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I.
(1471-1489)
Elisabetta nacque dal marchese Federigo Gonzaga e da Margherita di Baviera il 9 febbraio 1471[1]. Una sorella[2] e due fratelli legittimi[3] erano nati innanzi a lei; Maddalena e Giovanni vennero al mondo più tardi[4]. Dieci anni dopo noi possiamo assistere alle occupazioni fanciullesche delle bimbe, per una graziosa letterina mandata al Marchese da Violante de’ Preti, che le aveva in cura.
Ill.mo Princ. et Ex.me Dne ecc.
V.Ex. intenderà per questa mia come queste Ill.me Me sue filiole sono sane et di bona voglia et sono molto obediente, ita che veramente io ne ho un optimo concepto et singulare piacere e stano solicite a l’imparare le littere et etiam al lavorare, e se lassano governare cum bona facilità e volentieri quando se voleno dar piacere elle montano suso el cavalletto suo, l’una in sella e l’altra in gropa e se ne andemo a solazzo per la possessione; sempre però con persone dredo al cavallo chi li teneno, e po nuy dredo cum la careta. Esse ne piliano mo’ tanto piacer de questo cavalino che non se poria dire, ni V. Ex. li potea dar cosa più grata a loro. Spero, ill.mo S., che mediante la gratia di Dio le cose ogni zorno succederano in meglio, ita che la Ex. V. remanerà satisfatta, a la cui gratia continue me racomando.
Porti III augusti 1481
Devota servitrix
VIOLANTE DE PRETIS.[5]
Chi fossero i precettori che insegnarono lettere ad Elisabetta e alle sorelle non è dato asserire con precisione. Forse esse erano troppo piccine perchè di loro si occupasse Mario Filelfo, che insegnò ai figli del Marchese dal 1478 all’80[6]. Oltre a Crsitoforo de’ Franchi, di cui parleremo in seguito, ne ebbe invece cura il maestro che successe immediatamente a Mario, quel veronese Colombino, che ha legato il suo nome all’edizione mantovana (1472) di Dante. Dell’agosto 1482 s’incontrano lettere di Colombino intorno ad una grave malattia di Elisabetta, alla quale sembra fosse molto affezionato. Del resto Federico, che nel breve suo dominio ebbe a trovarsi in dure strettezze, non ebbe agio di curarsi troppo dell’istruzione dei figli e naturalmente, per questa parte, i maschi gli stavano più a cuore delle femmine[7].
Vivissima tenerezza le tre sorelle portavano al primogenito Francesco. A provarlo, non vogliamo trascurare una lettera veramente affettuosa, che tutte e tre gli diressero alla fine del 1486. In quel tempo Francesco, succeduto diciottenne al padre nel 1484, era spesso lontano da Mantova, per affari politici, o per caccia, o per viaggi.
Illme Princ. et Exme D. D. frater obsme,
Per dar qualche piacere ad V. Ex. tra nuy sorelle cum altre zentildonne havemo ordinato fare una bellissima festa, a la venuta di quella, la qual nuy speravemo senza alcuno dubio dovere havere et godere a questa solenne festa di Natale. Unde intendendo nuy la speranza nostra essere senza il suo effetto se troviamo molto sconsolatee di mala voglia che essa V. prelibata Ex. fra tanto tempo non sia da nuy vista, senza la quale ad nuy non pare potere haver alcun piacer ni gaudio che prode ce faci, et ad nuy veramente pare che già mille anni siano che non habiamo veduto quella. Unde nuy ex corde divotamente gli supplicamo et per quel dolce et fraterno amor ne porta la preghiamo se voglia dignare de venirce ad consolare tutte a l’anno novo et piare lo apparecchiato piacer gli daremo della festa nostra, la qual certo gli piacerà et ad nuy farà gratia singularissima. Et alla sua bona gratia continue ce raccomandiamo.
Mant. XXII decembr. 1486.
Sorores et serve
CLARA ET HELISABET et MAGDALENA
DE GONZAGA MARCHIONISSE
E avevano infatti ben ragione le buone sorelle di desiderare la presenza di Francesco, giacchè Chiara, sposata ormai da cinque anni a Gilberto di Borbone, duca di Montpensier[8], doveva essere a Mantova solo per breve tempo, e Maddalena ed Elisabetta eransi promesse in quel medesimo anno (1486) l’una con Giovanni Sforza, sigore di Pesaro, l’altra con Guidubaldo di Montefeltro, duca d’Urbino[9]. Guidubaldo era in quella occasione venuto incognito a Mantova per vedervi la sposa allora inferma[10].
Il caso di parentado concluso tra i Gonzaga ed i Montefeltro non era nuovo. Dacchè nella Giocosa diretta da Vittorino da Feltreerasi educato il forte e nobile spirito di Federico Montefeltro e lo stesso primo Marchese di Mantova, Gianfrancesco, lo aveva iniziato all’arte militare[11], le simpatie tra le due Case naturalmente aumentarono. Uno dei figli di Gianfrancesco, Alessandro, sposò una Montefeltro, e una sorella di Alessandro, Cecilia, doveva impalmare Oddantonio, duca d’Urbino[12]. Molti anni appresso (nel 1481) il marchese Federico Gonzaga, volendo ingrandire la sua residenza nel castello di Mantova, si rivolgeva ad un suo famigliare, Matteo da Volterra, passato al servigio dei Montefeltro, acciò gli mandasse un disegno del palazzo celeberrimo d’Urbino, che il duca Federico aveva fatto edificare, contribuendovi col consiglio, dall’architetto Luciano di Laurana[13]. Lo stesso Duca, saputo ciò, volle che il piano venisse eseguito con ogni cura e v’aggiunse dei suggerimenti, che potevano riuscir utili al suo giovane amico mantovano[14]. In quel palazzo urbinate, già famoso in tutta l’Europa civile, doveva entrare pochi anni dopo una Gonzaga, la leggiadra e buona Elisabetta.
Ma il matrimonio e la partenza per Urbino non susseguirono immediatamente al contratto; vi fu anzi tra mezzo un lasso non breve, circa 17 mesi. Di questo tempo abbiamo solo un documento che merita qualche riguardo, la lettera, cioè, con cui Elisabetta e Maddalena pregano il fratello di accordare la consueta provvigione alle loro famiglie. E’ del 23 novembre 1487. Le due fanciulle fanno presente il bisogno loro a Francesco con molta grazia e gentilezza: "Hora sono cinque mesi, esse dicono, che [i famigli] non hanno habuto denari et tutti se trovano mala consolati, maxime quelli che sono agravati de familia, et etiam tutti li altri maschi et femine, li quali hano bisogno provedersi per lo inverno et hanno altro modo che di questa provisione". Evidentemente sin d’allora le due fidanzate avevano famiglia divisa; in altri termini avevano costituita, come si direbbe oggi, la loro casa.
Il 1° febbraio 1488 Elisabetta partì da Mantova ed il 9 giunse ad Urbino. Il giorno 11 febbraio fu celebrato il matrimonio e quindi ebbero luogo sontuose feste. Su tutto ciò le informazioni degli storici sono scarse ed erronee[15], onde noi siamo lieti di poter fornire a questo proposito un vero tesoro di documenti sconosciuti.
La Gonzaga era da un giorno partita da Mantova, quando sentì il bisogno di attestare al fratello il suo affetto sincero e il dolore che aveva provato nel distaccarsene. La letterina, stesa dal Capilupo e firmata da lei, è tutta un profumo di gentilezza.
Illmo S. mio fratello,
Cum grandissima fatica giongessimo heri a le tre hore de nocte a Revere per la contrarietà del vento e li trovassimo el S.Antonio cum la magca Ma Benedicta et Ma Emilia. Siamo montati questa mattina, a le tredici hore, ma fin qua che sono le decesepte hore non siamo un milio longe da Revere et per consilio di paroni siamo affirmati alla ripa per la vehementia del tempo che non lo comporta senza granmo pericolo. Facemo fare provesione a Revere per la cena et a Sermide per el desinare domani. A lo ill.S. Octaviano non è parso di ritornare a Revere per non perdere tempo. La S.V. me haverà per excusata se non gli scrivo de mia mane perchè sum tutta affannata per el dolore et despiacere ho da arbandonare la S.V. che amo tanto teneramente: et se non ch’io spero vedere presto la Ex.V. non poteria per alcun modo acquetarmi ricordandomi quanto era dolce et la presentia sua, che per la bona natura et amore suo verso me me dava summa consolatione. Prego Dio me presti bona pacentia che ’l dolore è grande: et V.S. per alleviamento dell’affanno se dignerà farmi scrivere spesso finchè me sia concesso vedere la Ex.V., che cussì farò io et tenirola avvisata di progressi del viagio nostro. Raccomandoli, benchè non bisogna, la nostra cordialissima sorella che la faci bona compagnia, aciò de quella piglij apiacere et conforto doppo ch’io non gli sono appresso et raccomandomi alla Ex.V. sempre.
Ex Bucintoro prope Reverum II februarij 1488
Quella sorella che ve ama quanto se medesima
ISABET DE GONZAGA de man propria.
Da questa lettera appare che la sorella Maddalena era rimasta a Mantova. Benedetto Capilupo, che con Silvestro Calandra (il castellano) faceva parte della comitiva di Elisabetta, non mancava di partecipare giornalmente al Marchese i progressi del viaggio ed il vario succedersi degli avvenimenti nei primi tempi della dimora in Urbino. La sua corrispondenza ce lo mostra già fin d’allora un informatore prezioso[16]. Come vedemmo, un gruppo di Urbinati era venuto incontro alla sposa sino a Revere: fra questi Emilia Pia col marito Antonio, figlio naturale di Federico d’Urbino. Ottaviano Ubaldini della Carda, tutore di Guidobaldo, erasi spinto forse sino a Mantova e dirigeva il viaggio.
Oltre le molte lettere speciali che il Capilupo continuamente spediva a Mantova, ve n’è una generale, diretta a Maddalena Gonzaga nella quale, a confortarla del penoso distacco dalla sorella, il buon segretario le narra tutto il viaggio, tocca dell’arrivo e della cerimonia nuziale, descrive le feste che allora si fecero. Il ghiotto documento va riferito nella sua integrità:
Illma ecc.
Benchè a pezo a pezo per diverse lettere haverà inteso la S.V. tutto el progresso del viazo nostro, el giongere qui, et le feste fatte per honorare la Illma Ma vostra sorella et comitiva sua, nondimeno per satisfare al desiderio de la S.V. che con tanta instantia me pregò ad rendergli conto de omni cosa m’è parso in questa sola lettera inserire tutto quello che dal dì de la partita nostra di là fin al presente sia accaduto digno de aviso; et se per poca advertentia non toccassi omni ponto, me rimetto al scrivere de li altri, et se a qualchuno paresse superfluo replicare quello che è stà scripto, io judico che a la signoria vostra sarà gratissimo, perchè come se dice sepius repetita placebunt, nè a me sarà stato grave per amore suo la fatica del scrivere, anci per reverentia de la S.V. la reputo reposo et piacere singulare.
Partessemo adonche, como scià la S.V., da Mantoa el venerdì, a dì 1° de l’instante, circa le XVI hore e per el vento tanto contrario erano XXIII hore quando arrivassimo a Governolo, dove smontati de bucintoro, per la chiusa vennero incontro alla sposa molte damiselle del castello et borgo acopiate, con una cistella de fugazine in una mano, et con una ingrestara[17] de vino in l’altra, che pareano apunto la temperantia et con limate et pulite parole le presentorno a la S. Sua con li più degni inchini et cortesie grave che vedessi mai. Remontati in bucintoro cum questa vituaria non giongessimo a Revere prima de le tre hore di notte et cum gran fatica per la crudeltà di borea: et lì trovassemo el Sr Antonio cum la Mca consorte sua [Emilia]. La matina seguente partessimo, audita missa, a le XIII hore, ma per havere anchora rafforzato le forze sue l’empio nimico del viagio nostro non potessemo giongere a Ferrara quello zorno nè la notte et ne fu forza buttare l’anchora a Vigarano et dormire in bucintoro, Ma Duchessa con tutte le zentildonne in lo corpo d’esso et lo ill.mo S.Octaviano, el castellano, mi et alcuni altri in la cameretta, dove vestiti facessimo penitentia de peccati nostri et per magiore contritione cenassimo solamente pane et formazo: ma de questo disconzo non se possemo dolere de alcuno, perchè uno saputo nocchiere ferrarese mandatone incontro per lo illmo Sr Duca con la ganzara se offeriva condurne a salvamento et con parlare alegro dicea a lo Sr Octaviano: messer bello, non dubitate che ve condurò liberamente, et se fustive ben in l’acqua fin a la gola, senza vostro pericolo ve reduria in porto securo; et con alcuni saltetti per el bucintoro facea festa d’esserse ben refficiato a una osteria lì appresso, mentre che ’l ne aspettava. Non volessemo con la fatica del navigare per quella notte privarlo de tanta allegreza et differissimo sino la matina a vedere la prodenza sua che fu grande perchè ce mise a le XV hore a Ferara .... [18] El martedì venessemo ad Ravenna con non troppo cativo tempo, et per honorare più Ma vostra sorella lo illmo Sr Octaviano et io fussemo allogiati in la corte del Podestà, che strapioveva tutta; et io lo seppi, perchè la notte non trovai loco sutto in letto, ma a dire il vero la cortesia de le spese che havessemo satisfece a lo manchamento de li allogiamenti, che per gratia de quello Podestà non havessemo suventione pur de uno pignolo et ce ne sono tanti[19].
