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VITA

di

OMERO

VITA


DI OMERO


SCRITTA

DAL DOTTORE GIOVANNI BONFANTI




Quanto è grande la fama di Omero, altrettanto è incerta la condizione di Lui. Molti scrissero la storia della sua vita, e niuno seppe darne un esatto racconto senza frammischiarvi delle favolose tradizioni. Gli Egiziani ed i Greci idearono cose prodigiose sulla nascita sua, e questi ultimi ne presentarono un’assai lunga genealogia. Diciannove Città, al detto di Suida, si contrastarono l’onore d’esser patria di Omero. Sembra però che Smirna e Chio abbiano più titoli onde reclamarlo per suo; ma resta ancora dubbioso a quale di queste due appartenga; perciocchè sì dall’una che dall’altra parte mostransi monumenti eretti alla sua gloria. Alcuni poi vollero che il nome di Lui fosse Meonide, ed altri Melesigene, e di soprannome Omero: chi ancor disse, esser egli un idolo immaginario ed un nome senza soggetto; ma certamente un uomo immaginario non avrebbe prodotto due poemi, se questi non sieno di più autori come la intesero alcuni, ai quali ragionevolmente ripugna un saggio letterato, dicendo: “sia che si riguardi al soggetto, o al piano, o alla condotta, o alle macchine; sia che si riguardi allo stile, al ritmo, all’armonia, si sente ben tosto che tutto è in Omero, tutto è di lui„: ed in fatti scorgesi in tutta l’estensione di detti poemi uno stesso carattere, che forma la modificazione essenziale dello stile di Omero.

Or dunque essendo egli stato certamente uomo reale, scrivendo io la vita di lui, stimo convenevol cosa di non dipartirmi da quella creduta di Erodoto, la quale e più ordinata e compiuta essendo, e del favoloso spoglia merita sovr’ogni altra credenza; e per tale è ancora addotta dal celebre Melchior Cesarotti, che della persona e delle opere d’Omero ampiamente ragiona.

