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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
LA MOJJE INVELENITA
E mmó adesso in che ddà st’antra1 scappata
De schiaffeggià cquer povero innoscente?
Nò, nun è vvero, nun ha ffatto ggnente:
Sete voi che pparete spiritata.
Ve lo dich’io ch’edè,2 ssora Nunziata.
Voi stasera ve passa pe’ la mente
Quarche ggrilletto de svejjà la ggente
E ffalla corre3 sù cco la chiarata.
Sai che rraggione hai tu? c’a mmé mme4 piasce
Da fa ppubbriscità mmeno che pposso
E vvive5 li mi’ ggiorni in zanta pasce.
Ché ssi nnò, vvorìa datte6 un cazzottone,
Bbellezza mia, da stritolatte7 l’osso
De quer brutto nasaccio a ppeperone.
24 gennaio 1835
- ↑ Quest’altra.
- ↑ Che è.
- ↑ E farla correre.
- ↑ A me mi. Queste due varietà di un medesimo pronome pronunciandosi dalla nostra plebe nello stesso modo, abbiamo adottato il sistema di accentuare il vocabolo allorchè significa me, e lasciarlo semplice quando sta per mi. Così facciamo pel te e ti.
- ↑ Vivere.
- ↑ Ché se no (altrimenti), vorrei darti, ecc.
- ↑ Stritolarti.
Note
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