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La fittuccia Li teatri de mo (1843)
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1843

ER RICRAMO.1

     E a cquer cazzaccio der padron de Rosa
Sabbit’a ssera nun je prese er ramo
De portà ar Papa un fojjo de ricramo
Su li guai de la ggente abbisoggnosa?

     Sai c’arispose er Papa?2 “Ma cche ccosa!,
Che mmiseria, li zoccoli d’Abbramo!
Lei puro3 ha st’ideaccia stommicosa?
Noi però, ggrazziaddio, ce ne freghiamo.4

     E un’antra vorta che llei viè a Ppalazzo5
Co sti sturbi in zaccoccia, siggnor tale,
Lei stii pur certo che nnun entra un cazzo.6

     Fino che ir Tesoriere nun zi stracca
Di fà ddebbiti e vvenne7 ir capitale,
Staremo sempre in d’un ventre di vacca.„8

26 maggio 1843

  1. [Il reclamo, il ricorso.— Nell’autografo di questo sonetto, l’autore prese nota di averne dato “copia a Balestra il 14 maggio 1845.„]
  2. [Varianti popolari: Be'? ch’arispose er Papa? — Che jj' arispose er Papa?]
  3. Pure.
  4. Ce ne ridiamo; non ce ne prendiamo pena. [Var. pop.: Noi, pe’ ggrazzia de Ddio, ecc. E dice freghiamo, invece di fregàmo, come sotto dice ir, zi, di, invece di er, ze, de, per affettare il linguaggio civile del Papa.]
  5. [Detto così assolutamente, s'intende sempre quello pontificio. Var. pop.: E ssi lei 'n'antra vorta viè a Ppalazzo.]
  6. [Var. pop.: Io je so a ddì che llei nun entra, ovvero che cqui nun z’entra ecc.]
  7. Vendere.
  8. [Era ancora tesoriere il cardinal Tosti, che. sotto questo stesso anno 1843 il Farini (Op. e vol. cit., pag. 86) chiama: “sperperatore del pubblico erario;„ e del quale Il Gualterio (Op. cit., vol. I, pag. 161-62) scrive: “Egli aveva una facilità maravigliosa nel porre riparo al pericolo immediato del fallimento; ma consumando preventivamente ogni capitale ed ogni mezzo, aumentava gl’imbarazzi avvenire. Si colmava una fossa, spalancando una voragine... Il pubblico mormorava e fremeva di cotanta stoltezza... Il coraggio del Tosti in mezzo agli imbarazzi, e la sua franchezza per uscirne, faceva sì che il pontefice lo tenesse per un destro finanziere; tanto più che Gregorio XVI, odiando le cure e temendo le rovine, amava sentirsi dire che tutto camminava in regola.„ Cfr. anche i sonetti: La sala ecc., 8 genn. 32; e Er volo ecc., 13 genn. 45.]

Note

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