Partessemo er mercordì a nostre spese con el più sagurato tempo de noza non vedessi mai, et non fu troppo felice zornata, perchè la Zenevria Boscheta sinistrandose el cavallo si dislocò un pede. Arrivassimo al Cesenatico, passato prima el Savio, Bellaere et Aquamorta, a le XXIII hore, dove Ma Duchessa adimpì el desiderio de allogiare una volta a la hostaria, ma non senza pentire perchè lì anchora carestia de allogiamenti facessimo penitentia in lo dormire; nel resto stessemo ben per la provisione che li havea fatto lo illmo Sr Octaviano.
La zobia venessimo a Rimino et quello Sre ce fece incontro più de duoa milia et ne ricevette con bona cera et a tutti ce fece gran honore de spese e allogiamenti.
El venerdì giongessimo nel teritorio, et Madona, lo ill. Sr Octaviano et io allogiassemo in uno castello chiamato Colbordoli propinquo ad Urbino otto milia; el resto de la comitiva, da le gentildonne in fora che remasino con noi, allogiorno in tri castelli circumstanti a quello uno milio, nominati Talachio, Coldazo, et Montefabrio, dove secondo el paese ognuno stette bene.
El sabato che fu a dì nove giongessimo quà circa le XX hore et ce venne incontro più di due milia lo illmo S.Duca coi doi oratori del Papa, lo illmo Zohanne vostro consorte[20], el Sre perfetto[21], el filiolo del Sr da Camerino[22] et uno messo del Mco m. Zohanne Bentivolio con molti castellani e gentilhoumini, et intrassemo per la porta del Monte dove erano XIII scuderi vestiti de seda con li bastoni in mano, che venero a la staffa de Madonna Duchessa, la quale montò lì presso la porta suso el Villano[23]. Da essa porta fin al palazzo erano coperte otto arzeate de verdura che traversavino la via, su le quale l’ tempo fusse stato bono sariono comparsi putini che con certa rapresentatione hariono cantato versi. Madonna Duchessa andette suso lo cavallo sino al pede de la scala, dove era apparecchiata una tavola col tapeto per dismontare. Li erano le sorelle del Duca[24], con gran compagnia de gentildonne, le quale la ricevetero con viso jocundo e l’acompagnorno a la camera sua: per quello zorno essendo tutti stanchi non si fece altro.
La beleza et ornamento de questo palazo non scriverò perchè pur a bocha non si potria exprimere: dirò solamente come è adornata la sala. Da man dritta ne l’intrare è la credenza da capo con li arzenti suoi solamente che non sono pocho a numero. Da l’altro è el tribunale ornato di veluto cremesi et certe peze de panno d’oro. Da un canto de la sala, da li capitelli de la volta fino a le banche sono tirate peze de veluto cremexi e verdi intorno, et sono compartite in quadri con colonne de ligno depinte; et da questo lato stanno li homini a vedere, da le quale fin a li capitelli son pure peze de veluto verde et alexandrino, tirato fra le colonne como è da l’altro lato. El corpo de la sala rimane netto per ballare. Dal capo de la credenza è fatto uno pozzo[25] dove stanno li piffari et donne che non intervengono in ballo, et da li capitelli poi sino a la volta sono certe feste antiche. Li candeleri per le torze sono congegnati in quelle baltresche in forma de corni de divicia molto gentilmente. El resto de l’ornato non lo so scrivere.
La dominica si dovea fare el pasto, ma per non essere venuti anche li cariazi nostri, che non si potea mutare de panni, fu differito a lunedì et se ballò solamente nel salotto et le donne urbinate tocorno le mane alla illma Ma Duchessa.
Lunidì matina con belissimo ordine si andò a S.Francisco a la messa che cantò l’ambassadore del Papa et auctoritate apostolica benedisse li sposi, havendo prima fatto legere el breve al vicario del vescovo, che gli concededa questa facultà de benedirli et dispensarli.
Fornita la cerimonia, retornassimo al palazo et a le XX hore a tavola dove stessemo fin passate le cinque. Furono tri pasti inserti in uno solo: et si dette el primo de ocelli et animali domestici, el secondo de pesce dolce et marino, el terzo de ocelli et animali salvatici, et d’ogni sorte n’erono buon numero de integri et vestiti. Se andò 25 alla cusina (et erono le vivande doppie) e 17 a la credenza. Nanti le vivande vennero otto carri triomphali sopra e’ quali erano quelli secondo le fabule furono de homini conversi in animali et ucelli, che cum elegantissimi versi vulgari et latini faceano noto la conditione sua. Et gli intervene anche altre rapresentatione et gentileze che saria longo narare: le quale meglio vederete per la lista de l’ordine del pasto che portarò con li versi descripti. Per essere consueto in queste parte de fare sescalcho el più attinente et honorevole Sre parente del sposo, toccò l’officio a lo Ill. S. vostro consorte, che lo fece galantemente.
L’asetata[26] del tribunale era como qui desotto vederete descripto, ma notate che ’l Sr Prefecto, havendo visto l’acto domastico del SrZohanne che fu sescalcho, volse anchor lui dimostrarse de casa et honorare li forestieri.
El marte non si fece altro che balare et lo illmo S. Duca fece tri suoi gentilhomini cavalleri, et la notte circa le III hore trette la circandola che haveano posta nanti la porta de la corte, la quale per pocho spacio che durò fu bella et bene ordinata.
El mercori si fece una bellissima representatione de più significati, ne la quale erono meglio de 70, forsi 80 homini vestiti con li spiritelli et in questo numero era Jove con tutti li dei et dee celeste finti dai poeti, vestiti secondo la alegoria sua con le insigne in mane. Furno molti che recitorno versi in diverse fictione, fra quali fu Junone et Diana che contesino un pezo con rime elegantissime qual fusse miglior vita o la matrimoniale o la virginale, et da l’una et l’altra fu alegato eficacissime rasone nanti Jove, el quale poi dette la sententia in favore de Junone, reducendola in honore de questi illmi Sri sposi et la aprobò con molte rasone, tra la quale questa fu per l’ultima che se ognuno servasse verginità mancharia la generatione humana et saria contra la institutione divina: crescite et multipicamini, ecc. et per consequens mancharia la virginità, et allegando molti pericoli de la fragilità nostra concluse più secura et laudabile essere la vita matrimoniale[27]. Durò questa representatione dalle XXI hore fino alle II de notte per molte altre che in questa sola furono inserte per non perdere tanto tempo, le quale non potria per ordine exprimere che non me bastaria uno quinterno de carta: ma ho datto con Zohanne de Santo, che è stato l’autore, per havere il tutto in uno compendio che portarò poi alla S.V.[28]. Fornita la representatione fu portata la colactione de zucchero lavorato con gran magisterio in diverse cose: città, castelli, fontane, ocelli, animali, bagni et altre cose che furono in tutto 63 pezi, computati dece arbori fatti al naturale, grandi e colloriti con li frutti loro, tanto ben lavorati che se li havessi veduti nel campo li haria creduti veri. Dreto questo vennero le confetterie de diversi confetti da manzare, in gran numero. Poi per l’ultima cosa fu portata una nave de ligno grande con trezia dentro, ne la quale erono tri homini che mostravino navigare e con le sesole[29] butavino per la sala el confetto per forma che de niuna sorte, da quelli pezi laborati in fuora, non fu reportato niente et quelli furono poi mandati a donare a le camere de signori et gentilhomini. Concludesse da ognuno che a racordo d’homo non fu fatto così bello pasto et colectione como sono stati questi; ultra che a le camere cadauno fo trattato habundantissime de carne et zucharo da manzare, del quale fin qui, secondo dice Philippo Andreasio, si è consumato 20 milia libre, che lui ha levato la summa et tuttavia se ne spende.
Zòbia se ballò et uno che bramava d’essere cavalere de la gatta ebe lo gratia, perchè, se conzignò una gatta ligata a traverso a un asse suso un tribunaletto fatto a posta: et con la testa rasa l’amazò non sanza suo danno, perchè fu molto ben da li denti et zanche suoie martirizato[30]. Per questa cavalaria fu vestito de novo dal S. Duca et haverà due quatrini la septimana da ogni botega per dui anni, che saria da circa 3 ducati al mese, essendo cusì stato calculato, et questo gli vene de rasone per li statuti del paese: et non fu el spectaculo suo de minore piacere che siano state le altre representationi.
Doppo questo uno altro homo andò sopra una corda tirata da un capo a l’altro de la sala, alto quanto potè andare, et ataccato ad essa hora con le mani, hora con li piedi fece de mirabili atti, che a tutti noi a guardarlo in servitio suo facea paura.
Finiti questi giochi fu portata una colectione de gran numero de vasi cum confectioni diverse et ce n’era anche de lavorate in frutti, le quale tutte se dispensò; et fu fornita la festa per quello zorno.
La sera, inanti se partesse de sala, questi ambassatori et castellani donorno a Ma Duchessa chi anelli, chi bacinelli et chi pezi di seta: et la magior parte tolse licentia et se partirono hieri.
Hozi sono partiti lo ill. S. Prefetto e prefettessa, principesse et Madonna de Rimini. Lo ill. S.Zohanne, vostro consorte, partì fin zobia matina, accompagnato fin la a porta da questi Mci gentilhomini: noi credevamo andar a fare seco el carnevale, de che havea fatto instantia et noi gli havevamo promesso; ma questi illmi Sri et madonna Duchessa non hanno voluto darne licentia et è forza stiamo qui. El primo dì de quaresima sanza fallo andaremo a Pesaro et poi per la via di Ravenna et Ferrara veniremo a casa, dove poi dirò a bocca alla S.V. quello che con calamo non ho possuto exprimere, ecc.[31]
Urbini XVI febr. 1488.
Sor B. CAPILUPUS.
Asetata del tribunale de sotto nel quale erono poi due tavole di nostri gentilhomini et gentildonne.
Illma Sra Duchessa in mezo la tavola.
Da man dritta li infrascripti: Vescovo de Urbino ambassatore del Papa - Illmo Sr Zohanne da Gonzaga - Illma Ma Prefettessa - Illma Ma Principessa - Ma del Sr Antonio - Sr Gilberto de Carpo - Illmo Sr Prefetto.
Da man stancha: M.Marino Merlini ambassatore del Papa - Filiolo del Sr da Camerino - Ill. Ma de Rimino, sorella del Duca - Ill. Ma Agnesina sua sorella - L’oratore de M.Zo. Bentivolio - M.Galeazzo Sforza da Pesaro - Illmo S.Duca de Urbino - Sr Ottaviano, in capo de tavola.
In que’ giorni appunto fu steso lo strumento, nel quale veniva registrato il ricco corredo di Elisabetta. Codesto documento, assai interessante per la storia del costume, i nostri lettori potranno leggerlo nell’ Appendice 1°[32]
Finito il carnevale, la comitiva mantovana dovette partire da Urbino, e non è a dire come alla giovane Duchessa pesassero quei commiati. La comitiva era numerosa e varia, d’uomini e di donne[33], tra le quali è ragionevole supporre che qualcuna rimanesse in Urbino al servigio della sposa[34]. Il personaggio più cospicuo era senza dubbio il fratello minore di Elisabetta, Giovanni Gonzaga; poi venivano il fido Capilupo e Silvestro Calandra, il castellano amato teneramente dalla Duchessa e del quale ebbe a tessere un magnifico elogio[35]. V’eran pure Girolamo Stanga, che fungeva da amministratore[36], lo scalco Filippo Andreasi, che ordinò il banchetto nuziale e si fece grande onore[37], secondato dal cuoco Martino[38], senza parlare del basso personale, tra cui Elisabetta ebbe lodi speciali per gli staffieri[39]. Nelle raccomandazioni ch’ella fa per tutti quei famigliari, grandi e piccini, si scorge la nativa bontà e gentilezza dell’animo suo[40].
Elisabetta peraltro con le più vive insistenze indusse il Marchese a lasciarle il Capilupo, il quale, di dilazione in dilazione, stette in Urbino sino al dicembre[41], accompagnando sempre la Duchessa, da cui si assentò solo per qualche giorno, in novembre, per eseguire un incarico del Marchese a Roma[42]. Di ciò dev’essere soddisfatta anche la curiosità di noi posteri, perchè difficilmente, senza le abitudini di accurato relatore, che il Capilupo aveva in altissimo grado, potremmo così minutamente seguire la luna di miele della giovane sposa.
Una lettera di Ginevra de’Fanti, che è tutta di pugno del Capilupo, c’informa di ciò che accadde dopo la partenza della comitiva mantovana, e delle cortesie e premure da cui Elisabetta era circondata.
