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XXVII. Como l’anima domanda aiuto contra la battaglia de li sensi corporali
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Como l’anima domanda aiuto contra la battaglia de li sensi corporali.          .xxvij.


     AMor dilecto,       Christo beato,
     de me desolato       agge pietanza.
Agge piatanza       de me peccatore,
     che so stato en errore       longo tempo passato;4
     a gran deritto       ne uo a l’ardore,
     cha te, Signore,       sì ò abandonato
     per lo mondo tapino,       lo qual m’è uenino
     & dato m’à en pino       de pena abundanza.8
Habundame dentro       la grande pena,
     la qual me mena       l’amor del peccato;
     l’alma dolente       a peccar s’enchina;
     deu’esser serina,       or à l uolto scurato;12
     perché a lei non luce       la chiara luce,
     la quale adduce       la tua diritanza.
Ma s’io me uoglio       ad te dirizare,
     & non peccare,       credo per certo16
     che da te luce       uerrà speregiare
     ch’allumenare       farrà lo mio pecto;
     ma so acecato       en un fondo scurato,
     nel qual m’à menato       la mia captiuanza.20
La mia captiuanza       l’alma à menata
     là u’è predata       da tre nemici;
     & lo più forte       la tene abracciata
     & encathenata       & mostranse amici;24
     dànno ferite       nascoste & coprite,
     le qual uoi uedite       che me metton en erranza.
Crudelemente       m’ànno ferita
     & eschirnita       & espogliata;28
     la mia potenza       ueggio perita
     perch’è nfragidita       la piaga endurata;
     or briga tagliare       & poi medecare;
     porraio sperare       che so en liberanza.32
Ora m’aiuta       me liberare,
     ch’io possa campare       dal falso nemico;
     fasse da lunga       a balestrare
     & assegnare       al cor ch’è pudico;36
     la man che me fere       non posso uedere;
     tal cose patere       me dànno grauanza.

Grauame forte       lo balestrire,
     lo qual uol ferire       a l’alma polita;40
     facto à balestro       del mondo auersire,
     lo qual en bellire       me mostra sua uita;
     per gli occhi me mette       al core sagette,
     l’orecchie so aperte,       me recan turbanza.44
Turbarne l naso       che uol odorato,
     la bocca assagiato       per dar conforto;
     & lo pegiore       che per me sia stato,
     lo qual m’à guidato       ad uno mal porto,48
     se bè glie i do mangiare,       me fa calciare,
     de l’amesurare       sì fa lamentanza.
Lamentase el tacto       & dice: eo so oso
     d’auer reposo       en mio delectare;52
     or lo m’ài tolto,       sarò rampognoso
     & corroccioso       en mio uiuitare;
     s’allento lo frino       al corpo tapino,
     so preso a l’oncino       de la tristanza.56

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