< Catone Maggiore
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XII XIV

Non disdicono ai vecchi gli onesti godimenti della mensa.

M’avvenne più volte che i maggiori miei facessero racconto, siccome di fatto accaduto nella loro età giovanile, che Caio Fabrizio allorquando stava Legato della repubblica presso il Re Pirro, facesse meraviglie di quanto gli narrò il tessalo Cinea di certo ateniese, il quale tenevasi in conto di filosofo[1]ed affermava la voluttà servire d’incitamento a tutte le azioni dell’uomo. Marco Curio e Tito Coruncanio, all’udire codesta sentenza, fecero voti che Re Pirro e i Sanniti accettassero per vera quella dottrina nella certezza di poterli vincere più facilmente resi imbelli per sì brutale passione.

Contemporaneo di Marco Curio e cinque anni prima che questi venisse al Consolato, Publio Decio, console per la quarta volta, faceva sagrificio della propria vita alla Repubblica. Era questo Curio amicissimo di Fabricio e di Coruncanio; ed essi, così il costume di sua vita che l’eroico atto di Decio considerando, avvisavano esservi certamente alcun che di specie più bella e nobile che per spontanea attrattiva si fa appetire: ciò che ogni uomo dabbene, posta in non cale la voluttà, dovrebbe fare studio di conseguire.

Ma ormai fu detto più che basti de’ piaceri sensuali, il che torna in lode più che in biasimo della vecchiezza, se per essa si ammorza la scintilla delle emozioni carnali.

Non ghiotta di squisite vivande, di sontuose mense imbandite e di tazze ricolme, nemmeno soggiace all’ebbrezza, alle affannose veglie, agli agitati sogni.

Ma se pure in qualche modo è forza compatire al fascino delle voluttà, arduo non poco essendo combattere il solletico de’ sensi (dal divo Platone chiamato esca del male, essendone gli uomini accalappiati come i pesci all’amo), basti che i vecchi s’astengano dalle disordinate gozzoviglie senza vietar loro i modesti passatempi, e i temperati banchetti.

Caio Duillio figlio di Marco, che primo vinse in battaglia navale i Cartaginesi, io, tuttora adolescente, vidi più d’una volta far ritorno da cena lietamente fra lo splendore di abbaglianti doppieri e i suoni armoniosi; unico fra i privati cittadini che si regalasse con tanta magnificenza, la gloria delle sue gesta scusando questa licenza.

E senza parlarvi d’altri, non poss’io di me stesso intrattenervi che sempre vissi in festose brigate?

Sotto la mia questura vennero istituiti consorzi d’uomini per liete adunanze nei giorni sacri ai riti di Cibele. In mezzo a questi gioviali convegni si banchettava, ma senza varcare i limiti della temperanza, sebbene non potesse ammutolire lo slancio vivace naturale alla gioventù.

Con la matura età però ogni atto si compone a più placidi e pacati modi. Il diletto di questi banchetti, assai meno stava risposto nei godimenti della gola, che nella qualità degli amici e del piacevole conversare. Più esattamente dei Greci, gli avi nostri, dal convivere degli amici a mensa, il nome di convito derivarono. Coloro invece, appellando sodalizi di bevande e di cibi questi convegni, mostrarono dare la preminenza alla parte materiale, che avrebbero dovuto tenere in infimo pregio.


Note

  1. Epicuro.
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