Lassando adunque stare li honori et dimonstrationi facte a Ma quando erano qua lo illmo S.Zohanne et quelli mag. zentilhomini et zentildonne, dirò solamente le cose accadute dopo. Lo illmo S. Duca et S.Octaviano per mitigare el dolore che hebbe Ma Duchessa per la partita de la compagnia, la condusseno a Fossimbruno, loco veramente ameno et delectevole per quello piano dove ogni dì se cavalcava et staseva in exercitij. Po’ retornati quà continuamente stanno in apiaceri de sonare et ballare, et ogni zorno quando è bon tempo montano a cavallo et vanno hora a Sto Donato, hora a Sto Antonio et per la terra; et spesso fanno de le cene fra loro et la maga Ma Emilia del Sr Antonio, et finalmente non pensano mai in altro si non in fare cosa grata a la pta Ma, e la illma Ma Agnesina gli fa quella bona compagnia che se la gli fusse sorella.
De lo illmo S.Duca non poteria scrivere l’amore gli dimostra e le careze e feste che gli fa, et pare non sapia vivere senza lei et ogni dì gli dona qualche zolia, et adesso ha mandato a Fiorenze a farli fare certi altri brocati per veste et ha dicto de volerline fare un de brocato d’oro et raso morello, taliata a scalioni et quelli da un capo a l’altro caricati tutti de perle, che serrà bellissima cosa. Unde, Sr mio, V.S. può vivere contenta de haverla molto ben maretata; et hanno questi Sri commesso a tutti li officiali suoi che la obediscano come le persone loro, nè gli manca a fare in tutto Ma consolata si non una cosa, ch’è la presentia de V.Ex. la quale ogni dì nomina più de cento volte cum tanta carità e tenereza che ’l pare due anni non l’haver veduta. Et cussì fa lo illmo S.Duca et Sr Octaviano, quali insieme cum Ma Duchessa desiderano molto la venuta de V.S. et io la bramo più che la salute de l’anima mia, acciò che la cognosca ch’io dico la verità et perchè gli possa farli reverentia et dimonstrarli che sum quella bona serva e schiava de V.S., ecc.
Urbini, XX martij 1488.
Fidelis serva
ZENEVRIA DE FANTO.
Come di nuovo si vede, ardentissimo durava nel cuore della Duchessa il desiderio del fratello. Indugiando egli a venire, lo supplicava che almeno le inviasse il castellano, l’onesto Calandra, che godeva la sua piena confidenza, e che poteva servirle d’intermediario nelle relazioni delicate in fatto d’interessi, per l’assetto della casa, fra lei ed i parenti: "Fin qui - dice in lettera autografa del 23 marzo al fratello - non sono ancora assetate le cose mie nè de la familia; parlando liberamente cum la S.V., come è debito, me pare che ’l seria molto a proposito havere una persona fidata che se intromettesse, perchè molte cose se faria cum un terzo che non staria bene che facese io, nè in questo cognosco el più dextro del castellano, per essere homo che me serveria de core. Però prego la S.V., si mai crede farmi piacere, volia subito mandarlo qua, ecc."[43]. Verso la metà d’aprile finalmente il bramato castellano venne, recando seco una bella armatura da giostra, dono del Marchese al cognato.[44] Ma certo nè il Calandra, nè molto meno la giovane Duchessa avrebbero immaginato in quali bisogne intime il castellano sarebbe stato costretto sin dai primi giorni ad immischiarsi.
La consumazione del matrimonio, che soleva essere con tanta cura notata in quel tempo, perchè veniva a rendere indissolubile il legame contratto, non seguì immediatamente nel caso nostro alla cerimonia dell’11 febbraio. Fu Ottaviano Ubaldini che la volle protratta, e forse non andrebbe lontano dal vero chi in ciò ravvisasse la prima causa occasionale di quelle voci maligne sul conto suo che circolarono e sulle quali ritorneremo. Il Capilupo così informava di questa dilazione il Marchese, il 14 febbraio 1488: "Benchè io scrivesse a la S.V. ceh credeva se accompagnariano per le parole usate per lo illmo Sr Octaviano sopra la dispensa, nondimeno essendosi poi restrecta più la cosa, la S.S. ha allegato molte rasone perchè non se debba fare adesso, come intenderà poi la Ex. V. da questi mag.ci zentilhomini et se differirà fin a l’octava de Pasqua, come disse Pierantonio, et anchora sono in dispositione de fare la giostra a quel tempo". Infatti le notizie che dà il medesimo Capilupo il 27 febbraio mostrano che fra i due coniugi intercedeva vivissimo affetto, ed erano l’uno al fianco dell’altro continuamente ... tranne la notte: "Lo illmo Sr Duca per un poco de fredore è stato dui zorni in lecto et quasi sempre se fece stare apresso Ma sua consorte. Heri se levò et stette tutto el dì seco et andorono de compagnia a cavallo a Sto Antonio qui apresso fora de porta. Veramente doppo che se partì la compagnia non è mai stato, da la nocte in fora, una hora senza lei, et gli fa più careze che ’l non faceva". Quella castità forzata, unita all’amore per la deliziosa fanciulla diciassettenne, non doveva garbar troppo a Guidubaldo, il quale, allorchè venne il castellano, che con la Duchessa trattava quasi come un padre, gli si mise intorno perchè s’adoperasse a troncare gli indugi molesti. E il Calandra ebbe pietà di quelle impazienze amorose. Ma poichè, come in seguito ancor meglio vedremo, l’Ubaldini era un gran credente nell’atrologia, e non avrebbe mai tollerato che il nipote s’unisse per la prima volta alla moglie se non nel punto astrologico indicato come propizio, l’accorto castellano ricorse agli astrologi e fece loro affrettare il termine stabilito.
Della comica arrendevolezza di questi ... àuguri dà notizia egli stesso al suo signore nella curiosa lettera del 19 aprile già menzionata: "Gionto qua, ritrovai che la opinione del S. Octaviano et de li hastrologi era che lo illmo S.Duca non se acompagnasse cum M.a Duchessa fin al secondo dì de mazo, et vedendo io el prefato S.Duca mal volentiera aspectare fin a quello termine, aciò che S. non se desdignasse, ho facto fare nova electione de poncto a li hastrologi et abreviare il termine, qual è stato assignato per questa sera che è sabato a li XVIIII del mese presente, et cussì cum la pace de Dio se alectarano questa sera, benchè creda che assai gli serà che fare cum la pta Ma Duchessa et bisognarasse combattere cum S.S.". E il giorno appresso partecipava:"Come scrissi a la S.V. heri sera la illma Mna Duchessa se acompagnò cum il S. Duca et lasso considerare a lei quanta faticha fosse ad indurla et quanta arte et industria me bisognò usare prima, che fu uno inextimabile impazo. Questa matina sta mo’ tuta vergognosa, nè olsa o ardisse guardare homo alcuno in volto; non sta anche perhò troppo grama nè demessa, ma nel volto dimonstra certa venusta gratia et honestate, che credo non se poteria scrivere cum penna. Serìa ben contento che la Ex.V. la potesse vedere, che veramente extimaria la più pudica madonna del mondo como certamente se può dire che la sij". Parole dalle quali traspira, è facile lo scorgerlo, tutta la compiacenza di quell’affezionato cortigiano per le virtù verginali della fanciulla che aveva cresciuta.[45]
Possono questi documenti aver lasciato non senza maraviglia il lettore, che per le esplicite quanto autorevoli dichiarazioni sincrone di Pietro Bembo[46], confermate dal Castiglione[47] e ripetute dagli storici urbinati[48], è avvezzo a tener per fermo che Guidubaldo fosse impotente. E invero le attestazioni sono di tal natura, a noi sembra, da non ammettere dubbio, e la Duchessa medesima ebbe a confessare la cosa[49]. Ma non prima del 1502, anno della usurpazione di Cesare Borgia, come del resto accenna il Bembo stesso. Durante quei quattordici anni, l’impotenza del Duca rimase segreta, altrimenti sarebbero stati inconcepibilmente offensivi i distici con cui Dario Tiberti dedicava a Guidubaldo il suo poema De legitimo amore[50]. Nulla d’inverosimile, del resto, che nel 1488 Guidubaldo, sedicenne e tenuto assai rigorosamente dall’Ubaldini, solo confusamente si accorgesse della propria impotenza o non ci volesse credere. Egli era gracile assai. Il magnanimo padre suo, che s’era sciupato molto in gioventù e durante lo sterile e freddo matrimonio con Gentile Brancaleoni aveva generato più figli naturali, lo ebbe, cinquantenne, dalla dolce e coltissima, ma esile, figliuola di Costanza Varano, Battista Sforza[51]. E nonostante l’aspetto fiorente che Federico ha nei ritratti di Piero della Francesca, Melozzo da Forlì e fra Carnevale, egli non era punto sanissimo[52], pativa di gotta, male che il figiuolo ereditò più acuto[53]. L’impotenza, quindi, di Guidubaldo non resta, a parer nostro, infirmata dai documenti mantovani; bensì è dimostrato da essi che quell’impotenza non portava punto la repulsione per la donna. Abbiamo anzi uno strano documento del 22 aprile 1507 (anteriore d’un anno alla morte immatura del Duca), ove il suo erotismo ci appare più che ordinario. Si tratta di una lettera da Urbino di Alessandro Picenardi, detto del Cardinale, alla Marchesa di Mantova, in cui è scritto: "Io feci il debito mio con amorevoli salutationi a la Exma Duchessa da parte di la Ex.V. quando lei fu ritornata da S. Maria di Loreto; la quale ritornò tutta sancta et con intencione de non impazarsi più con il suo consorte nè che più il la tocchi pechato (sic). Et veramente, patrona mia, quasi ch’io dubito che lui el farà per esserli tanto uso, perchè io so che non hanno mai dormito insieme dapoi che se partissimo da Venetia et questo è stato per le grande faccende occorse per il tempo passato. Il S.Duca sta al presente assai bene, ma non corre nè giocha alla balla. La Duchessa lo va a visitare ogni dì et sto in grande paura che il Duca non se li metto dreto et che lei non sia causa di farlo riacadere. Sì che io li dico spesso: guardatevi patrona quel che fati et a questo modo non usite mai di travaglio ..." Ci si assicura per esperienza medica che anche queste disposizioni amatorie così pronunciate si possano combinare, sebbene il caso non sia frequente, con l’inabilità alla generazione.
Asseriscono gli storici, che a distrarre la giovane e sfortunata sposa, Guidubaldo ordinasse caccie, feste e spettacoli nel che lo secondavano i popoli a lui soggetti[54]. Può darsi che codesti scrittori abbiano voluto vedere troppo addentro nelle intenzioni del Duca, giacchè quelle feste facilmente si spiegano con la presentazione della sposa che il Duca faceva, secondo le consuetudini, nelle città minori del suo dominio. Questa almeno è l’impressione che noi ricaviamo dai documenti.
Ancora in aprile i coniugi partirono per Cagli e Gubbio, ed il castellano così riferiva al marchese Francesco le accoglienze che v’ebbero[55]:
Ill.mo Signor mio,
Martedì passato se partessimo da Urbino per venire ad Eugubio et la sera alogiassimo a Calio, assai bella et molto alegra, et nel viagio se ne fece contra uno gran numero de zentilhomini et citadini a cavallo, et ne l’intrare ne la citate ne ritrovassimo una infinita multitudine de putti cum le zirlande in testa et cum rame de lauro in mane che chridavano Duca Duca et Gonzaga Gonzaga. Intrati in la citade vedessimo le strade maestre che sono assai belle et affilate, tute aridente de verdura et ornate de volti ed arciate de lauri rampegarola[56] et simile zenteleze che era cosa molto più bella da vedere che non serà ad audire, et fossimo receputi dentro finalmente cum tracti de bombarde, sono de trombe et martellare de campane. Dismontati, tuti li zentilhomini, citadini et zentildonne et citadine tochorno le mane a la Illma Mna Duchessa nostra et in quello mezo lo Illmo S.Duca me condusse suso il monte a vedere la rocha, la qual me pare cosa inexpugnabile et spesa magnifica. Tornato a casa intesi che sopra uno monte de Calio era uno nido de falchoni, et havendone parlato col pto S.Duca, Sua S. subito lo mandò a levare et ritrovò che dentro gli era dui falchoni ben penuti et per il tempo grandi et al judicio mio assai belli, quali dona M.na a la Ex.V. intendendo anche che sopra un altro monte è uno altro nido pur de falchoni, li mandò a tuore, ma il messo anchor non è tornato: gionto che ’l sii, vederò mandarli tuti per qualche bona via a la S.V., che son certo gli piacerano assai.
Il dì seguente, che fur heri, se partissimo da Calio dopo disnare et al mezo il viazo posassimo un pocho a Cantiani, assai bello castello: ne l’intrare del quale, dopoi che quasi tuto quello populo ne hebe incontrati, li puti simelmente venero cum li rami de oliva, pur chridando Duca Duca et Gonzaga Gonzaga. Le porte de la terra o castello erano tutte ornate de verdura et archi triomphali cum molte arme feltresche et gonzaghesche; et a la piaza era uno fonte che zetava vino vermilio bono, cum alcuni versi latini, che era cosa bella da vedere et facta per homini de non pocho inzegno.
