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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
LA TERRA E ER ZOLE
Ggira er Zole o la Terra? Uh ttatajjanni1
Imbottiti de rape e ccucuzzole!
Abbasterebbe a gguardà inzù, bbestiole,
Senza stasse2 a ppijjà ttutti st’affanni.
Invesce de spregà ttante parole,
Dite, chi è cche dda un mijjone d’anni
Essce sempre de dietro a Ssan Giuvanni
E vva ddietr’a Ssan Pietro?3 eh? nnun è er Zole?
Ch’edè4 cquer coso tonno5 oggni matina
Che vve passa per aria su la testa?
Dunque è la terra o ’r Zole che ccammina?
Sippuro6 nnun è er dubbio che vve resta,
Vedenno7 oggni Minente8 e oggni paìna9
Nun poté arregge10 a ttiené ggiù la vesta.11
27 novembre 1833
- ↑ Stolidi.
- ↑ Starsi.
- ↑ Chiese de’ due Santi, prese pe’ due punti orientale e occidentale di Roma.
- ↑ Che è?
- ↑ Quell’oggetto rotondo.
- ↑ Seppure.
- ↑ Vedendo.
- ↑ Donna del volgo, specialmente di alcuni rioni.
- ↑ Cittadina.
- ↑ Non poter reggere, riuscire.
- ↑ A tener giù la vesta. La malizia del nostro romanesco riproduce in certo modo le obiezioni vecchie de’ frati intorno agli uomini a capo-in-giù, ai pozzi rovesciati, e a tante altre luminose considerazini che fruttarono la frusta inquisitoriale a Galileo Galilei. Vorremo noi dire che fosse quello il primo e l’ultimo errore de’ frati e de’ loro confratelli da chierca?
Note
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