Questo testo è incompleto. |
◄ | La porta dereto | Lo scalìn de Rúspoli | ► |
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
ER VEDOVO
Er zanto madrimonio? er pijjà mmojje?
Accidentacci a cchi ne disce bbene.
Ar ripenzà ar passato, me s’accojje1
La massima2 der zangue in de le vene.
È mmeno male de passà in catene
Mill’anni, senza mai potesse ssciojje:3
È mmejjo a vvive4 drent’a un mar de dojje
Tutto pien de bbubboni e ccancherene.
Li crapicci, li ghetti,5 li scompijji...
Ma, ssenza che tte sfili la corona,
Bbasta er mal de le corna e dde li fijji.
Eppoi, fussi6 la mojje cosa bbona,
Ciaverebbe7 pe’ ssé mmesso l’artijji
Sta razzaccia de preti bbuggiarona.
20 ottobre 1833
- ↑ Mi si accoglie: mi si putrefà.
- ↑ Massa.
- ↑ Potersi sciogliere.
- ↑ Vivere.
- ↑ Gli strepiti.
- ↑ Se fosse.
- ↑ Ci avrebbe.
Note
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.