Dicesi pertanto che un certo Menalippo di Magnesia andò in Jonia, e fermatosi in Cuma sposò quivi la figlia di uno chiamato Omiro, e n’ebbe una fanciulla per nome Criteide, la quale morti i suoi genitori dovette passare nella custodia di certo Cleanate amico del padre suo. Ora avvenne, che essendo ella da questo tutore poco guardata ingravidò. Cleanate di ciò tardi avvedutosi, cercò alla meglio nascondere il male; per la qual cosa raccomandata Criteide ad uno per nome Ismenia condottiere d’una colonia che andava a Smirne, fecela per colà partire. Ivi un dì essendosi ella condotta sulle rive del fiume Melete, dove celebravasi solenne festa, assalita da improvvise doglie partorì Omero; il che successe 168 anni dopo la guerra Trojana. Avendosi dovuto Criteide dopo il parto separare da Ismenia, fu costretta procacciarsi il vitto filando lane. Era in così miserevole stato, quando un certo Femio, uomo di molta estimazione che in Smirne insegnava belle lettere e musica, se ne invaghì, e fattala sua sposa adottò il fanciullo per figliuolo. Venuti a morte e Femio e Criteide, entrò Omero nei beni e nella scuola del padre, nella quale manifestato sublime intendimento, non solo que’ di Smirne accorrevano in folla ad udirlo, ma ancora i forestieri, tra i quali un certo Mente mercadante di Leucade amatore della poesia, preso dalle ottime qualità di lui molto lo stimolò a volerlo seguire ne’ suoi viaggi. Omero, che già divisava dell’Iliade, approfittò volentieri di questa occasione a solo fine d’istruirsi dei luoghi e costumi, dei quali avrebbe dovuto parlare. Messosi adunque in viaggio, percorsa l’Italia e la Spagna, giunse in Itaca dove assalito da una flussione d’occhi gli riuscì liberarsene, e molto in ciò valse l’ajuto e la cura d’un ricco ed ospitale uomo chiamato Mentore, dal quale ancora molte cose apprese intorno le avventure d’Ulisse. Poscia collo stesso mercadante giunse a Colofone, e qui con più di vigore rinnovellatasi la malattia degli occhi rimase intieramente cieco. Per questa mala avventura fu costretto di tornarsene a Smirne colla fiducia che i suoi conoscenti avrebbero di lui preso governo; e già pervenutovi terminò ivi l’Iliade. Ma, o fosse che ritrovato avesse que’ cittadini molto dissimili a quello di prima, od altra cagione, deliberò andare a Cuma. Lungo il viaggio fermossi in una terra chiamata Muro-Nuovo, e qui certo Tichio fabbricatore d’armi ed amante della poesia, più che sembrar non dovesse, gli diè ricovero ed alimentollo per alcun tempo. In questo mezzo compose gran parte de’ suoi Inni agli Dei, ed il poema sulla Spedizione d’Anfiarao a Tebe; quindi proseguì fino a Cuma, ove amorevolmente e con grande allegrezza fu accolto. Sentendo egli che i cittadini ammiravano i suoi versi, si offrì a rendere immortale il nome di quella Città, e celebrarla sov’altra mai pel solo alimento; al che un Magistrato rispose, che di troppo si aggraverebbe il Senato, se volesse prestar alimento a tutti i chiechi che amavano versi. Di ciò offeso Omero, tosto se ne parti con turbato animo, vibrando imprecazioni che in Cuma non avesse giammai a nascere poeta alcuno che splendor le arrecasse. Pervenuto a Focea recitò de’ suoi versi e molto piacque, per cui un certo Testoride gli ebbe offerto il vitto necessario a patto che potesse trascrivere i suoi componimenti, ed Omero dal bisogno oppresso vi acconsentì. Ma appena avuti in poter suo que’ preziosi scritti Testoride se ne fuggi a Chio, e spacciandoli per Suoi acquistossi e fama e grande fortuna. Così oltraggiato e deluso il Poeta deliberò andarsene a Chio per iscoprire a’ cittadini quell’impostore. Giunse ad Eritra, e qui entrato in un battello di pescatori, che a quella volta andavano, fu disumanamente da costoro abbandonato su di una riva ove passò l’intera notte. Cieco e solo errava in quella spiaggia deserta qua e la tentone, quando il secondo giorno in sul far della sera udì un belare di capre e pecore, e mossosi a quella volta donde il suono veniva, dopo lunga fatica vennegli presso, e comechè lo videro i cani custodi di quella mandra essendo a loro strano l’assalirono, e certamente ne sarebbe stato mal concio se il pastore chiamato Glauco non vi ci fosse a salvezza accorso; e presa di lui compassione il menò alla sua capanna, e confortatolo alla meglio fu questo in remunerazione da Omero divertito con molti e diversi racconti di quelle cose che ne’ viaggi vedute avea; del che meravigliando Glauco il giorno appresso diede avviso di quest’uomo al padrone, il quale subito sel fece innanzi condurre. Come il vide e lo sentì ragionare, restò siffattamente soddisfatto, che il tenne presso di sè e lo incaricò dell’educazione d’un suo figliuolo. In questo villaggio chiamato Boliso dimorò egli buona pezza, e quivi compose alcuni poemi. Sparsasi nella vicina Città di Chio la sua fama, pervenne pure all’ orecchio di Testoride, il quale temendo d’essere scoperto qual era se ne fuggì. Da Boliso Omero andò ad abitare a Chio, ed apertavi scuola cominciò dalla sua poesia a trarre vantaggi, ed acquistati beni prese moglie da cui ebbe due figlie, una delle quali assai giovane morì, e l’altra si maritò ad un cittadino di Chio. Compose in questa Città l’Odissea ove introdusse il nome di molti suoi benefattori; vennegli poscia in capo di andare in Grecia, e perciò aggiunse alla sua Iliade molti versi in lode di alcune