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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
LA PURCIARÒLA
Io nun trovo dilizzia uguale a cquesta
Che de stamme a spurcià1 ssera e mmatina
La camiscia, er corzè, la pollacchina,
Le legacce e le grespe de la vesta.
Si le purce so2 assai, pe’ ffalla lesta
Le sgrullo tutte in d’una cunculina:
Si nnò3 l’acchiappo co’ le mi’ detina4
Je do una sfranta, eppoi je fo la festa.5
Oggnuno ha li su’ gusti appridiletti.
Io ho cquello de le purce, ecco, e mme piasce
D’acciaccalle e ssentì cqueli schioppetti.
E cche ddirete der nostro Sovrano,
Che sse ne sta a ppalazzo in zanta pasce6
A ccacciasse7 le mosche er giorno sano?
11 agosto 1835
- ↑ Che di starmi a spulciare.
- ↑ Se le pulci sono.
- ↑ Se no: altrimenti.
- ↑ Co’ miei ditini.
- ↑ Le uccido.
- ↑ In santa pace.
- ↑ A cacciarsi.
Note
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