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La vennita der brevetto Tre mmaschi e nnove femmine
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1843

ER LIONFANTE.

     Pippo, annamo a Ccorèa?1 — Per che rraggione? —
Pe vvedé sto lionfante tanto bbello. —
E a nnoi che cce ne frega2 de vedello?
Va’ a la Minerba3 e sfoghete, cojjone. —

     Ma ddicheno che bballa er zartarello,4
Sona le zzinfonie, fa ccolazzione,
Porta su la propòsscita er padrone,
Dorme, tira er cordon der campanello...

     Tiè ppoi ’na pelle, che ppe cquante bbòtte
De schioppo je sparàssino a la vita,
Nun je se pò sfonnà. — Cqueste so’ ffòtte.5

     L’ìmpito de ’na palla inviperita
È ccapasce a passà ppuro una bbotte,
Fussi magaraddio6 grossa du’ dita.

19 maggio 1843

  1. [Anfiteatro Corèa, oggi "Umberto Primo.„]
  2. [Che ce ne importa.]
  3. [Perchè sulla piazza della Minerva c'è l'elefante scolpito da Ercole Ferrata, che sostiene sul dorso un obelisco egiziano.]
  4. [Il salterello: il trescone.]
  5. [Son fiabe.]
  6. [Magari dio: anche, perfino. Ma ha insieme forza di esclamazione.]

Note

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