Venendo poi a dritura ad Eugobio, longi da la terra a tre milia ritrovassimo tuti li magistrati, zentilhomini et citadini che tochorno le mane al S.Duca, S.Octaviano et Mna Duchessa, et cussì intrassimo in la citade: et a l’intrare dodeci zentilhomini de li primi de la terra vestiti de brochato de arzento et veluto aredenorno Mna Duchessa et cussì cum sono de trombe, tracti de bombarde et martellare de campane venessimo a la corte. Et per la strata ritrovassimo quasi infiniti archi et feste de verdura, cum certi spiritelli che recitorno alcuni versi, che fue bella representatione et cosa inzegnosa, che parsi una altra noza. Venuti a la corte, molte zentildonne receveteno Mna cum molti belli mocti, et subito Sua S. disse che più non se lassaria condure a Urbino, tanto gli piace questa terra: et inver è cosa da piacere ad ogni uno, perchè è molto bella, como la S.V. poterà intendere melio per li altri ... Heri sera se fecero molti fochi per la terra, ultra le lumere se misero fori intorno al palazo et sopra le roche circumvicine, et fecesi tanto martellare de campane che pareva ogni cosa resonasse. Non poterìa scrivere quanti signi de leticia ha dimonstrato tuti questi per la presentia de Mma Duchessa. la quale se vede molto contenta...
Eugobij, XXIIII aprilis 1488.Sor SILVESTER CALANDRA[57]
.La Duchessa, con le sue amabili doti conquistava sempre più i cuori del marito, dei congiunti e dei sudditi; ed è bello il vedere con quanta compiacenza parlasse di questi suoi progressi il castellano dabbene, in certa sua lettera del 29 aprile: "Bench’io sia certo che le buone qualità de la illma Mna Duchessa nostra dimonstrino a la S.V. quanto qua universalmente debbi esser amata S.S., nondimeno m’è parso debito farli asapere como lo illmo S.Duca et S.Octaviano non poteriano amarla più sviseratamente, et pare non habino altro dilecto et apiacere se non fare cosa grata a S.S., ultra che anche tuti li cortegiani et populi l’amino più che la propria persona, che pare che non habiano altro Domenedio che lei, et reputano havere havuto gran dono et gratia da la S.V. che gli ha dato tal Madonna. La quale in tute le cose non se poteria melio governare de quello che la fa, se non fosse cusì selvadegeta contra el S. Duca, ma pur spero che se domesticarà cum il tempo, et io gli dico assai, nè atendo ad altro che cavarli tanta vergogna. Questa septimana passata Sua S. ha avuto dui ladri de gratia, uno ad Urbino, familio de uno homo d’arme del S. de Pesaro, l’altro in questa terra et credo che come la sij melio domestica non negarà gratia ad alcuno perchè è molto clemente et anche ha il volere del S. Duca et S. Octaviano in mane. Sua S. sta molto alegra et di bona voglia et sentese bene de la persona, ma è pur un pocho smagrita; non scio se sij processo da li aeri sutili. Quando a la S.V. pare ch’io ritorni a lei, pregola et li suplico che me ne faccia motto, che senza indugia me ne montarò a cavallo et farò quanto me comandarà; ma bene me pareria ben facto che quando fosse io tornato a Mantua, la S.V. facesse ellectione de uno che stesse quà apreso a la pta M. Duchessa per contento et refrigerio de S.S. et chi avisasse la Ex.V. de quanto accadesse in questa parte".
Se il Calandra era disposto ad un pronto ritorno, ciò non garbava punto ad Elisabetta, che non poteva fare senza quel servo devoto, quell’esperto consigliere. Essa riuscì a trattenerlo sino alla fine di giugno[58]. Un altro personaggio della corte di Mantova, che non sappiamo se venisse ad Urbino col corteggio nuziale o dopo, prese invece commiato in fin d’aprile. Era il ballerino Lorenzo Lavagnolo[59]. Egli voleva già partirsene da Urbino ai primi di aprile, perchè aveva inteso che a Mantova lo accusavano ingiustamente d’aver sparlato del Marchese. Elisabetta pregava il fratello, con lettera autografa del 9 aprile, di lasciarglielo ancora "aciò che lo illmo S. mio et Ma Agnesina posano fornire de imparare alcuni balli[60], et in questo mezo prego la S.V. tengi Lorenzo per quello bono servitore che gli è stato continuamente". E proseguiva con molto calore scagionando il ballerino dall’accusa calunniosa appostagli: "Lorenzo non disse mai qui cosa che fusse contra l’onore de la S.V. et in questo me debe dare più fede a me la S.V. che a li tristi, perchè volio sia certa che quando l’avese dito alcuna parola cativa, non lo voria scusare, ma io stessa l’averia mandato ligato a la S.V., e gli seria la magiore inimica che havese, perchè niuna cosa se poteria dire contra de lei che non fuse contra de mi propria, et seria venuto in cattivo loco a fare simile officio, perchè non è persona al mondo che ami più la S.V. che facia io ..." Ma continuando le insistenze del Lavagnolo per partire, la Duchessa dovette accordargli licenza alla fine del mese. Il 29 aprile così ne scriveva da Gubbio, di mano propria, al Marchese: "Ho dato licentia (al Lavagnolo) de ritornare a casa, facendomi tanta instancia per venire a servire la illma Mna nostra sorella (Maddalena) e per rispetto de sua mogliera[61]. L’è vero che me rincrese se parti perchè lo illmo S. mio et io lo vedemo tanto volunteri quanto dire se possa ... et ha fato gran honore a la S.V."[62].
L’aria temperata di Gubbio si affaceva meglio alla delicata Duchessa, che non quella sì frizzante d’Urbino; ma quando i calori estivi cominciarono ad essere uggiosi, Guidubaldo e la moglie si avviarono verso la loro principale residenza, assistendo per via ad una giostra tenuta a Cagli[63]. In Urbino attendevasi sempre il Marchese, ed Elisabetta non poteva più frenare l’impazienza di rivederlo. Ma Francesco, trattenuto dagli affari politici, deluse la fervida attesa: ond’è che una solenne rappresentazione, già differita appunto perchè egli potesse assistervi, si fece finalmente il 27 luglio senza di lui. La rappresentazione, ignotissima per quanto a noi consta, e non priva certo d’interesse per gli storici del nostro teatro, ebbe luogo a Casteldurante, oggi Urbania[64], ed è minutamente descritta dall’impareggiabile Capilupo:
Havendo questi Illmi Sri inteso che la Ex.V. non poteva venire de qua fin a lo augusto proximo, et instati da li homini de Casteldurante, che già haveano aparechiata la festa, gli andorno a li XXI del presente, dove furono cum tanta allegreza et dimonstratione recevuti per la venuta de la illma Ma Duchessa che non ho ardimento de scriverlo, dubitando non sia creduto che uno castello havesse saputo far tanto. Tuttavia per satisfactione del V. Ex., la quale sciò de ogni honore de la illma Mna sua sorella pigliarne piacere, gli dirò quanto più breve me serrà possibile tutto el progresso.
El sito de quella terra non bisogna descrivere perchè da V. Ex. l’ho audito comendare, el qual non mancò è piaciuto a Ma Duchessa, et ha dicto per amore de V.S. a chi el piace, et per essere piano e dilectevole, volerlo per suo favorito. Da la porta del castello fin al palazo era coperta la strata de panni de tela et in alcuni loci de lana bianchi, da ogni canto tutta ornata de verdura et gli erano compartiti dodeche archi triomphali che traversava la via, l’uno variato da l’altro cum l’arme e divise de V.S. e ducale, spiritelli, vasi antiqui et fontane, due de le quale butavano aqua rosata. Ne lo primo archo, a l’intrare de la porta era un putto che recitò versi: lì vi erano otto scudieri vestiti de seta che aredenorono Ma.
Dal palazo fino a la piaza fu condutto un carro triomphale sopra il quale in triangulo sedevano Cesare, Sipione e lo duca Federico, cum armature indosso dorate et facte a l’antiqua. Un poco da basso d’essi sedeva una Sibilla nanti al carro. Ne la cima sopra certa balla stava in pede uno angelo cum un ramo de palma in mane, el qual prima cantò versi et doppo lui li triomphanti et Sibilla. Dui centauri tiravano el carro; altri animali et ucelli erano sopra esso, che volendoli specificare serìa troppo longo scrivere. Recitato che ciaschuno hebe li versi suoi, se avioe el carro inanti et acompagnò el Sre et Ma a la corte.
La dominica poi, che fu ali XVII se fece la rapresentatione de la vita de Sto Zohanne Baptista. El palco, cioè l’aparato era longo tanto como è el cortile de la corte de V.S. cum collonne, cornise et coperto, facti de ligname lavorati et dipinti a l’antiqua. Tra l’una collonna et l’altra erano una divisa gonzaghesca et una feltresca cum panni de verdura et corni de divitia. Da un capo d’esso palco a man dritta era la casa de Zacharia, padre de Santo Zohanne, dreto questa una casa de vicini, et poi quella de la Nostra Donna che andò a visitare Sta Elisabeth. Apresso era el tempio dove fu a Zacharia per l’angelo anuntiata la natività de Sto Zohanne et in quel medesimo fu circumciso. Poco più ultra era el deserto dove andò a fare penitentia et lì Christo et lui se baptizarono. Poi, che era proprio nel mezo del palco, era el re Herode assettato sopra una sedia alta et havea intorno da basso li suoi scudierie consiglieri. Lì appresso era la credenza facta per modo che li arzenti andavano intorno dritti. Fra un poco de distante era la Regina che sedeva nel sopto modo et nanti li piedi havea la figliola et intorno donne. Lì apresso era le presone dove fu posto et decapitato Sto Zohanne. Poi lì era una grotta dove ussitte la Sibilla. Più oltra da l’altro capo de la baltresca erano tri baroni del Re assettati pur in sedie cum li donzelli suoi vestiti a livrea, ma l’uno distante et differente de habito da l’altro: li quali furono invitati al convito del Re quando fu morto Sto Zo. et ogniuno era vestito apropriatamente, che furono fra tuti circa 80, di quali 30 recitorono versi. Questa festa fu facta su la piaza apresso la rocha, in cima de la quale era el Paradiso, dal quale sopra una corda in una nuvola discese tre volte angeli. La prima restò a mezo aere uno che anuntiò la festa. Due altre, venne a smontare sul palco per parlare a Zacharia. In terra apresso la fossa de la rocha era lo inferno, la bocha del quale era la testa de uno drachone grande, cum la bocha aperta che parea desendesse in essa fossa, cum uno edifficio carico de diavoli che giravano cum diversi instrumenti in mane che buttavano foco. In questo inferno, morto che fu Sto Zo., cum la magior presteza del mundo fu portata la regina per uno diavolo per una corda. Il che fu admirando spectaculo, et cussì quello del tagliare la testa a Sto Zo. che parse proprio vero per esser conzignato una testa falsa ad uno corpo de homo vivo.
Questa representatione se principioe a le 19 hore et fu fornita a le 23. Retornati a casa el Sre et Ma, tutti queli che intervenero a la festa insieme cum li priori de quella terra venero a dui a dui balando a la corte et gridando Duca Duchessa et Gonzaga, et fecero una pergula[65] cum tanto signo de allegreza che più non se haveria potuto fare et donorno a Ma Duchessa uno bacile de arzento. La quale non poteria dire quanto è amata da tutto questo stato, dove ha anche certamente V.Ex. granma benivolentia. Non mando li versi recitati perchè anchora non li ho potuti havere. La giostra de Sto Angelo è prolongata in altro tempo per essere troppo excessivo caldo[66] et però questi Sri e Ma sono retornati qua ad Urbino questa mattina...
Urbini, 28 julij 1488.
Fid. Servus: B. CAPILUPUS.
Elisabetta sospirava sempre più la venuta del diletto fratello, che era fissata per l’agosto[67]. E questa volta attenne la promessa, ma troppo breve fu la sua permanenza per la sorella che tanto l’amava. In una lettera del 16 ottobre essa diceva d’essere stata sempre mesta, dopo la sua partenza da Urbino: "et se non che spero V.Ex. me attenderà la promessa de retornare al carnevale, non havarìa anchora lassato de piangere". Essendosi aumentate le sue sofferenze, la Duchessa si recò allora a Fossombrone, ove passò l’autunno e parte dell’inverno[68]. Dovette tornare in Urbino nel gennaio 1489 per le nozze di Agnesina[69].
I rapporti dei duchi di Urbino col marchese Francesco si scorgono affettuosissimi anche dal carteggio dell’89. Con attenzione squisita, il Gonzaga faceva pervenire alla sorella primizie di frutta, pesci, leccornie[70], e al cognato regalava novamente un’armatura[71], ovvero cose d’arte ed anticaglie, di cui il Duca particolarmente era ghiotto[72]. Mandava inoltre ad Urbino, per distrarre Elisabetta, passionatissima per la musica, un Gaspare siciliano cantore[73], di cui non si hanno d’altronde novelle. Non appena poi la sorella gli richiamò la promessa avuta di rivedere ogni anno al suo fianco per qualche tempo il castellano Calandra, questi ebbe subito dal Marchese licenza di recarsi ad Urbino, ov’egli si fermò alcuni mesi, e solo nel settembre potè tornarsene a Mantova[74].
