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Gabriele Malacrida
Gregorio VII Scipione Ricci

GABRIELE MALACRIDA



Gabriele Malacrida nacque il 1689 a Menaggio nel Comasco1da un valente medico, padre di undici figli, dei quali uno professò teologia a Roma, uno fu canonico in patria, uno si stabilì in Germania. Gabriele, dedito alla pietà dalla prima fanciullezza, educato dai Somaschi nel collegio Gallio di Como, poi nel seminario di Milano, si rese gesuita, e fu destinato alle missioni nel Maranham, allora appartenente al Brasile, già prosperate dalle cure e benedette dal martirio d’altri Gesuiti. Oltre dirigere il collegio e la colonia, il Malacrida si spinse fra i selvaggi del Para, e con zelo instancabile e intrepida carità ottenne frutti stupendi, affrontando gli stenti, le malattie, la morte, più fiate minacciatagli; sicchè va contato fra i più insigni di quegli eroi, che la storia dovrebbe esaltare ben più che gli uccisori d’eserciti e soggiogatori di popoli: e le terre di Bahia, di Pernabuco, dei Tupinambi, dei Barbadi ne conservarono la memoria, finchè non divenne vanto moderno conculcare tutto il passato2. Non si mancò di circondar di miracoli le sue azioni.

Dopo dodici anni di stupende fatiche venne a Lisbona il 1749 per invocare la protezione e l’assistenza del re sul seminario e il convento che colà avea fondati, e quivi pure moltiplicavasi a servigio delle anime. Ma a re Giovanni V, che lo venerava, successe Giuseppe, datosi affatto in balia del marchese di Pombal, devoto alle fantasie de’ filosofi e odiatore de’ Gesuiti. Costui, dominatore del re e del Portogallo, fu singolare mistura di qualità differentissime; aristocratico e liberale; attento a sminuir la potenza ecclesiastica a favor della regia con ordini minuziosissimi e incalzanti, che conchiudeva colla formola non ostante qualunque legge contraria; brigavasi della forma delle bollette di posta, della vendita delle caldarroste, del preferir alle viti il frumento; abolì la privativa del tabacco e istituì quella del sale; fece tradurre i libri di Diderot, Voltaire, Rousseau e bruciare quei di Raynal; abolì l’Inquisizione, ma la piantò più forte col titolo di Maestà; dicono fin cento mandasse al supplizio in un giorno; colpa di maestà ogni resistenza alla volontà reale; Antonio Correa Garçao, detto l’Orazio portoghese, avendo detta qualche verità nella gazzetta, fu messo prigione e lasciatovi morire; chiuso in un sotterraneo il vescovo di Coimbra per aver pubblicato una pastorale contro i cattivi libri.

Il Malacrida, reduce da un nuovo viaggio in America nel 1754, incontrò l’ira del Pombal per le ragioni che non mancano mai fra due spiriti diretti su via opposta, e massime contro di chi ottiene la popolarità, ambita invano dai prepotenti. In occasione del tremuoto sciaguratamente famoso, che sovvertì Lisbona l’ognisanti del 1755, il Malacrida spiegò uno zelo e un coraggio, che furono giudicati indiscreti dal Pombal, e tanto più l’aver quegli, in un opuscolo, attribuito quel disastro a punizione del cielo, mentre il Pombal volea non vi si vedesse che mera conseguenza di cause naturali. Dal nunzio apostolico Acciajuoli lo fece relegare a Setubal, ma colà lo seguivano i devoti, per fare sotto di lui gli esercizj.

