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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1836
LA CARITÀ DDOMENICANA
M’è stato detto da perzone pratiche
Che nun zempre li frati a Ssant’Uffizzio
Tutte le ggente aretiche e ssismastiche
Le sàrveno1 coll’urtimo supprizzio.
Ma, ssiconno li casi e le bbrammatiche,2
Pijjeno, per esempio, o Ccaglio o Ttizzio,
E li snèrbeno a ssangue in zu le natiche,
Pe cconvertilli e mmetteje ggiudizzio.
Lì a sséde3 intanto er gran Inquisitore,
Che li fa sfraggellà ppe’ llòro bbene,
Bbeve ir4 zuo mischio5 e ddà llode ar Ziggnore.
“Forte, fratelli„, strilla all’aguzzini:
“libberàmo sti fijji da le pene
De l’inferno„; e cqui intiggne li grostini.
30 marzo 1836
- ↑ Salvano.
- ↑ [Secondo i casi e le prammatiche.]
- ↑ A sedere.
- ↑ Ir per “il„: sforzo di parlar gentile, dicendosi veramente dai Romaneschi erFonte/commento: Sonetti romaneschi/Correzioni e Aggiunte. [Cfr. la nota del sonetto: Er pranzo ecc, 6 nov. 35.]
- ↑ [Mescolanza: caffè e cioccolata.]
Note
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