La salute di Elisabetta era alquanto scossa, e per tutto l’anno le sue sofferenze non furono lievi, quantunque cercasse celarle per non angustiar troppo il fratello. Quando l’amata sorella Maddalena, che s’era promessa insieme con lei nel 1486, venne a nozze in Pesaro, Elisabetta non volle mancarvi e fu col marito a quelle feste, in cui Giovanni Sforza ed i Pesaresi cercarono emulare i fasti urbinati dell’anno precedente[75]. Simili solennità, che si rassomigliavano tanto nel Rinascimento, erano vere fatiche per le costituzioni gracili o malate: e la Duchessa confessava di essere rimasta affranta per le feste di Pesaro, scrivendone al fratello il 10 novembre. E’ ben vero che il giorno dopo Giovanni Gonzaga notificava da Urbino: "La illma Mna Duchessa nostra sorella, essendo prima un pocho magra et palida, havendosi comincio a medicare secondo secondo il consiglio del Mo Carcerando, spero serà presto galiarda et poterà venire a le noze de V.S.": ma in realtà Elisabetta soffriva sempre, onde Francesco pensò d’inviarle il medico Matteo Cremaschi accompagnato dal Capilupo. La lettera che quest’ultimo scrisse il 2 dicembre, poco dopo giunto in Urbino, non dissimula la cattiva impressione che gli destò la malata: "Gionti qua, como ho dicto, el lune, ritrovassimo la illma Ma vostra sorella esser pur nel termine che se dicea, cioè magra, pallida, extinuata et debile, senza alcuna parte del collore suo tanto vivo et naturale como soleva havere, et se qualche volta ha rosseza procede da vergogna o movimento. Vero è che a questo modo ha una certa gratia et reverentia che la pare più presto creatura angelica che humana, et per niente S. Ex. non vole se dica che la sia tanto magra et voria fare del galiardo, ma le gambe non gli correspondeno. Sta ben vestita tutto el giorno, ma a me ha confessato che, come ha passeggiato una volta o due per la camera, bisogna subito ritornare a sedere. Tutto procede da mala dispositione causata da la retentione del menstro come meglio intenderà V. Ex. per lettere de Mo Matheo...". Si trattava, a quanto sembra, d’una fiera anemia, a combattere la quale certamente non ultimo rimedio sarebbero state la distrazione e la vita attiva. Si decise pertanto che Elisabetta, la quale sotto la cura del Cremaschi migliorava già nel dicembre[76], andasse a Mantova, dove avrebbe potuto ritemprarsi nell’aria nativa ed insieme assistere alle nozze del fratello Francesco.
Note
- ↑ Nessuno storico indica precisamente quando nascesse. L’UGOLINI, Storia d’Urbino, II, 58, la dice nel 1486 "poco più che trilustre". Ciò corrisponde alla data sovraccennata, che deriva da una lettera della marchesa Barbara, annunciante la nascita di una putta. Un’altra putta nacque il 10 luglio 1472. Crediamo fosse Maddalena.
- ↑ Chiara, che nacque il 1 luglio 1464. L’UGOLINI, nel luogo citato, farebbe anche Maddalena più vecchia di Elisabetta, ma noi crediamo s’inganni. Elisabetta andò prima a marito, e si sa che nei matrimoni d’allora l’età, non la scelta, aveva la massima importanza.
- ↑ Francesco, primogenito, destinato a succedere al dominio, era nato nel 1466; Sigismondo nel 1469.
- ↑ Nel 1472 l’una, come dicemmo, nel 1474 l’altro.
- ↑ Frequenti sono le notizie, date da Violante, delle piccole Elisabetta e Maddalena; ma di non molto interesse per noi. Rileviamo solo quanto essa scriveva il 23 febbraio 1483: "Heri ad hora del disnare zonse qua il Mco Lorenzo di Medici et a la venuta sua mi fece intendere per Lorenzo balarino (il Lavagnolo), che volea visitar le Illme Dne mie ... Le quali si li venneno contra fin fora de l’usso de la sua camera et lo conduseno dentro et lo fecero seder in mezo et stato cusì per un poco, el pto Lo. gli disse che V. Ex. havea una bella ricchezza de fioli et poi se tolse licentia..." Il Magnifico era venuto allora nell’Italia superiore per il congresso degli alleati a Cremona, contro i Veneziani. Cfr. REUMONT Lorenzo de' Medici, Leipzig, 1883, II, 189.
- ↑ Su ciò vedi i documenti da noi prodotti nel lavoro I Filelfo e l’umanismo alla Corte dei Gonzaga, nel Giorn. storico della letteratura italiana, XVI, 195-207.
- ↑ Molto significante è a questo riguardo la lettera del Marchese a Battista Guarino, del 15 maggio 1483, da noi stampata nel citato Giorn., XVI, 213.
- ↑ VOLTA Storia di Mantova, II, 200.
- ↑ VOLTA, op. cit., II, 224; UGOLINI, Storia dei conti e duchi d’Urbino, II, 58. Il contratto per Elisabetta fu stipulato tra il marchese Francesco ed il dott. Pietro Bellanti da Siena, procuratore di Guidubaldo, il 29 agosto 1486, ed alla sposa fu assegnata una dote di ventisette mila ducati (vedi nell’Arch. Gonz. Contratti nuziali, D. III, 23); il contratto per Maddalena fu firmato il 9 settembre. Guidubaldo contava, press’a poco, gli anni della sua fidanzata, essendo nato il 24 genn. 1472 (UGOLINI, I, 499). Aveva poco più d’un anno quando suo padre Federico lo fidanzò con Lucrezia figliuola di Ferdinando d’Aragona; ma i tristi casi sopravvenuti agli Aragonesi resero impossibile questo matrimonio. Cfr. UGOLINI, II, 42-43; anche BALDI, Della vita e de’ fatti di Guidobaldo I da Montefeltro, Milano, 1821, I, 92-94.
- ↑ Pare non leggermente, se si tien conto di ciò che ne scriveva al Marchese (il 26 agosto ’86) Silvestro Calandra, quel fedele castellano di Mantova, che Elisabetta ricorderà così spesso, con tanto affetto, nelle sue lettere, come il buon mentore della sua fanciullezza. Nella lettera del Calandra leggiamo: "Hozi lo illmo S. Duca ha voluto vedere la spalera et doppo disnare montò in barca per andare un poco a solazo per il laco, dove stette però poco spacio, perchè l’aqua li face male per non gli essere consueto, et smontò al porto de Corte per andare a vedere li Trionphi di Cesare che dipinze il Mantegna, li quali molto li piaqueno, poi se ne venne per la via coperta in castello..." Il mirabile ciclo del Mantegna, che oggi si trova, lacrimevolmente danneggiato, nel castello di Hampton-Court, gli era stato commesso dal march. Francesco ed egli vi lavorò dal 1485 al 1488; poi lo interruppe per recarsi a Roma. Cfr. CROWE-CAVALCASELLE, Gesch. der ital. Malerei, trad. Jordan, V, II, 419-20.
- ↑ Vedi BALDI, Vita e fatti di Federigo di Montefeltro, Roma, 1824, I, 14; ROSMINI Vittorino da Feltre, Milano, 1845, p. 221, ed anche UGOLINI, op. cit. , I, 302.
- ↑ Buon per lei che il matrimonio sfumasse, però che Oddantonio era un gran cattivo soggetto, e pei suoi turpi vizi morì pugnalato nel 1444. Cfr. BALDI, Federigo I, I, 189, segg.; e UGOLINI, I, 277 segg. nonchè Giorn. stor., XVI, 125. Rispetto alla moglie di Alessandro Gonzaga vedi UGOLINI, II, 26-27.
- ↑ Intorno all’edificazione del palazzo Urbinate Giovanni Santi, nel lib. XIV, cap. 56 della sua cronaca in rima ebbe a dire:
Onde bene a ragione il MÜNTZ scrisse che quell’edificio "peut ètre considéré comme le produit de la collaboration de Frédéric et de l’architecte dalmate Luciano de Laurana". La Renaissance à l’époque de Charles VIII, Paris, 1885, p. 358. Sulle cognizioni architettoniche di Federico e sulle sue relazioni con l’Alberti, che forse intese dedicargli i suoi libri dell’architettura, vedi BALDI, Federico, III, 55-59, e MANCINI, L.B. Alberti, pp. 520-24. Che il Laurana sia stato l’architetto principale, ed altri, tra cui Baccio Pontelli, lavorassero solo sotto la direzione di lui, è ora ammesso generalmente, per l’attestazione sincrona del Santi, accolta dal Baldi, e pel diploma edito dal GAYE, Carteggio, I, 214. Cfr.su di ciò UGOLINI, op. cit., I, 442-45; PASSAVANT, Raffaello d'Urbino, trad. it., I, 279, segg.; gli annotatori al VASARI, ed. G. Milanesi, II, 385, n.2, 654, 661 e III, 70, n.4. La fabbrica costò dugento mila ducati, ed era fornita splendidamente: oltre la celebre libreria, v’abbondavano le credenze ricchissime, i paramenti di seta e d’oro, gli arazzi, tra cui famosi quelli rappresentanti la storia di Troia, le armature dorate, le argenterie, che costarono ben quaranta mila ducati (COLUCCI, Antichità Picene, XXI, 76). Uno scrittore antico, il Mercatelli, dice che vi erano 250 stanze, con 40 camini e 660 usci e finestre. Sarà un po’ troppo, ma di esagerazioni simili non v’è da stupire, perchè di tutti gli edifici rinomati occorre sentirne altrettali. Più tardi Michele de Montaigne raccoglieva in Urbino una notizia ancora più sbalorditoia: "ils disent qu’il y a autant de membres que de jours dans l’an", ma a lui che d’arte s’intendeva l’incuria degli uomini, per non dimenticarlo più. I contemporanei n’erano ammiratissimi. Vedi ciò che ne dicono il Porcellio nella Feltria ed il rozzo verseggiatore Antonio Mercatelli detto Temperanza nel suo poema in ottave, entrambi riferiti dallo SCHMARSOW, Melozzo da Forlì, Berlin u. Stuttgart, 1886, pp. 75-76 e 355-56; vedi le lodi di Giovanni Santi (PASSAVANT, Raffaello, I, 307 segg.); vedi i versi latini di Sulpizio Verulano, editi recentemente da B. Pecci Contributo per la storia degli umanisti nel Lazio, Roma 1891, pp. 13-14; vedi, se non contemporaneo di poco posteriore, l’elogio del Castiglione, Cortegiano, ed. Salvadori, Firenze, 1884, pp. 14-15. Per la descrizione del palazzo è pur sempre da tener presente quella di Bern. Baldi, pubblicata parecchie volte. Alle edizioni che ne rammentammo nel Giorn. stor., XVI, 155, n.4 ne va aggiunta una, assai poco nota, nelle annate V e VI (1873-74) del periodico urbinate Il Raffaello. Noi, quando avremo bisogno di citare quella descrizione, ci riferiremo alla edizione oggi più accessibile, che è in fondo al Cortegiano ridotto per le scuole dal Rigutini, Firenze 1889. Al Baldi s’attenne l’UGOLINI, I, 445 segg. e poi quasi tutti. Un’opera speciale magnifica comparve in Germania, quella dell’ARNOLD, Der herzogl. Palast von Urbino, Leipzig, 1856-57; bella e minuta descrizione offre con tecnica competenza lo SCHMARSOW, Melozzo,, pp. 72 segg. Chi voglia vedere in libri facili a trovarsi l’aspetto odierno del palazzo, confronti C. MARCOLINI, Notizie storiche della provincia di Pesaro e Urbino, 2° edizione, Pesaro, 1883, pp. 17, 169, 177 e MÜNTZ, Histoire de l’art pendant la Renaissance, I, 131. La pianta ed il cortile si vedono in BURCKHARDT, Geschichte der Renaissance in Italien, Stuttgart, 1891, pp. 192-93. A p. 270 è riprodotto uno dei camini. La ornamentazione del palazzo urbinate, come tutti sanno, va annoverata tra le più eleganti che abbia il rinascimento italiano. La grande importanza che ha il Laurana nella storia artistica del nostro rinascimento fu, or non è molto, rilevata in modo speciale, da F. v. REBER, nei Sitzungsberichte dell’Accad. di Monaco, an. 1889. Questo scrittore sostiene che il Laurana fu un vero iniziatore del rinascimento classico dell’architettura, e che il Bramante fu solamente un suo discepolo. Su di ciò SEMPER, nell’ Arch. stor. italiano, S. V, vol. IX, pp. 413-414.
E l’architetto, a tutti gli altri sopra
fu Lutian Lauranna, huomo excellente,
che per nome vive, benchè morte il cuopra.