Addensavasi intanto la procella contro i Gesuiti, che furono sbanditi da quella Corte, tacciati di stabilir in America repubbliche comuniste, nelle quali, invece dei soldati, adopravansi missionarj, invece delle carceri i conventi, invece delle verghe i cantici, invece della forca le penitenze. Quel turpe maneggio è noto, come si sa che re Giuseppe una sera fu assaltato per ucciderlo. Eretto processo per questo misterioso attentato, uno degl’imputati nominò per complice il padre Malacrida. Qual bella occasione di vendicarsi di questo e di denigrare tutta la Società di Gesù! Cercatane la casa, fra le carte di lui si trovò una lettera, diretta al re, a cui annunziava sovrastargli un gran pericolo. Il Malacrida disse averne avuto rivelazione o ispirazione3, come in altre predizioni; ma la giustizia volle vedervi una complicità, e arrestatolo (1759) il condannò. Ma per accusa tanto assurda non si ardiva mandarlo al supplizio, onde, con un’arte pur troppo non disimparata, si pensò infamarlo4. Il Pombal, vantato filosofo, seppe valersi a tal fine del tramutato Sant’Uffizio, a cui capo avea posto suo fratello; dopo due anni di prigionia vi denunziò come impostore, blasfemo, eresiarca il Malacrida, allora di settantatre anni, facendo sentire esser desiderio del re che fosse condannato, e a tal uopo allontanandone quei che potessero salvarlo.

L’accusa appoggiavasi principalmente sopra due libri, che diceasi avesse composto in prigione, uno Tractatus de vita et imperio antichristi, l’altro Vita mirabile della gloriosa sant’Anna madre di Maria santissima, dettato dalla medesima santa coll’assistenza, approvazione e concorso della medesima serenissima signora e del suo santissimo Figliuolo. Da essi parrebbe s’abbandonasse a fantasie mistiche, pretendendo aver visioni, colloquj, rivelazioni dal Padre, dal Figlio, dallo Spirito Santo, con voce chiara e distinta; essergli soprannaturalmente annunciato vi sarebbero tre anticristi, padre, figlio, nipote; quest’ultimo nascerebbe a Milano il 1920 da un frate e una monaca; sposerebbe Proserpina, furia infernale; e altri delirj. Asseriva pure che sant’Anna fu santificata ancora in seno alla madre, e colà intendeva, conosceva, serviva Dio, avea fatto i tre voti monastici, al Padre di povertà, d’obbedienza al Figlio, di castità allo Spirito Santo: piangeva, e per compassione faceva piangere i cherubini e serafini che le teneano compagnia. In vita poi essa fu la più innocente delle creature, pregava Dio pei cherubini, acciocchè più sempre gl’infervorasse a servire la sua divina maestà. Il Malacrida vi raccontava molte particolarità della vita di Anna e della Beata Vergine, della quale Dio aveagli ordinato di esaltare la grandezza usque ad excelsum et ultra, nè esitasse a comunicarle gli attributi del medesimo Dio. Aggiungeva che i Gesuiti fonderebbero un nuovo impero di Cristo, scoprendo infinite nazioni d’Indiani. Quelle dottrine proferì e scrisse e difese davanti al tribunale del Sant’Uffizio, a cui erano state presentate le due opere, ch’egli riconobbe per sue.

All’eresia volle aggiungersi l’infamia del vizio, accusando questo vecchio settuagenario, rotto nelle fatiche delle missioni, d’abbandonarsi in carcere a oscene abitudini. Il Sant’Uffizio, dopo lungo processo fondato su tali assurdità, lo dichiarò «reo d’eresia, di bestemmia, di false profezie, d’empietà orribili, d’aver abusato della parola di Dio; d’aver oltraggiato la maestà divina insegnando una morale infame e scandalosa, scandolezzato col sostenere fin all’ultimo momento le pretese sue rivelazioni ed eresie»; pertanto lo consegnava, con morso e berrettone e col cartello d’eresiarca, alla giustizia secolare, chiedendo usasse con esso pietosamente, e non procedesse a pena di morte. E il 21 settembre 1761 a Lisbona, con cinquantadue imputati di simili fu strozzato, poi arso, secondo i desiderj del filosofo Pombal e cogli applausi di Voltaire.

