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La pazienza e l’esperienza, che non fanno rima soltanto nelle parole ma anche nell’armonia delle umane cose, ci procurano quella cara e santa virtù che è l’indulgenza, tanto rara nela giovinezza, tanto comune nella vecchiaia; a cui porge infinite dolcezze e a cui dà un’amabilità grandissima.
Fra la pazienza e l’indulgenza sta la tolleranza, che tiene dell’una e dell’altra e che le riunisce in un vincolo di strettissima parentela.
Vi sono debolezze e viltà e iniquità nell’uomo, che non possiamo approvare, né giustificare; ma nel giovane risvegliano lo sdegno e nel vecchio invece ispirano la tolleranza.
Nella gran fabbrica degli uomini, assai più difficile di quella delle ciambelle, vengon fuori dei gobbi, dei nani, degli idioti, tanto nel corpo come nell’anima; e dacché non possiamo ucciderli, dobbiamo accontentarci di tollerarli, studiando intanto di perfezionare quella fabbricazione, che finora è sempre nello stato infantile e mitologico della più oscura ignoranza.
Dalla tolleranza all’indulgenza non vi è che un passo, e indulgenti son tutti i vecchi sani e buoni. Il perdono è una virtù sublime della vecchiaia, e se la insegnò e la predicò Gesù Cristo, benché giovane, fu il solo e meriterebbe il nome di un Dio anche per questo solo, di avere insegnato a perdonare.
Guardatevi intorno e anche senza uscire dal giro ristretto della vostra famiglia, vedrete come l’indulgenza cresca con gli anni.
Voi avete preso moglie e avete avuto parecchi figliuoli. Or bene col primo siete severissimo, col secondo severo, col terzo giusto, con gli altri indulgente. I vostri genitori poi, nonni dei vostri figliuoli, son con tutti indulgentissimi.
Di questa indulgenza si dà merito alla debolezza senile, e invece di quella virtù ha merito l’esperienza degli uomini e delle cose.
Quando si è giovani, si ha una fede cieca nell’impotenza dell’educazione e si vuole che i nostri figliuoli sieno altrettanti geni, altrettanti eroi; modelli di perfezione in tutto. E le armi pedagogiche si maneggiano con crudele coraggio: l’emulazione, il castigo, le busse del corpo e le umiliazioni dell’amor proprio. Nostra divisa è: chi molto ama molto castiga. E si sogna il beato sogno, che d’una zucca si possa fare un popone e di un asino un cavallo.
Ma poi, poco per volta, siam costretti a confessare, che ad onta di tutto il nostro crudele e artificioso armamentario della pedagogia la zucca è rimasta zucca e l’asino è sempre un asino. Tutt’al più la zucca è divenuta un po’ meno insipida e l’asino ha accorciato un tantino le proprie orecchie.
E allora si ripongono le ferule e gli scudisci, si ha vergogna di aver dato degli schiaffi e si viene a’ più miti consigli, accontentandosi di ammorbidire con un po’ d’olio le ruote rugginose, di strappar qualche spina, di arrotondare qualche punta. Miglioriamo la zucca e diamo un po’ d’intelligenza all’asino, senza più pretendere alle metamorfosi di Ovidio. Un po’ per volta troviamo che anche la zucca, anche l’asino hanno una missione in questo basso mondo; hanno anch’essi la loro utilità.
E diveniamo indulgenti.
Santa e cara e gioconda virtù, che spande una luce rosea su tutto ciò che tocca: santa e cara e gioconda virtù, che ci fa simpatici a tutti dacché tutti hanno qualcosa da farsi perdonare, qualche piaga da nascondere, qualche difetto, di cui devono arrossire.
Noi abbiamo in orrore specialmente quei difetti, che feriscono il lato più sensibile dell’anima nostra e ci ribelliamo ad essi e vorremmo distruggere con il colpevole la macchia, che offende in noi il lato estetico o morale; ma l’esperienza ci ha dimostrato, che né la ribellione, né lo sdegno possono campiare il carattere degli uomini, e al posto dello sdegno abbiamo messo con gli anni il compatimento; giudicando tutto e tutti con un’indulgenza grandissima.
Badate bene, che l’indulgenza non è rinunzia delle nostre convinzioni, né mancanza di fede nel bene e nel male, né scetticismo cinico. Indulgenza vuol dire bontà e giudizio fusi insieme; e la nostra dignità di galantuomini e di gentiluomini, non viene per essa ad abbassarsi di una linea; ché anzi ci innalza ad una sfera superiore. Chi perdona sta sempre più in alto di chi è perdonato; mentre chi disprezza e insulta, per disprezzare o insultare, deve scendere al livello del suo avversario.
Fra le tante virtù, che i cristiani hanno dovuto al loro Dio, forse la più bella è appunto quella della misericordia; parola alquanto mistica, ma che tradotta in lingua povera vuol dire una infinita indulgenza per tutte le umane debolezze, per tutti i peccati, che può commettere il fragile figlio di Adamo e di Eva. È vero, che l’invenzione dell’inferno ha sciupato alquanto l’idea divina di quella misericordia; ma parecchi teologi poco ortodossi, ma molto ragionevoli, hanno negato l’inferno, accontentandosi del purgatorio; e questo si può conciliare anche con la misericordia, visto che gli uomini non hanno né limite né creanza nel peccare e l’indulgenza eccessiva non deve poi esser più grande della facoltà infinita al peccare!