Qual cum l’ingegno altissimo e possente
guidava l’opra col parer del conte,
che a ciò el parere havea alto e lucente
quanto altro signor mai, e le voglie pronte. - ↑ I documenti di ciò furono da noi pubblicati nel Giorn. stor, XVI, 155-157. Federico era liberalissimo nel dare il suo disegno del suo palazzo. Il 18 giugno 1481 Baccio Pontelli lo mandò a Lorenzo il Magnifico, che lo aveva desiderato. Il Pontelli ne chiese licenza al Duca "el quale respuse tanto benignamente che non seria stato possibile più, ch’io el dovessi fare et mandare a la V.M. et che voria potere mandarli la casa propria per satisfactione di V.M.", GAYE, Carteggio, I, 274.
- ↑ Il primo a mettere il piede in fallo è il BALDI, Vita di Guidobaldo, I, 100-101, che fa viaggiare insieme le spose, Maddalena ed Elisabetta, in ottobre. Questa contemporaneità del viaggio non è punto vera, e quel che è peggio, è falsa la cronologia. Il REPOSATI, Della zecca di Gubbio, I, 296, dice che il matrimonio di Elisabetta fu concluso alla fine del 1488 ed effettuato nell’autunno del 1489 e che nel tempo stesso vennero le nozze di Giovanni Sforza. Senza determinare il mese, ma nel 1489, pone le dubbie nozze l’UGOLINI, op. cit., II, 62; il DENNISTOUN, Memoirs of the Dukes of Urbino, I, 297, le fa seguire nell’ottobre del 1489.
- ↑ I Gonzaga ebbero sempre nel Capilupo uno dei cortegiani più fidi ed uno dei negoziatori più accorti. I cultori di storia mantovana rammenteranno il decreto onorifico con cui nel 1498 veniva compensato della destrezza spiegata nelle difficili trattative col Moro. Vedasi il nostro lavoro Delle relaz. d’Isabella d’Este con Ludovico e Beatrice Sforza, Milano, 1890, estr. dall’ Archivio stor. lomb., p. 144. Prove novelle delle nobili doti di Benedetto offrirà il lavoro presente. Pei dati storici della vita di lui si confronti A. BASCHET, Aldo Manuzio, Venezia, 1867, p.22n.
- ↑ Voce dialettale oggi fuor d’uso. Vale piccola anfora.
- ↑ Tralasciamo il ricevimento di Ferrara e la cresima di Elisabetta colà, perchè su questo punto meglio ci soccorre una lettera che il Capilupo stesso, infaticabile, scrisse al Marchese in nome di Elisabetta:
Ill.mo S. mio fratello,Rispetto a questa lettera stimiamo soltanto utile avvertire che gudazi è voce dialettale per compari (della cresima). Nella marchesana, figliuola della duchessa di Ferrara, che insieme con la madre festeggia la novella sposa, tutti riconosciamo Isabella d’Este, che fin dal 1480 era fidanzata a Francesco. Essa allora non aveva ancora compiuto 14 anni. Se non la prima, fu quella una delle prime volte che Elisabetta ed Isabella, le due protagoniste della nostra esposizione storica, si videro e si parlarono.
Havessimo el sabato el vento tanto contrario che non potessimo giongere a Ferrara ma restassemo per quella nocte in bucintoro sopra ad Vigarano un milio. Heri mattina giongessimo a le 15 hore cum la ganzara che ce havea mandato la nocte lo ill.mo S. Duca incontro et trovassimo al porto Sua Ex. che arrivava alhora, la quale accompagnò in corte lo Ill. S.Octaviano et io a le camere nostre che furono quelle in capo de la sala grande, apparate solennemente et cum granmo ordine, che più non se ne potria dire. El dreto disnare andai io a la camera de l’Ill.mo S. Duca, dove stati un poco tornassimo de compagnia verso al logiamento mio et incontrassimo in sala la Ill.ma Ma Duchessa cum la Illma Ma Marchesana et tutti li altri ill. figlioli, che veniva per trovarci: factoli la debita reverentia et raccomendatione andassimo in la capella de sotto dove publicamente per satisfare al parere de li Ill.mi S. Duca et S.r Octaviano fui crisemata per mano del R.mo Patriarcha Aquiliensis vescovo de Ferrara et fratello de Sto Pietro ad vincula: li Ill.mi S. Duca et Madama me tennero. Ritornassimo poi in sala dovo tutto el dì fin a sei hore de nocte se fece festa e lo Ill.mo S. Duca fece cavaller un zentilhomo catellano et non c’è mancato cosa alcuna per farci quelle dimonstratione de amore et honore che sia possibile pensare. A le 24 hore fu portata la colletione de zucharo laborato in cità, castelli, nave, animali, ucelli et diverse cose che fu bellissimo vedere. Come ho dicto lo Ill. S.r Octaviano et io fossimo allogiati in corte, lo Ill. m. Zohanne in casa de m. Julio Tassoni, li altri zentilhomini et zentildonne in le case di zentilhomini, che tutti sono stati honorevolmente cum satisfactione comune, excepto che ad me misera stata senza comperatione più grata la presentia de V. Ex. et de li nostri Mons. fratello et Ma sorella, da li quali quando me vedo separata niuna cosa me dà piacere, perchè la compagnia sua sopra tutte l’altre me dava consolatione. Sforzaromi tollerare questa partita cum manco affanno poterò, fin che la S.V. venghi a vedermi come me ha promesso, presto; che se non fusse questa speranza non me poteria acquietare, et cussì la prego voglia satisfare al comune desiderio. Questa mattina nanti partessi, andai a visitare a la camera sua in castello la Ill.ma Ma Duchessa, che non era anchora compita de vestire. La S.Sria insieme cum le Ill. figliole me accompagnò in corte a la carretta et lo Ill.mo S.Duca fino al bucintoro nel quale montassimo circa le 17 hore. A le 24 giongessimo in Arzenta, dove fossimo anche allogiati et tractati honorevolmente. Damattina partiremo a bonhora per essere de dì a Ravenna, non sciò mo’ se haveremo meglior zornata de hozi che sempre è vevato forte. Altro non me accade digno de aviso, se non che per chiarir V.S. perchè fui crisemata heri. Dico che avendo questi dì inteso el Sr Octaviano che non era cresimata, a certo proposito S.Sria lo disse a l’Illustr.mo S.Duca, a li quali parse poi ritrovandose lì el Patriarcha che ’l se dovesse fare per più honore et esser meglio che aspectare ad Urbino, essendoci anche li gudazi honorevoli. Raccomandome a la Ex. V. Argente, III febr. 1488.Soror
ELISABETH DUCISSA URBINI. - ↑ Lo stesso dice Elisabetta, nella sua lettera al fratello, da Ravenna, 5 febbraio. E aggiunge questo arguto particolare: "La Ex. V. scià che la me ha dicto più volte che cascaria da cavallo ad Urbino: per obedirla ho anticipato el tempo, che hozi essendo montata a cavallo per venire da la nave a casa, cominciò a trarre de calci et levarsi de nanti, che me fu forza saltare da cavallo, sì che senza lesione alcuna ho adimpito la prophetia de V.S."
- ↑ Giovanni Sforza, il fidanzato di Maddalena Gonzaga.
- ↑ Giovanni della Rovere, marito di Giovanna, figliuola di Federico Montefeltro, e padre futuro di Francesco Maria.
- ↑ Probabilmente Venanzio, figliuolo di Giulio Cesare Varano.
- ↑ Nome del cavallo destinatole per l’ingresso solenne.
- ↑ Otto si legge essere state le figliuole di Federico e di Battista Sforza, quindi sorelle a Guidubaldo, ma di alcune fra esse (seppure esistettero) non si sanno neppure i nomi (v. UGOLINI II, 26). Allora, come si rileva dall’elenco dei convitati maggiori al banchetto, che trovasi in fondo a questa lettera, ve n’erano in Urbino soltanto tre, cioè Isabetta, vedova di Roberto Malatesta, Costanza, moglie di Antonello di Sanseverino principe di Salerno, qui chiamata la principessa, e Agnesina, ancora nubile, ma che l’anno dopo doveva impalmare Fabrizio Colonna.
- ↑ Poggio; proprio il podium lat., ant. franc. pui.
- ↑ Cioè il modo com’erano disposti (seduti) i convitati.
- ↑ Completamente ignota è questa rappresentazione urbinate, per quanto noi sappiamo. Si avverta che il soggetto, ma non la trattazione, è identico a quello che fu rappresentato in Bologna per le nozze di Annibale Bentivoglio con Lucrezia d’Este. Vedine la relazione data dall’Arienti, che di recente fu messa in luce da G. ZANNONI, Una rappresentazione allegorica a Bologna nel 1487, Roma, 1891; estr. dai Rendiconti dei Lincei.
- ↑ Questa notizia accresce di gran lunga in noi l’interesse della rappresentazione. Si tratta di un’opera letteraria del padre di Raffaello, di cui sinora era noto solo il poema in terzine, dedicato a Guidubaldo, che si conserva nel Cod. Vaticano-Ottoboniano 1305 e che fu studiato e poi riprodotto a frammenti dal Pungileoni, dal Passavant, dal Dennistoun e dallo Schmarsow. E’ una disadorna e prolissa, ma importante, cronaca in rima, in cui si narrano i fatti del tempo di Federico. Il PASSAVANT (Raffaello, I, 37) suppone che appunto nell’occasione delle nozze di Guidubaldo il Santi ideasse il poema; ma è supposizione gratuita. Egli aggiunge che il Santi lavorò agli archi ed agli apparati eretti pel solenne ingresso di Elisabetta, e la notizia passò naturalmente nel Commentario alla vita di Raffaello, che il Malfatti compilò sul Passavant (Cfr. VASARI, Opere, IV, 394). Questo sarà benissimo, purchè in quelle feste non si voglia vedere una rivalità con Pesaro, celebrante le nozze di Maddalena, che non esiste. Le relazioni del Santi coi Gonzaga sono note. A noi sembra che il Campori abbia perfettamente ragione nel supporre due viaggi a Mantova di Giovanni. Tutti sanno con quanta ammirazione nel poema egli parli del Mantegna e delle sue opere mantovane, che lo sbalordirono (PASSAVANT, I, 316-17; cfr. SCHMARSOW, Giovanni Santi, der Vater Raphaels nella Vierteljahrsschrift del Geiger, II, 180 e 324-25). Dopo d’allora il PASSAVANT, I, 44, afferma che la maniera del Santi piegò al mantegnesco. Tutti sanno del pari, dopo i documenti gonzagheschi pubblicati dal CAMPORI (Notizie e documenti per la vita di Giovanni Santi e di Raffaello Santi, Modena, 1870, pp. 4-5; anche in francese nella Gazette des beux arts, Serie I, vol. VI, p. 353 sgg.) che il Santi fu a Mantova nel 1494 e che vi abbozzò il ritratto del vescovo Lodovico. Tornato in Urbino, non potè terminare quello di Elisabetta, pur cominciato, poichè a Mantova si era preso le febbri, che finirono con l’ucciderlo il 1° agosto 1494. Ora non è supponibile che egli scrivesse in quello stato la rilevante disputa della pittura, nè i capitoli che seguono nel poema; onde convien ammettere che prima del ’94 il Santi si fosse recato a Mantova un’altra volta. A dimostrare sempre meglio la continuità della malattia di Giovanni, dopo il ritorno da Mantova, valga questo brano che crediamo inedito, d’una lettera di Giovanni Gonzaga al Marchese:
Ill.mo et Ex.mo S.r mio fratelloQui si parla di ritracti, onde sembra che oltre a quello di Monsignore il Santi ne stesse facendo altri, probabilmente anche uno del Marchese. Che ritraesse Isabella, è indubitato, ma questi dipinto, di cui la Marchesa era poco soddisfatta, dovette essere eseguito prima, forse in Urbino, poichè un documento edito dal LUZIO (Federico ostaggio, p. 67) mostra come il 13 gennaio 1494 la Gonzaga lo mandasse già alla contessa d’Acerra. In quella lettera è attestata la fama che il Santi aveva come ritrattista dal naturale, e infatti si è ripetutamente asserito che egli ritraesse Guidubaldo giovinetto (PASSAVANT, I, 36; SCHMARSOW, op. e loc. cit., II, 344-45). Sia richiamata su tutto ciò l’attenzione degli studiosi di storia dell’arte, i quali non mancarono di dare la debita importanza alle due lettere di Elisabetta Gonzaga del 19 agosto e del 13 ottobre 1494. Cfr. MÜNTZ, Raphael, Paris, 1881, pp. 12-13; MINGHETTI, Raffaello, Bologna, 1885, pp. 7-8, e anche nota al VASARI, IV, 406.
... Ho parlato cum Zohan de Sancto de li ritracti de V.S. secondo quella mi comise et lui me ha risposto non haverli anchor forniti per non essersi mai rehabuto de la infermità che gli sopragionse in Mantova; ma como el sij un poco restaurato che ’l possi lavorare el non atenderà ad altro fin che ’l non habbi servito la Ex. V. ecc. Urbini XXV aprilis 1494Fr. et servitor
JOHANNES DE GONZAGA cum rne - ↑ Voce dialettale ancora viva, che vale palette.
