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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1833
LI PADRONI SBISBÈTICHI1
Lui la intenne2 accusì? Ddàjjela vinta:
tanto co’ llòro er repricà nnun vale.
Tanto come che ffai sempre fai male.
Li padroni sò3 ttutti d’una tinta.
Ppiù dder mio? Disce: «Scerca a Ggrotta-pinta,4
nummero tale, er carzolaro tale,
e ddìjje che mm’allarghi sto stivale,
e cche ggià cquesta che mme fa è la quinta».
Io curro,5 vedo s’una porta nova
scritto Bottierre,6 che vvo ddì7 bbottaro,
torno a ppalazzo, e ddico: «Nun ze8 trova».
E llui s’infuria, me dà dder zomaro,
me sbatte in faccia una manata d’ova,
e pprotenne9 che llì cc’è un carzolaro.
- ↑ bisbetici
- ↑ Intende.
- ↑ Sono.
- ↑ Luogo di Roma.
- ↑ Corro.
- ↑ Bottier. Non sono pochi i bottegai di Roma e d’Italia, che abbiano il vezzo di annunziarsi agli occhi del pubblico in lingue straniere, che poi caricano di spropositi.
- ↑ Vuol dire.
- ↑ Non si.
- ↑ Pretende.
Note
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