L’accusa è tanto specificata, la sentenza tanto motivata, che il dubitarne parrebbe insensatezza se non fossimo in un tempo, ove tuttodì s’accettano le asserzioni de’ nemici, comunque assurde, purchè stampate, purchè spacciate francamente. Il Malacrida era gesuita: e però il filantropo Voltaire esclamava: — Corre voce sia stato arrestato il reverendo padre Malacrida. Ne sia benedetto Iddio.... Queste sì son notizie che consolano»5. Ma il buon senso non era stato ancora spento affatto dal filosofismo, e altra volta egli diceva che l’eccesso del ridicolo e dell’assurdità s’aggiunse all’eccesso dell’orrore in quella condanna. Il noto Giuseppe Baretti, che allora, restituendosi dall’Inghilterra al patrio Piemonte, attraversò il Portogallo e la Spagna, descrisse quel supplizio coll’indignazione d’onest’uomo contro l’ingiustizia e la barbarie, e tanto bastò perchè gli fosse proibito di continuare la stampa delle sue Lettere famigliari, e ch’egli corresse per le bocche coll’orribile taccia di gesuitante.

Pel processo io mi valsi d’una traduzione italiana, stampata colla falsa data di Lisbona 1761. Gli atti originali conservansi nel tribunale de correiçao da Corte e casa; e non m’è capitato nessun processo del Sant’Uffizio, che fosse così brutalmente assurdo come codesto.

Tra le altre gofferie e crudeltà pubblicate all’occasione di quel supplizio, ho veduto una relazione portoghese, che conchiude «credersi non abbia confessata, morendo, la sua colpa, e preferito morire del supplizio cui era stato condannato dall’Inquisizione, perchè con questo spediente volle togliere al re la soddisfazione di farlo morire come capo della cospirazione contro di lui».

Nella Deduzione cronologica e analitica.... data in luce dal dottore Giuseppe de Teabra da Silva, procuratore della Corona di Portogallo, per servire d’istruzione sopra l’indispensabile necessità, ecc., al § 908 e seguenti è detto che, nel processo per l’assassinio del re, vien denunziato che la marchesa de Tavora fondava i suoi progetti di regicidio «nella mistica e ne’ consigli di Gabriele Malacrida; che altri della sua famiglia erano ispirati, o piuttosto pervertiti dalle dottrine e massime di lui; e che tutto era diretto dallo spirito e dai consigli del Malacrida». Anche il duca d’Aveiro assicura «del credito e reputazione di santità e di buoni consigli dei Malacrida in casa Tavora».

In essa Deduzione si aggiunge che, avendo il re di Portogallo proscritti, snaturalizzati e cacciati dai suoi dominj i Gesuiti, la Provvidenza volle mostrar visibilmente di averli abbandonati. Poichè, mentre essi, fuor di Portogallo, spacciavano per santo il Malacrida, questo mostro per ismentirli scriveva i due abominevoli libri che lo fecero trasportare al Sant’Uffizio dell’Inquisizione, il quale sopra sua confessione lo condannò, e rilasciò alla giustizia di sua maestà.

«Avendo il reo, col mezzo dell’ipocrisia e della più raffinata malizia, conseguito di esser tenuto per santo e vero profeta da quella gente che, per divina promissione, non considerava i fondamenti sui quali sostentavasi la gran macchina di quella finta santità, si ridusse a divenir un mostro della maggiore iniquità che, non contento di aver ingannato i popoli ne’ dominj di questi regni, dai quali aveva estorto un capitale ben grande con pretesto di devozioni e di opere pie e con altre finzioni ed inganni, passò a spargere il più atroce veleno che aveva in cuore col fomentare discordie e sedizioni, e col profetizzare funesti avvenimenti ch’egli già sapeva che si stavano ideando e trattando in questa Corte».

Se il Malacrida avesse veramente scritto quelle stravaganze, sarebbe bisognato crederlo pazzo o rimbambito, e avea ragione Luigi XV quando, al leggere quella sentenza, proruppe: — Sarebbe come se io volessi far inrotare quel povero matto che crede esser il Padre eterno»6.