- ↑ In altra lettera del 17 febbraio il Capilupo riparla di questo "matto", che dalla gatta "fu molto ben scrafignato et tutta la testa che l’haveva rasa sanguinava". Curiosissima davvero, nella sua barbarie, questa cerimonia dei cavalieri della gatta, che è certo da raccostare all’uso guerresco della gatta infilzata sugli spalti d’una città assediata, con grida di provocazione e di scherno agli assalitori. Cfr. LUZIO, Fabrizio Maramaldo, Ancona, 1883, pp. 97 segg., nonchè ROSSI e CRESCINI, nel Giornale storico, V, 504, e XVI, 434, ove si troveranno indicati altri scritti in proposito.
- ↑ Il PASSAVANT (Raffaello, I, 36), fraintendendo il BALDI (Guidobaldo, I, 106), afferma che in quella occasione fecero gli Urbinati il giuoco dell’ aìta. Non è vero, e del resto, la stagione ancor fredda si prestava a ciò.
- ↑ Correderemo quell’atto con le illustrazioni che a nostra richiesta vi fece cortesemente quel coltissimo gentiluomo e specialista in simili ricerche, che è il conte L. Alberto Gandini di Modena.
- ↑ Fra le lettere di Elisabetta al fratello ve n’è una del 6 febbraio ’88, da Ravenna, in cui lo prega di lasciare disponibili colà un bucintoro e due burchi, pel ritorno delle gentildonne del seguito, di cui taluna era incinta. Di queste gentildonne conosciamo solo Ginevra Boschetta, menzionata dal Capilupo nella lunga lettera riferita.
- ↑ Mantovana dovette essere quella Ginevra de’ Fanti, di cui vedremo qualche lettera al marchese riguardante la Duchessa.
- ↑ Bellissima è, a questo proposito, una lettera, tutta autografa, di Elisabetta al fratello, che va riferita intera, poichè è anche nuova ed eloquente prova del grande affetto e della reverenza che la Duchessa nutriva verso Francesco.
Ill.mo S. mio Patre,
Se questi dì non scrito a la Ex.V. de mia mane come era el debbito e desiderio mio ne avrà per excusata, perchè solamente è proceduto per non me avere sentito tropo bene et perchè scio che da altri haverà inteso al giongere nostro qui e le feste ch’è stà fate. Non dirò altramente si non in avisarla come non ho preso quello piacere de queste cose che averia fato se gli fusse stato la S.V., et se non sperase de vederla presto non me poteria allegrar; però la prego volìa atendermi la promesa, che la ne farà gran piacere a lo ill.mo Sr mio consorte et Sr Octaviano, quali più volte ànno dito che vorìano fuse stata qui la S.V., dove l’aspetamo ogni modo, ritornato a Mantua lo illmo m. Jov. nostro fratello. Non bisogna ch’io raconti a la S.V. de quanta fede et servitù sia stato el castellano a le bone memorie de li illmi S. nostro Patre et Madona nostra matre et poi a noi soi fioli, perchè la n’è benissimo informata: ma per la grande obligacione che gli ò specialmente per averme alevata et servita cum tanto amore me pare mio debito recomandarlo a la S.V. et pregola de core che la voglia per mio amore averlo per recomandato, che una cosa non poterla in questo mondo havere più grata de la S.V. El S. mio consorte se recomanda, el Sr Octaviano et io per mille miara de volte. Urbini, 19 febr. 1488.La vostra obediente fiola
ISABETA DE GONZAGA de m.p. - ↑ Abbiamo qualche lettera di lui. In una del 14 febbraio ’88 accusa ricevuta di 200 ducati e prega d’averne almeno altri 150, indispensabii pel ritorno della comitiva. "Sono accadute de molte spese che non se hanno potuto evitare per honore de la S.V., como poi intenderà par el conto tenuto".
- ↑ A lui accenna, come vedemmo, anche il Capilupo. Il menzionato Girolamo Stanga scrive, in data 12 febbraio, del banchetto nuziale dell’11: "Questo pasto è stato veramente sumptuoso et ben ordinato, ma intervenendo in questo l’honore de V.Ex. non posso tacere che non ge lo significhi. Tutta questa corte dà lo vanto a Philippo di Andreasii de essere stato quello che l’ha condotto a bon porto et cum tanto ordine". Il 16 febbraio Elisabetta medesima raccomandava Filippo per certa lite dei suoi fratelli: "La Ex.V. voglia per mio amore fare libera gratia ad essi fratelli, acciò chse se cognosca V.S. non havermi manco chara qua che l’havea a Mantua, et tanto più essendo questo lo primo piacere che gli ho richiesto doppo sun fora de casa. Et non se maravigli V. Ex. se uso questi termini, perchè avendo per bocha de ogniuno de esso Philippo havuto l’honore de questo pasto ch’è stato bellissimo, me pare meritarìa anche magior favore che per essere stata opera sua, la quale ritorna in laude de la Ex.V. essendo suo sescalco".
- ↑ Anche per esso Elisabetta ha parole d’encomio, in una lettera del 19 febbraio.
- ↑ Il 14 febbraio Elisabetta dice che senza quelli staffieri non sarebbe forse giunta salva ad Urbino "per le pessime vie che havemo ritrovate et fiumane periculose, che qualche volta me hanno portata mi e lo cavallo".
- ↑ In lettera autografa del 28 febbraio Elisabetta dice che ebbe "gran dispiacere quando se partì m. Jovano, parendomi in tuto abandonata da li mei". Desiderava vivamente la visita promessa dal Marchese, come già s’è veduto nella lettera riferita del 19 febbraio. La salute della Duchessa, sin d’allora assai malferma, contribuiva a darle malinconia e forse nostalgia. L’aria fine di Urbino non le si confaceva punto, mentre meglio le conferiva quella più bassa di Fossombrone. Di là il Capilupo scriveva il 26 novembre ’88: "Ma Duchessa doppo che l’è qua a Fossombruno è assai ben refatta, per comportarli meglio questo acre che è più temperato".
- ↑ Prima Francesco gli concesse di starvi sino a Pasqua, ma il 9 aprile Elisabetta scriveva di sua mano al fratello: "Benedetto Codelupo me ha fato gran instancia de volere ritornare a Mantua, dicendo non havere avuto licencia si non per sin a Pasqua, ma io per el gran bisogno che ancora ho qua de lui non l’ho per niente voluto lassar partire, ma prego de core la S.V. sia contenta per mio amore comandarli per una lettera sua che ’l resti qui a servirmi almeno fin che la S.V. vengi qua". Passati alcuni mesi, Elisabetta chiese che il C. potesse rimanere ancora, e il Marchese con un biglietto, che è nel L. 132 del suo Copialettere, gli ingiungeva infatti: "Nui che desideramo in omne cosa a nui possibile farli cosa grata [alla sorella], volemo che tu resti per tre o quatro mesi et per quello più tempo parerà a sua Illma Sa n. (7 luglio ’88). Quando in dicembre lo lasciarono finalmente partire, Benedetto fu accompagnato dalle più lusinghiere commendatizie. Raccomandavalo caldamente il duca Guidubaldo (4 dicembre da Fossombrone) per la "fede et diligentia" con che aveva servito la moglie, la quale a sua volta di proprio pugno scriveva al fratello (5 dicembre da Fossombrone): "Per la instantia grande che me ha fato Benedetto Codelupo de retornare a servire la S.V. non ho potuto finalmente negarli la licentia, benchè l’habia retenuto più del voler suo, perchè invero, come dissi anche a la Ex.V. quando era qua, me ha tanto ben servita, che sempre sarò obligata a la S.V. che me lo concesse". Prega il Marchese di favorire un nipote povero di Benedetto, per le benemerenze dello zio.
- ↑ L’incarico era di impetrare il cappello cardinalizio pel protonotario Sigismondo Gonzaga, fratello del Marchese. Per molti anni ancora dovevano durare quelle pratiche. Il cardinale Francesco Gonzaga era morto nel 1483 e la famiglia voleva aver sempre un rappresentante nel sacro collegio. Cfr. Giorn. stor., XVI, 136.
- ↑ Già il 28 febbraio Guidubaldo aveva sollecitato l’invio del castellano in nome della consorte "a ciò el egli sia apresso qualche persona di cui ella cum più sicureza in questi principii possa pigliare confidentia in le sue occurrentie".
- ↑ Ne parla il Calandra stesso nella lettera del 19 aprile, su cui siamo per ritornare, e Guidubaldo ringrazia il 21 aprile. Più tardi Francesco gli regalò un cavallo, di che il Duca ringraziò il 1° dicembre, ed Elisabetta, di sua mano, il 5: "El cavalo che hà mandato sa S.V. ill.ma al Sr mio gli è stato tanto grato che più non se poteria dire, et io ne resto insieme cum lui obligatissima a la S.V. che si sia dignata mandare el migliore che la havesse in stala, che per questo cognosco el grande amore me porta la S.V.".
- ↑ Anche Ginevra de’ fanti in data 28 aprile:"Sabato a li 19 di questo lo ill.mo S.Duca se acompagnò con la ill.ma Ma vostra sorella: circha questo non scrivarò altra particularità per honestà".
- ↑ Le parole del Bembo vanno riferite: "Guidum Ubaldum constat, sive corporis et naturae vitio, seu, quod vulgo creditum est, artibus magicis ab Octaviano patruo propter regni cupiditate impeditum, quarum omnino ille artium experientissimus habebatur, nulla cum foeminam coire unquam in tota vita potuisse, numquam fuisse ad rem uxoriam idoneum. Hujus autem imprudens ipse rei adhuc omnino ignarusque cum esset, experimentumque virilitatis ulla cum foemina nondum cepisset, id enim caverat diligentissime patruus, nubit ei haec puella Francisci Gonzagae soror ... Uno in lectulo cubant annos duos, cum ille interea, quid plane posset, experietur. Itaque tandem cum frustra periculum facere animadvertit, moerens delensque uxori aperit, putare se magicis impediri quominus virum illi ostendere se se possit: se miserrimum ac porro infelicissimum nuncupat, qui cum spe liberorum careat, tum illi nullam de se voluptatem afferre possit, quam illa jure conjugii merito expectat ... Mulier, quae multo ante id, quod erat, rata, nihil apud virum questa unquam fuerat, nullum illi mortalium verbum ea de re fecerat, tum illum solata hilari vultu orat, sustineat feratque fortiter fortunae injuriam ..." e qui seguono i ragionamenti fatti dalla Duchessa per consolare il marito e la promessa di essergli sempre fedele e di mantenere gelosamente il segreto. "Utque dicit, etiam facit. Itaque quoatuor atque decem amplius annos eorum familiares intimique sterilitatis culpam ad mulierem potius traducerent, quam ad virum: ita ejus plane rei nihil unquam rescitum est, neque nunc quidem esset, nisi ejus ipse vir, omnia quemadmodum se habebant, aperuisset eo tempore, cum is a Caesare Borgia domo expulsus ad Gallorum Regem, cuius in manu tunc res erant, implorandi auxilii caussa Mediolanum se contulerant". Cfr. 'De Guido Ubaldo Feretrio deque Elisabetha Gonzagia Urbini Ducibus liber in Opere del Bembo, Venezia, 1729, IV, 299.
- ↑ Cortegiano, p.337 della cit. ediz. Salvadori. Ivi Cesare Gonzaga dice che la Duchessa visse "quindeci anni in compagnia del marito come vedoa", e non solo non lo palesò mai, ma non volle in alcun modo uscire di quella "viduità". Al che la Duchessa presente, modestamente risponde dando altra piega alla conversazione.
- ↑ Vedi BALDI, Guidobaldo, I, 101 e segg. e 127-28; UGOLINI, op.cit.,II, 62 e segg. Di là la notizia passò negli storici generali.
- ↑ SANUDO, Diarii, IV, 568.
- ↑ ZANNONI, De legitimo amore poema di Dario Tiberti (Cod.Vat.Urb.767), Roma, 1891, p.70, n.3; estr. dai Rendiconti dei Lincei.
- ↑ Della sua esilità può far fede il magnifico ritratto che le fece Piero della Francesca, e che in molti luoghi si vede riprodotto. Sulla costumatezza e coltura sua non comuni vedasi ARIENTI, Gynevera, pp. 288 e seg., e il citato PECCI, Umanisti nel Lazio, pp. 31 e segg.
- ↑ BALDI, Federigo, III, 270.
