< Timeo
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Platone - Timeo (ovvero Della natura) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
Capitolo XV
Capitolo XIV Capitolo XVI

E colui che ordinò tutte queste cose, rimaneva in suo essere, secondo suo modo; e cosí rimanendosi, i figliuoli, tosto come inteso ebbero il comandamento del padre, già ubbidivano. E, ricevuto l’immortale principio di mortale animale, imitando il lor Fabbro, preso in prestanza dal mondo particelle di fuoco, terra, acqua e aria, le quali gli si aveano poi a rendere novamente, appiccaronle insieme; non già con indissolubili legami, come i loro propri, bensí commettendoli con cotali fitti chiovelli, non possibili di vedere per la picciolezza loro; e di questa materia facendo ciascuno corpo, dentro a esso corpo legarono gl’immortali giri dell’anima, il quale a cagion di suoi effluvii e riffluvii molto era commosso fortemente. I quali, legati dentro a grossa fiumana, non erano né vincenti né perdenti, ma cosí portati eran di forza e portavano, che immantinenti tutto l’animale muovesi sregolato, dove fortuna lo mena, senza ragione, avendo egli tutt’e sei movimenti; e innanzi, addietro, a diritta, a sinistra, su, giú, per tutt’e sei le vie tragettarsi. Imperocché molto essendo l’impeto dell’allagante e ritraentesi onda, ministra di nutrimento, bene piú ancora molto era il tumulto che faceano a ciascuno le passioni ricevute da fuori, allorquando imbattendosi quello in estranio fuoco, o intoppando in rigida terra, o balenando fra molli iscorrimenti delle acque, o avviluppato dal turbinio dei venti mossi dall’aria, i moti di tali cose, trapassando per il corpo, sí investivano l’anima: i quali moti per questo si chiamarono poi in genere sensazioni, e sono chiamati cosí ancora presentemente.

Queste arrecando subitamente, eziandio allora, moltissimo e grandissimo moto, e turbando con il perenne fluente rivo i giri dell’anima e conquassandoli, fermarono del tutto quello del medesimo, scorrendo di contro a esso, e sí gli impedirono il governare e lo andare; e cosí ancora il giro dell’altro conquassarono, che esso, e insieme i tre intervalli di ciascun dei due ordini, di quel che ha il due a ragione sua, e di quello che ha il tre, e i medii, e i legami d’uno e un mezzo e d’uno e un terzo e d’uno e un ottavo, da poi che non erano dissolubili totalmente se non da colui che legolli, in tutt’i modi scontorsero, facendo seni ne’ cerchi e disuguaglianze quante piú potevano. Onde i cerchi tenendosi insieme a mala pena, si moveano sí, ma senza ragione, or contrarii, or obbliqui, e or riversati cosí, come quando riversato è alcuno, pontando in terra il suo capo e gittando in su i piedi e appoggiandoli ad alcuna cosa: imperocché, cosí stando, in rispetto di coloro che lo guardano, la diritta di quelli a lui, e la diritta di lui a quelli, sinistra apparisce, e la sinistra diritta. Ora patendo fortemente i giri queste medesime turbazioni e altre simiglianti, quando s’abbattono in cosa esteriore della natura del medesimo o dell’altro[1], sí divengono fallaci e dissensati, e dei due giri nessuno è signore e duce; se poi generandosi alcune sensazioni da fuori, e, investendo l’anima, rapiscono a sé tutto lo interno di lei, allora ancellano le circulazioni dei predetti giri, avvegnaché paiano donneggiare. E per tutte queste passioni, e ora e al principio, l’anima, non sí tosto che è legata in mortale corpo, diviene dimentica. Appresso poi, quando un poco scema il rigoglio della dilagante onda ministra di crescimento e di nutrimento, e i giri di nuovo tranquillandosi vanno piú l’uno dí che l’altro regolatamente per loro cammino; allora, tornati i cerchi a loro modo sereno, e le ordinate circulazioni appellando dirittamente ciò che è altro e ciò che è medesimo, colui che li ha, fanno savio. Se viene ancora in aiuto un buono ammaestramento, l’uomo, schivato il piú esiziale morbo, si fa intiero perfettamente e sano; ma se egli non bada, menata vita sciancata, difettuoso, stupido anderà di nuovo in inferno. Ma elle son cose che verranno quandochessia; di ciò poi che ci siamo proposti presentemente, è a ragionare piú con cura; e in prima della generazione delle singole parti del corpo, e di quelle dell’anima, dicendo per quali cagioni e provvidenze degli Iddii si generassero; appigliandoci a ciò che è piú verosimile.


Note

  1. Quel ch’è medesimo a cosa, appellando altro, contro il vero; e quel ch’è altro da cosa, medesimo.
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