Ma non par tampoco fosse pazzo: tutti i Gesuiti che ancora restavano ne celebrarono le esequie come di santo: Clemente XIII esclamò: — Ecco un martire di più nella Chiesa di Gesù Cristo»; ne fu difusa l’effigie con un’iscrizione che lo dichiarava vitæ sanctitate, rebus gestis, miraculisque clarissimus.... summis infimisque semper mire gratus ac venerabilis; soli invisus dæmoni, ejusque fautoribus et ministris.... religionis lege damnatus inter bonorum lacrymas et præconia, publico tamen omnium judicio absolutus. Il padre Maria Rodriguez ne scrisse in latino la vita nel 1762, sopra quanto sapeva direttamente, o raccoglieva da testimonj fededegni, e de’ quali riferisce i nomi. Il celebre latinista Cordara scrisse Il buon raziocinio, o siano Saggi critico-apologetici sul famoso processo e tragica fine del fu padre Gabriele Malacrida (1782). Il padre Homem, perseguitato esso pure dal Pombal e liberato allorchè questi cadde, stampò De tribus in lusitanos Jesu socios publicis judiciis dissertatio (Norimberga 1793), ove asserisce che l’opera sull’Anticristo era stata composta dall’abate Platel, famoso col nome di frà Norberto cappuccino, per infamare i Gesuiti; aver il Malacrida scritto bensì una vita di sant’Anna, ma tutt’altra dalla allegata. Su tali documenti una nuova vita, o piuttosto apologia fu stampata testè7, dove ci parve strano mancasse il documento più importante e più diffuso, cioè l’atto d’accusa e di condanna.

Ma allora quel fantasma spaventevole che dal calamajo sorge col titolo di pubblica opinione, volle fare la prova decisiva dell’onnipotenza sua contro la verità e il buon senso col recare i principi a cacciare, e il papa ad abolire i Gesuiti, che, come dice Heyne, furono non giudicati ma giustiziati.




  1. Non so a qual titolo i biografi comaschi lo fanno di Mercallo: la sentenza lo dice nativo del luogo di Minajo, vescovado di Como, ducato di Milano. A Menaggio in fatti fiorì sempre la famiglia Malacrida.
  2. Nel 1863 V. Martin de Moussy pubblicò una descrizione geografica e statistica della Confederazione Argentina, dove crede far atto di coraggio col narrare i grandi vantaggi che a que’ paesi aveano recato le colonie presedute da’ Gesuiti, e la floridezza cui erano arrivate, e che perdettero non appena questi ne furono espulsi. — Ecco a che son ridotte oggi quelle comunità, che furono giudicate così diversamente, e la cui antica celebrità non fu pareggiata che dall’oblio profondo ove oggi sono cadute. Viaggiando quelle contrade sì poco note, abbiam voluto dire senza esagerazione come senza paura che cosa erano state le missioni, e che cosa divennero dopo tolte violentemente ai loro fondatori.... Qualunque siano gli eventi su cui ebber influenza i Gesuiti in Europa, qualunque giudizio siasene portato, possiamo asserire che essa fu in America sempre salutare e benefica».
  3. Nell’Anticristo dice che, il 29 novembre anno passato, aveva udito queste parole:— Hac nocte uno, idest brevi et inopinato interitu, de medio tollemus principem tam iniquæ criminationis, cum adjutoribus et adulatoribus suis».
    Confessò che, vedendo l’immenso danno che verrebbe dal togliersi ai Gesuiti le missioni, avea pregato caldamente Iddio, ed ebbe ispirazione d’avvertire il re d’un grave pericolo che gli sovrastava; pericolo che cercò sviare facendo anche penitenze e orazioni, per le quali crede che nostro Signore moderasse il castigo. Aver invocato dal tribunale d’esser udito subito, perchè intendeva manifestare il pericolo del re, ch’egli sapeva per rivelazione. E di questa e d’altre sosteneva la verità, e come la Madonna lo avesse assolto dalla colpa e dalla pena; e si lagnava di ottener meno credenza che non tant’altri simili.
  4. Fra le sue carte trovossi pure una tragedia, Amano, ch’egli avea scritta fin quando era maestro in Corsica, ma dove si vollero riconoscere allusioni al ministro Pombal.
  5. Lettera alla contessa Luzelburg.
  6. Murr, Zeitung zur Kunstgeschichte. Questo protestante laboriosamente raccolse quanti documenti potè sopra i Gesuiti dopo la loro abolizione.
  7. Histoire de Gabriéle Malacrida, l’apôtre du Bresil au XVIII siècle, par le P. Paul Mury. Parigi, 1865.

Note

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