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Chi non rammenta la eletta, e arguta, e vivace comitiva del Cortegiano? In quella serie impareggiabile di dialoghi, che si fingono tenuti alla Corte d’Urbino nella primavera del 1507, ci compaiono d’innanzi a discutere piacevolmente gentiluomini illustri per nascita e per azioni, quali Ottaviano Fregoso e Federico suo fratello, nati da una sorella del duca Guidobaldo, Cesare Gonzaga, Gaspare Pallavicino, Ludovico Pio; destri diplomatici come Ludovico di Canossa; grandi signori come il magnifico Giuliano de’ Medici, che vi espone le virtù necessarie alla donna di palazzo; poeti e uomini di lettere come il Calmeta, l’Unico Aretino, Bernardo Dovizi, che vi tratta delle facezie e delle burle, Pietro Bembo, che vi svolge la teoria dell’amore; artisti come Gian Cristoforo Romano; ed altri ed altri, che direttamente figurano o s’intravvedono, fra cui non manca neppure il buffone di corte frà Serafino. In quella nobile gara di "formar con parole un perfetto cortegiano" quando, per necessità de’ tempi, presso le Corti solevansi svolgere le più elette qualità dello spirito, venne a porgere il conte Baldassarre Castiglione quasi un ritratto di sè medesimo, che delle virtù richieste alla perfetta cortegiana possedeva di fatto gran parte[1]; ma non è men vero per questo che idealizzando la società urbinate, egli pure intendeva ritrarre dalla realtà e rievocare uomini e tempi il cui ricordo gli empiva l’animo di soave mestizia. La comitiva urbinate fu, in un certo tempo, quale il Castiglione ce la ritrasse, onde non v’ha esagerazione quand egli scrive che "d’ogni sorta uomini piacevoli, e li più eccellenti in ogni facoltà che in Italia si trovassino, vi concorrevano". Due gentildonne eccelse presiedevano a quei ritrovi e vi portavano l’una la perspicace festività e la dialettica fine e suggestiva dell’ingegno femminile squisitamente educato, l’altra la temperanza modesta e severa, la dignità cortese e buona, l’intelligenza soda della matrona provata dalla sventura. Ognuno ravvisa Maria Pia Montefeltro, che de’ ragionari del Cortegiano tiene la direzione, e la duchessa Elisabetta Gonzaga, moglie di Guidobaldo Montefeltro.
Tessendo qui su documenti copiosi[2] la storia dei rapporti politici e famigliari che Elisabetta ebbe con la cognata, Isabella di Mantova, noi avremo spesse volte occasione di parlare di Emilia Pia e di molti altri personaggi che nel Cortegiano figurano, e dell’autore medesimo di quel libro prezioso. Ci vedremo passare d’innanzi tempi ed uomini svariatissimi, avvenimenti impreveduti e tremendi, usurpazioni, guerre aperte, maneggi diplomatici e, presso a tutto ciò, ricevimenti sontuosi, e nozze, e feste, e gazzarre; quella vita varia ed intensa, quello scomporsi, insomma, e ricomporsi di cose, come in un caleidoscopio, che caratterizza la seconda metà del XV secolo e la prima del XVI. In mezzo a tante mutazioni e sciagure, bella è l’amicizia costante di quelle due principesse, così nobili entrambe e così elettamente dotate; tanto più bella quanto è più rara. Fra tuttequante le gentildonne che Isabella ebbe a trattare famigliarmente, non esclusa la stessa sorella Beatrice, fu senza dubbio la Duchessa d’Urbino colei che meglio si confaceva col suo carattere ed alla quale la legò affetto più sincero e più tenace.
Note
- ↑ Lo dissero i cotemporanei, tra cui l’ARIOSTO (Furioso XXXVII, 8), e il Castiglione medesimo lo accenna a voce corsa, in fondo alla dedica del Cortegiano al De Silva, scusandosene con modestia, ma, si direbbe, non senza un certo compiacimento.
- ↑ Tratti in massima parte, dall’Archivio Gonzaga. Quando non lo siano, o avvertiamo. In questo lavoro purtroppo la ricchezza grande del materiale ci costringerà spesso a riassumere, o ad accennare soltanto, i documenti di minore importanza.