provincie di quella, ed in ispecial modo di Atene e di Argo, volendo con ciò disporre gli animi ond’essere benignamente accolto. Entrato in Samo vi passò tutto l’inverno cantando alle porte dei grandi, e nella primavera rimessosi in viaggio per Atene come fu giunto ad Io infermo, ed ivi poco stante morì. Fu onorevolmente seppellito in riva al mare, ove soleansi innalzare i sepolcri dei più distinti personaggi. Ecco quanto, sebbene più estesamente, ci riferisce lo scrittore di questa vita creduto Erodoto. Però gli antichi non vi prestarono fede alcuna, ed infatti il vero Erodoto nella sua storia stabilisce la nascita d’Omero 340 anni dopo la guerra di Troja, ed in questo racconto lo fa nato 16o anni dopo la detta guerra. Contraddizione tale che manifesta chiaramente, non essere egli stato il vero Erodoto; ma sia qual altro scrittore si voglia egli è certo, siccome dice il celebre Melchior Cesarotti, che se questa vita non è tutta vera, porta però molti caratteri di scritto antico, ed ha savr’ogn’altra un’aria generalmente diffusa di verità. Quantunque, siccome abbiamo veduto, sia incerto il nascimento di questo singolare Uomo vi furono tuttavia di coloro che tentarono ancora di conoscere il tempo nel quale ei visse. Altri lo fecero ai tempi di Numa, chi vicino alla guerra di Troja, e chi 300 anni dopo il disfacimento di detta Città. Questa ultima opinione appoggiata ai monumenti d’Arundel pare la più ragionevole; ma abbandonando io siffatte ricerche non confacenti alle mie forze, dirò più volentieri alcuna cosa della sapienza di Lui. In Grecia le opere sue riguardate erano siccome il Codice dei saggi tutti, perciocchè in esse trovavano ogni sorta di cibo onde pascersi. Fu egli filosofo ed il primo, mentre innanzi che la filosofia in Grecia apparisse, la si vedea ne’ suoi poemi risplendere, e tutti a gara accorrevano al testo di Omero. Alcuni eruditi e scienziati uomini riconobbero dalle opere di questo poeta esser egli stato d’ogni maniera di scienze e di arti conoscitore; certo è però che Omero è ammirabile per essere nel suo carattere il primo poeta originale. L’Iliade e l’Odissea sono le sole due opere ch’esistono attribuite da tutti ad esso lui, fuorché irragionevolmente da alcuni come abbiamo di sopra veduto. Gl’Inni, che corrono sotto il suo nome dai sagaci intendenti tanto antichi che moderni non sono ritenuti per suoi, se non se quello ad Apollo, di cui ce ne assicura Tucidide, quantunque fosse creduto di Cineto di Chio. Un altro Inno a Cerere fu ritrovato in Mosca col nome di Omero, ma alcune circostanze mettono in dubbio il vero autore: così pure il poema burlesco della guerra fra i topi e le rane, sebbene di merito, tuttavia negano alcuni essere suo, e Plutarco ci assicura che da molti creduto era di Pigrete di Caria. Molte altre opere furongli attribuite, e sono l’Amazonide, la Tebaide, gli Epigioni, la picciola Iliade, la Cipriade, la Focaide, la presa d’Ecalia; ma non se ne può avere per le varie opinioni certezza alcuna. Potrebbre anco essere che alcuno di questi poemi appartenesse ad un altro Omero, che dicesi contemporaneo d’Esiodo, oppure di un altro dello stesso nome che visse ai tempi di Tolomeo Filadelfo. Altri due poemi vengono generalmente dagli antichi creduti di tanto poeta, e sono i Cecropi che vuolsi, opera satirica, ed il Margite che Platone ci assicura essere dello stesso; ed Aristotele dice che questo poema era il primo esemplare della commedia; ma non ne rimase memoria alcuna. Ciò nonostante bastarono ad Omero l’Iliade e l’Odissea per essere stato in Grecia tanto riverito, che non ci mancò chi con templi, chi con giochi pubblici, chi con sagrifici l’invocasse e gli rendesse omaggio. Egli era il sapiente universale della Grecia, e tutti in lui riguardavano un uomo incomparabile ed un genio divino. Aristotele a lui solo dà il nome di poeta; e Dione filosofo ricordò ad un giovane che soprattutto Omero fosse il principio, il mezzo, ed il fine delle sue lettere: Plutarco lo prova il padre delle scienze: Basilio il grande chiama i poemi di Omero un elogio perpetuo della virtù: infiniti altri saggi non fecero che sovr’ogni altro oommendarlo ed ammirarlo. Pure anche egli fu da moltissimi Greci biasimato, tra quali Pitagora, Senofane, Empedocle, Eraclito, Eupolide, Epicuro, Metrodoro, e tanti altri, fra cui un certo Petronio di Focea scrittore siffattamente oltraggiollo, che in una sua Elegia chiamò l’Odissea fango, e più che fango l’Iliade; e non spiacerà ch’io pur dica di un certo Zoilo grammatico detto il cane della rettorica, che si faceva chiamare il flagello di Omero. Recatosi dal Re Tolomeo, presentò alcune opere fatte contro l’Iliade e l’Odissea. Questo Re veggendo il padre de’ Poeti villaneggiato e condannano senza potersi difendere da costui, non gli diede risposta alcuna. Zoilo vistosi così trascurato, parti da quel Regno; ma alla fine ridotto ad estremo bisogno, mandò al Re chiedendo soccorso; alla qual domanda dicesi che Tolomeo rispondesse, che Omero morto mille anni fa alimentava da lungo tempo più migliaja d’uomini, che perciò chi vantava d’essere fornito di più ingegno d’Omero, ragion era che potesse non già sè solo alimentare, ma molti altri. Credesi poi che questo Zoilo fose condannato a morte come reo di parricidio. Presso i latini fu venerato siccome padre e maestro ancora della poesia. Di lui così disse Ovidio:

Aspice Maeonidem a quo ceu fonte parenni

Vatum Pieriis ora rigantur aquis.


ed il principe de’ censori Quintiliano « In quella guisa, dic’egli, che Arato vuole che si incominci da Giove, così è ragionevole che per noi si debba cominciare da Omero; poichè siccome dall’Oceano, al dire del medesimo poeta, tutti i fiumi e le fonti derivano, così da lui l’eloquenza tutta nacque. Non v’è alcuno che nelle cose grandi lo superi di sublimità, o di proprietà nelle tenui, rigoglioso a tempo, stretto, grave e piacevole al pari, mirabile per copia e per brevità, ed eminentissimo non solo nella poesia, ma ancora nell’oratoria, ed eccede nelle figure e sentenze tutte le misure dell’ingegno umano». E con pari passo proseguirono Vellejo Paterculo, Valerio Massimo, Columella, Plinio, Ausonio, Macrobio. Ma Orazio e Properzio non la intendevano così, e Cicerone non seppe in Omero lodare le debolezze degli uomini appropriate agli Dei, e Seneca si rise di coloro che spacciavanlo per filosofo. Tertulliano, Agostino, Cipriano, Minuzio Felice, Lattanzio lo dannarono insieme agli altri poeti suoi discepoli.

In Europa al nuovo risorgere delle lettere Francesco Petrarca ed il Boccaccio molto operarono, onde avere la prima traduzione del'Iliade e dell'Odissea, e tutti gli eruditi, tostochè cominciarono ad intendere i suoi poemi presero del pari a venerarlo, e fra i principali il Poliziano chiamollo Oceano di sopra umana sapienza. Urceo Codro volle provare che le opere di Omero contenevano, oltre il modello della poesia, un compendio universale di tutte le scienze e discipline. Chi stava tra due se dovesse crederlo un genio o almeno un uomo assistito da un genio di prima sfera. Claudio Belugerio sempre portava seco le opere di tanto uomo, non potendo fare a meno di non leggerle perfino nei sacri templi. Il Sig. Dacier sovra ogni altro confuta le accuse date ad Omero sì dagli antichi che da’ moderni censori. Torquato Tasso, uomo di cotanta autorità, disse che niuna poesia s’accosta più dell’Omerica all’eternità, e che Omero è più sicuro dalle opposizioni e dalla maldicenza, che la sommità dell’Olimpo dai venti e dalle tempeste. Speron Speroni filosofo e scrittore arguto, oltrechè ne lo esalta in ogni parte lo difende pure dall’imputazione a lui data sopra gli Dei, Vincenzo Gravina lo riconosce per sovrano e impareggiabile maestro.

In Francia surse un forte partito contro di questo altissimo cantore ma fu dissipata da un altro più forte. Uezio, quantunque amico di uno de’ più fieri antagonisti di Omero, mostrò per altro che la maggior parte delle censure fatte al poeta erano dettate dallo spirito superficiale di coloro, che non intendevano abbastanza nè il linguaggio, nè le usanze dell’antichità. Anco in Inghilterra nacquero le medesime controversie, ma tosto finirono; ed il Pope, il più eccellente poeta di quella nazione, fece un grande e giusto elogio ad Omero. L‘erudito Blakwel mostra esser Omero un fenomeno unico, un prodotto di combinazioni singolari che la facoltà poetica sembra aver raccolto intorno a lui, per far pompa in quell’uomo del massimo grado della sua maggior forza. Non altrimenti e forse con maggior vigore il Vood, che toglie ad Omero quelle nebbie che l’offuscavano.

Senza accumulare somma di questa maggiore dirò che non vi fu autor alcuno, che più di Omero venisse da uomini d’alto ingegno, di somma dottrina e grande celebrità in ogni tempo con lodi tanto innalzato, e da altrettanti di non minore peso per lo contrario sprezzato ed avvilito. In mezzo a così fatte discrepanze quelli solo forniti di accurata critica, di sana ragione, conoscitori delle vere e necessarie norme, e quello ch’è più della greca favella, potranno giudicare del merito di lui. È certo però ch’egli per lo primo imprese il genere di poesia più lungo, più sublime, più elevato, e più malagevole; e tutti coloro, che dopo lui tentarono battere quel medesimo sentiero, seguirono le tracce dell’immortale e venerabile Omero.








IN VERONA


dalla tipografia eredi moroni


1823.


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