- ↑ Nel Cortegiano (ed.cit., pp. 15-16) è detto che Guido infermò di podagra a vent’anni, e che il male fece ben presto grandi progressi, "e così restò uno dei più belli e disposti corpi del mondo e deformato e guasto nella sua verde età". Bello e mite anche di aspetto, come la madre, dovette essere il Duca, se risponde al vero la descrizione del BALDI, Guidobaldo, II, 237. Di ritratti suoi, del resto, nulla può con sicurezza affermarsi. Quello di Raffaello, seppure è mai esistito, giacchè il Bembo nella lettera al Bibbiena del 19 aprile 1516 parla di Giuliano de’ Medici e non di Guidubaldo, non si sa ove sia (cfr. GRUYER, Raphaël peintre de portraits, Paris, 1881, I, 215-17). Dice il Gruyer che l’unico ritratto certo di lui è il busto in marmo posto sulla sua tomba di S.Bernardino presso Urbino. Ma quello, già menzionato, di Giovanni Santi nella Galleria Colonna non rappresenta sicuramente il Duca? Cfr. SCHAMRSOW, Giov. Santi in Vierteljahrsschrift cit. II, 344-45. e non hanno la sua effigie le monete che si conoscono di lui? Vedi REPOSATI, Zecca di Gubbio, I, 392. E non hanno valore le due medaglie sincrone? Vedi ARMAND, Médaillirs italiens, III, 180.
- ↑ BALDI, Guidobaldo, II, 104-6 e UGOLINI, II, 64.
- ↑ Durante la presenza del Calandra in Urbino, che durò sino alla fine di giugno, il Capilupo lasciava a lui l’incarico di scrivere a Mantova. In una lettera del 9 luglio messer Benedetto dice di riprendere il suo ufficio di relatore. Il Calandra del resto era egli pure un ottimo ottimo corrispondente. Nel suo carteggio da Urbino del 1488 dà anche molte notizie politiche, specialmente sui fatti che seguirono l’uccisione di Girolamo Riario (cfr. UGOLINI, II, 59-60). In una lettera del 6 maggio si loda assai delle carezze e degli onori che gli vengono prodigati in Urbino:"io qualche fiata ne resto confuso".
- ↑ Voce dialettale per rampicanti.
- ↑ Le medesime cose riferisce, meno bene, Ginevra de’ Fanti da Gubbio 28 aprile 1488. Solo della chiusa della sua lettera crediamo si debba tener conto: "Questo palazo non è tanto com’è quello de Urbino, ma è bello e molto aeiroso et commodo; la cità è belissima, ben situata, ha gran piano et è fertile e molto delectevole, et tanto piace a Madonna questa stancia, quanto alchuna che l’abia ancora veduta. Sì che per compimento del tuto non li manca alotr che la presencia de V.S. la quale prima da la Ill.ma M.ma vostra sorella, poi da il Sr Duca, Sr Otaviano et da tuti questi populi fi aspetata cum sumo desiderio: però la S.V. po’ gloriarse de haverla molto ben maridata, perchè tute le cose sue per la gratia de Dio vano benissimo". Quest’ultima asserzione mostra come quella damigella fosse lontana le mille miglia dall’imaginare il difetto del Duca. Notevoli sono le sue parole sul palazzo di Gubbio, nel quale era nato Guidubaldo il 17 gennaio 1472. Quell’edificio fu ascritto al senese Francesco di Giorgio (REPOSATI, Zecca di Gubbio, I, 263), ma pare falsamente. Oggi si ritiene che vi avesse quel Baccio Pontelli, che vedemmo già occupato nel palazzo di Urbino (VASARI, Opere, II, 654, n.2 e III, 71, n.). Specialmente lodato è il cortile del palazzo di Gubbio (BURCKHARDT, Gesch. der Renaiss., p.195); anche là si trovano magnifici ornati (cfr. MÜNTZ, Renaissance à l’époque de Charles VIII, pag.362 e MARCOLINI, pag. 161). Giovanni Santi dice del palazzo di Gubbio:
Cfr. SCHMARSOW, Melozzo, p. 353. L’edificio, ordinato e costruito da Federico il Grande, fu terminato da Guidubaldo. Vedasi PASSAVANT, Raffaello, I, 28-29; DENNISTOUN, op. cit., I. 163-164.
Nè qui degio andar dimenticando
de lo admirando suo palazzo altero
nella città de Ogobio
non potrei tanto dir che assai più el vero
non fosse: è volto al cielo orientale
e a mezzo dì, a Borea le sue spalle
acosta al monte, e ancor l’occidentale
cielo riguarda e l’ubertose valle
e lieto pian cum sì dolce veduta
che Urbino excede e le sue dolce calle. - ↑ Commendatizia di Guidubaldo a favore del castellano, in data 29 giugno, e lettera della Duchessa del 30 giugno.
- ↑ Lo abbiamo già veduto nominato nel 1483 da Violante de’ Preti. Egli fu per alcun tempo alla Corte degli Sforza, dopo aver servito in quella dei Gonzaga. La marchesa Barbara lo diceva "maestro sopra ogni altro" nel "mestiero del danzare". (v. MOTTA, Musici alla corte degli Sforza, Milano, 1887, pp. 39-40; estratto dall’ Archivio storico lombardo). In seguito tornò a Mantova. E di là il Marchese lo mandò a Ferrara per istruirvi nella danza Isabella, Beatrice e Lucrezia d’Este. Abbiamo un amore di letterina auografa d’Isabella undicenne, in cui scrive al suo fidanzato mantovano: "Cum quanto amore et diligentia se sia portato cum nui Lorenzo Lavagnolo familiare de V.S. in dimostrarmi de le virtù del suo danzare, nol poteria descrivere a quella, ma l’opera che rimane presso me et queste altre mie sorelle ne rendeno qualche testimonianza", onde raccomanda con molto impegno quell’"affictionatissimo et sviserato servitore de V.S." (Ferrara, 27 febbraio 1485). Ed infatti nel Registro delle spese dell’Archivio Estense (Conto generale, iii, 1485. c.xviij) trovasi una partita "per manifatture date per fare una festa composta per Laurenzio Lavignollo ballarino per le ill.me fiolle del prefato n. S.". Nel dicembre 1486 il Lavagnolo fu richiesto dai Bentivoglio per le feste che dovevansi tenere in Bologna nel gennaio successivo, in occasione delle nozze di Annibale Bentivoglio con Lucrezia d’Este. Si comprende da tutto ciò che il Lavagnolo era un ballerino valentissimo e ricarcato.
- ↑ Con la cognata Agnesina, la Duchessa strinse subito le relazioni più cordiali. Si rammenterà la lettera poc’anzi riferita di Ginevra de’ Fanti (20 marzo ’88), in cui è detto che si trattavano come sorelle. D’età eran quasi pari; solo Agnesina d’un anno ed alcuni mesi più giovane. Sorvegliò la sua educazione la sorella Giovanna della Rovere. Pochi mesi dopo ch’era giunta ad Urbino Elisabetta, desiderò di avere in moglie Agnesina Fabrizio Colonna; in autunno si erano già fidanzati, poichè la Duchessa scriveva il 16 ottobre al fratello: "Qua non havemo alcuna cosa de novo se non che l’è concluso el parentato de la ill.ma Ma Agnese in lo Sr Fabricio Collona, qual V.S. intese qua praticarse". Il matrimonio ebbe luogo il 20 gennaio 1489 e ne nacque prima nel 1492 Vittoria, la celebre marchesa di Pescara, e quindi, nel 1494, Federico e nel 1500 Ascanio. Nel 1499 Elisabetta, recandosi a Roma, volle trattenersi alquanto nel castello di Marino, ove Agnesina soggiornava (cfr. il nostro Gara di viaggi fra due celebri dame del Rinascimento, Alessandria, 1890, p.6, estr. dall’ Intermezzo). Morì Agnesina il 1° aprile 1523, come appare dalla partecipazione che ne diede Ascanio Colonna a Federico, marchese di Mantova, (vedi LUZIO, in Riv. stor. mantovana, I, 10). Meglio che in ogni altro luogo i fatti della vita, sinora oscuri, di quella gentildonna sono narrati, su solida base di documenti, da ERMINDA CASINI TORDI, nel periodico Vittoria Colonna, anno I. 1891, n. 10.
- ↑ Una Isabella Lavagnola era in Mantova al servizio della Marchesa. Essa era la moglie o non piuttosto la sorella di Lorenzo? Quello che se ne dice in seguito ci fa desiderare non fosse la moglie.
- ↑ Guidubaldo, con lettera del 29 aprile, lodava assai il Lavagnolo.
- ↑ Lettera del Capilupo, 4 luglio ’88.
- ↑ Casteldurante fu chiamato Urbania in onore di papa Urbano VIII, che diede a quel luogo il titolo di citta. I Montefeltro vi avevano un celebre parco, con palazzo. Cfr. MARCOLINI, Op. cit., pp. 75 e 175.
- ↑ I ballerini, a due a due, formavano come una specie di pergolato.
- ↑ Il 21 luglio Elisabetta aveva annunziato al fratello: "Questa sera andiamo a Casteldurante per vedere una representatione che fanno quelli hominim poi a Sto Angelo [in Vado] per una giostra che anchora loro fanno, le quali se sono differite fin qui existimando che la S.V. dovesse venire".
- ↑ Nella lettera or ora citata dice: "serrà difficile che me possa contenere che non monti un zorno a cavallo et la venghi a vedere". Il 29 luglio ripete le preghiere più calde acciò il Marchese non ritardi più oltre il suo viaggio ad Urbino.
- ↑ Anche a Fossombrone i Montefeltro avevano un parco ed una magione.
- ↑ Vedi la lettera 16 gennaio ’89 pubblicata da P. FERRATO nel suo opuscolo Lettere inedite di donne mantovane del secolo XV, Mantova, 1878, p. 56.
- ↑ Degli invii di cacio e di sardelle vedi notizie nelle lettere di Elisabetta pubblicate dal FERRATO, op. cit., pp. 56 e 61.
- ↑ Vedi lettera 4 giugno ’89 in FERRATO, op. cit., pp. 58-59. In quella lettera la Duchessa scrive: "ho visto sempre la S.V. portarme tanto amore, che non credo s’el me avesse ingenerata, me ne potesse volere più; ma certamente la Ex.V. n’è bene ricambiata, chè l’amo più che me medesima".
- ↑ Vedi nell’opusc. del FERRATO, pp. 54-55. Anche in una lettera del 19 luglio ’89, non pubblicata dal Ferrato, Elisabetta chiese al fratello spedirle "certe cose antique" desiderate dal Duca. Guido non sarebbe stato degno figiuolo di quel Federico, che fu uno dei principi più illuminati del tempo suo, se non avesse amato le cose d’arte. Per la sua scrittura classica vedasi BALDI, Guidobaldo, I, 110.
- ↑ Da lettera inedita d’Elisabetta del 2 giugno ’89.
- ↑ Elisabetta al Marchese, 1° settembre ’89: "Se ’l castellano ritorna tardo da la S.V., prego quella nol voglia imputare a lui, ma ad me: la quale l’ho retenuto fino a questa ora, et tanto piacere ho auto de la venuta sua qua che ’l m’è parso che ’l sia stato una medicina a uno pocho de male che me sentiva, et sempre de dì in dì soto stata qua apresso di me". Raccomanda vivamente lui, il figliuolo e le cose sue. FERRATO, Op. cit., pp. 59-60.
- ↑ Il matrimonio di Giovanni Sforza con Maddalena Gonzaga seguì il 28 ottobre 1589. Il ricevimento, la cerimonia, le feste, il convito ci sono descritti in due belle lettere del 29 e del 30 ottobre, indirizzate al marchese Gonzaga da suo fratello Giovanni e da Maddalena stessa. Le lettere, tratte dall’Archivio Gonzaga, furono prodotte dal signor Guido Mondovì in Mantova, nel 1883, per nozze Rimini-Todesco Assagioli. A due miglia da Pesaro vennero incontro alla comitiva mantovana, con lo sposo, il Duca e la Duchessa di Urbino, Ottaviano Ubaldini, Emilia Pia ed il marito di lei. Il Duca aveva 200 persone nel seguito. Maddalena entrò nella città (chi glielo avesse detto allora che non sarebbe concesso neppur un anno di vita!) "ornata la testa da Nimpha cum li capilli per spalla, et una zerlanda et penna zolielata in testa, cum vesta de brochato d’oro biancho, suso uno cavallo leardo pomelato copertato fin terra de panno d’oro rizo". Dopo la cerimonia nuziale ed il sermone, ebbe luogo il pranzo. Poi si ballò, finchè giunse l’ora della rappresentazione, che Maddalena riferisce molto confusamente (pare non l’abbia inteso bene), ma in modo da ridare l’impressione che se ne doveva ritrarre. Giovanni ci spiega che fu la rappresentazione di Giuditta ed Oloferne, fatta "cum spese et operatione de li Hebrei de questa terra", notizia non ispregevole, perchè ci mostra come gli israeliti fin da quel tempo si occupassero di teatro, in Pesaro. Le benemerenze che ebbero più tardi, a questo riguardo, altrove, sono ben note. Il dì successivo (29 ottobre) si tenne il grande convito, con 15 portate, secondo Giovanni, 13 secondo Maddalena, che le specifica. Succedette un’altra rappresentazione "de Phebo et Daphne conversa in lauro, poi viene fuori il Petrarcha et Laura che inseme cum Diana prese Cupido et lo spenachorno che fue bel spectaculo".
- ↑ FERRATO, op. cit., p. 61: "Per la gratia de Dio son reducta in tal termine che comincio ad andare per casa". La lettera è di mano del Capilupo.