< Antonio Rosmini
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Capitolo XXIV
XXIII XXV


Che il suo zelo non fosse fosco nè torbo, lo dice la Storia dell’Amore, che non è dell’età sua più piena; ma pure è conferma a quel detto di lui, che amore è d’indole ingegnosissima, giacchè nella stessa legge vecchia egli segna il sentiero che viene l’amore aprendo a sè fra i triboli dell’odio superbo ond’era ingombra la terra. La libertà egli vuole effetto d’amore, al contrario di tanti che la fanno irta di diffidenze, non forte che a repulsioni, scomunicatrice perpetua, e essa stessa anatema vivo. Divisi, dic’egli, dal vero e dal falso amore, i buoni tuttavia amano i loro nemici; e nello stesso amore ritrovano soprabbondante il compenso. Agli occhi suoi un pregio, e non grande, dell’animo, dell’ingegno, dello stile, compensava difetti molti: e cotesta necessità di stimare e d’amare era in lui non solamente generosità ma natura, nè detraeva alla saldezza de’ suoi principi e alla purità degli affetti. Quello che dice lo stoico del Sapiente, egli in sè l’avverava: Allora nascerà quel bene inestimabile, la quiete e sublimità della mente in sicuro collocata; e respinti i terrori, la gioia grande e immota nella cognizione del vero, e la bontà e effusione dell’animo[1].

Egli teneva che il mancare della carità impiccolisce il cuore e il pensiero; che i seminatori di dubbio sono crudeli all’umanità; e siccome alla scienza sottometteva la fede, così alla virtù posponeva l’ingegno. E per l’ardente amore del Vero, egli sin da fanciullo si passionava della lettura, e varie ne faceva ogni giorno, disponendo sulle seggiole i libri aperti, e ingiungendo a se stesso il numero delle pagine per conciliare l’ordine colla varietà; e se la madre sopraggiungeva temendo delle prolungate sue veglie, esso con rispettosa amorevolezza le accennava delle dilettevoli cose ch’erano in que’ libri, come per invaghirne lei stessa. E sempre lo studio gli fu bisogno della mente e dell’animo: e non pertanto egli si staccava dallo studio con coraggiosa vittoria per le opere di religione e di carità; e carità stimava anco il soddisfare agli amici. Ne’ quali la virtù gli appariva onoranda più che l’ingegno, e anche senza l’ingegno: e solo l’aspetto della virtù aveva forza d’intenerirlo, intenerirlo fino alle lagrime. Di questa riverenza alle doti del cuore e del libero arbitrio darebbero documento le più che diecimila sue lettere, delle quali, scegliendo l’importante alla scienza e alla storia morale del tempo e alla storia dell’anima sua (giacchè nell’anima d’un uomo raro sono più insegnamenti e più consolazioni che non negli annali sanguinosi de’ popoli, e in quel ritratto è più ideale che non negl’ideali fittizi), ci sarebbe da fare parecchi volumi. La sua predilezione al Vero che compie se stesso nel Bene fu coronata di premio in quanto che più dalla meditazione egli attinse di verità che da’ libri, e quindi gli venne dottrina più originale e più sua; e nella preghiera gli s’ingrandiva a concetti nuovi la mente, i quali egli chiamava elemosina a lui fatta da Dio.

Note

  1. SENECA, Vit. B.
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