< Catone Maggiore
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XIII XV

Gozzoviglie di Catone.

Per diletto di conversare, amo talora presentarmi ai conviti prima dell’ora fissata e partirmene dopo; e non siedo soltanto fra i miei coetanei che ormai sono assai diradati; mi va a genio anche la compagnia dei giovani dell’età vostra e di voi. E ne tengo debito alla vecchiezza, che di tanto mi accrebbe il gusto del conversare quanto m’ha scemato quello della bottiglia e de’ manicaretti.

Che se taluni sono ghiotti di questi piaceri sensuali (affinché io non sembri troppo austero avversario delle voluttà verso le quali per avventura sta nell’uomo una tendenza naturale) mi asterrò dall’affermare che per essere ormai vecchi sia loro mancata ogni sensibilità.

Piace anche a me, credetelo, la presidenza della mensa introdotta dai nostri maggiori e i brindisi che il capo della tavola innalza fra le ricolme tazze, purché, siccome Senofonte ne apprende nel suo Simposio, queste sieno di piccola forma adattata per deliberare il vino; mi piace la fresca aura nella state, e nel verno godo al tepore del sole, o di fiamma vivace, li quali gusti di frequente mi prendo nella mia villa Sabina. Ivi convito ogni giorni i vicini a cena e vi sediamo fino a notte inoltrata passando il tempo in giocosi discorsi sopra vari argomenti.

Che lo stimolo sensuale, non si faccia sentire con molta vivacità nei vecchi, lo credo. Tuttavia l’astinenza non debbe costare ad essi molta fatica. La privazione d’una cosa non più desiderata, cessa d’essere molesta.

Sofocle richiesto da taluno già in età avanzata perché non si prendesse i piaceri di Venere "Dio me ne guardi", rispose, "di piena volontà li sfuggo, siccome da tiranno dispotico e sfrenato". Per verità coloro che sono ghiotti di questi diletti, ne trovano spiacevole e molesta la privazione; quelli poi che a sazietà ne gustarono, sono assai più paghi di averli abbandonati, che di goderne. Siccome la pena dell’astinenza non è sentita da chi non appetisce, preferisco la mancanza del desiderio al possesso.

I giovani certamente trovano mercato più facile e spontaneo di certe voluttà; ma anzitutto, diciamolo pure, sono questi piaceri riprovevoli. - Se poi la vecchiezza non può goder degli altri a profusione, non le manca mezzo tuttavia di gustarli con moderazione. L’attore Turpio Ambivio diletta certamente assai più coloro che siedono ai primi posti, ma ponno averne piacere anche gli spettatori collocati ai secondi.

Del pari la gioventù assapora i piaceri più spensieratamente perché vi si abbandona con maggiore intimità, ma i vecchi hanno mezzo di esserne soddisfatti anche tenendosi a moderata distanza da essi, perché sentono bisogni più limitati. Contiamo forse per poco che l’animo nostro, scosso il dominio delle sozze passioni, quali sono la libidine, l’ambizione, l’invidia, l’odio, possa vivere in pace, e per così dire, a sé medesimo? Soccorsa dal pascolo dello studio e della dottrina, la vecchiezza nella placida sua acquiescenza, può apprestarsi momenti piacevolissimi.

Non vidimo noi Caio Gallo amicissimo del padre tuo, o Scipione, uscir vita quasi senza avvedersene, tanto fervore metteva negli studi dell’astronomia? Oh quante volte fu sorpreso dall’aurora dopo essersi posto allo studio nella sera precedente! Quante volte, la notte sopraggiunse intanto ad un lavoro da lui incominciato nel mattino! Come godeva quell’ottimo nel predirci assai prima che non fossero visibili, gli eclissi del sole e della luna?

Che dirò io degli studi meno severi dove però è necessario un pronto ingegno? Con quanto diletto Nevio ci declamava le imprese della guerra cartaginese! Quanta compiacenza Plauto sentiva delle sue commedie il Truculento e il Pseudolo?

Sei anni prima della mia nascita, Livio Andronico, già fatto vecchio, non scriveva forse una tragedia sotto il consolato di Centone e di Tuditano? Tuttavia io era già fatto adulto che egli stava ancora in vita. Che dirò di P. Licinio Crasso autore d’un commento sul diritto civile e pontificio? O degli scritti di Publio Scipione[1], il quale ai nostri giorni noi tutti abbiamo salutato Pontefice massimo?

Questi personaggi che io passai a rassegna, benché carichi d’anni, non cessarono mai di proseguire con ardore i loro studi. E quel Marco Cetego, chiamato da Ennio con tanto criterio anima della Dea Suadal[2], benché giunto in età avanzatissima, non vidimo noi ostinatamente immerso nelle profonde sue meditazioni intorno al ben dire?

Che valgono mai, diciamolo schiettamente, i godimenti della mensa, dei dadi e del bordello a paragone di quelle morali soddisfazioni? Mercé di codesti studi, viene creata una dottrina che grado per grado crescente, arriva a sublime stadio, a misura del senno e dell’ingegno di chi la possiede. Assai giudiziosa massima fu dunque quella scritta da Solone, in alcuno de’ suoi versi, che cioè, dall’invecchiare, ogni giorno apprendeva qualche cosa, nel che la voluttà provata dall’animo suo era maggiore di qualsiasi altra.


Note

  1. Soprannominato Nasica, quegli che fece trucidare Tiberio Gracco.
  2. Così era appellato il genio dell’eloquenza persuadente.
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