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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
ER ROMPICOJJONI
’Gni vorta, diosallarga,1 che mme sporgio2
A ttrovà Mmuccio3 che sta vverd’e mmezzo,4
Ecchete er pertichino5 d’er zor Giorgio
Che cce se pianta com’e Ccacco immezzo.6
Ma un giorno che pper tempo me n’accorgio
Che cce le viè a scoccià7 ccome ch’è avvezzo,
Me je fo avanti e ddico: “Eh soro sgorgio,8
Ce l’avete scuajjati9 per un pezzo.
Pare, sor grugno de cascio marcetto,10
Che ssarebb’ora de mutà bbisaccia
E mmette mano a un antro vicoletto„.
A ste parole lui vorterà ffaccia:
Ma ssi mmai nu la vorta, te prometto
D’impiegacce una bbona parolaccia.
5 febbraio 1832
- ↑ Interiezione.
- ↑ Mi sporgo, mi affaccio, vado.
- ↑ Giacomuccio, Giacomo.
- ↑ Malaticcio. Mézzo, pronunciato come vezzo, vale: “vizzo, floscio„.
- ↑ Cavallo di giunta al tiro.
- ↑ Modo proverbiale, che si pronunzia veramente Cacch’immezzo (cioè “in mezzo„), ma qui noi lo scriviamo per intero onde evitare l’h, da cui la parola si renderebbe equivoca.
- ↑ Scocciar le palle e squagliare i cerotti, vagliono: “annoiare„.
- ↑ Nome di scherno che si dà alle persone mal fatte, specialmente nelle gambe.
- ↑ Vedi nota 8.
- ↑ Il cacio inverminito per pinguedine, che alcuni mangiano avidamente.
Note
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