alle idee. | Regione dell’intelligenza e dell’amore, corrispondente alle noziioni. | Regione dell’intelligenza e dell’amore, corrispondente alle sensazioni. |
Organizzazione umana.
La testa, organo di ciò che v’ha di superiore nell’anima. | Il cuore, organo del [testo greco] | Gli intestini, organi delle affezioni dell’anima. |
Logica.
Logica apodittica. | Logica epicherematica, ch’è intermedia fra l’altre due. | Logica entimematica. |
Morale.
Amore per l’assoluto.. | Amore mescolato. | Amore animale. |
Politica.
Casta sapiente, che contempla la verità. | Casta intermedia tra i filosofi, gli artieri e i lavoratori. | Casta dedicata ai lavori manuali dell’industria e dell’agricoltura. |
De Salins et de Scorbiac.