< Antonio Rosmini
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Capitolo XXXVI
XXXV XXXVII


Aveva il Rosmini una sorella unica, Margherita, fanciulla d’ingegno raro e di delicato sentire e ornata di lettere, maestra a lui di tedesco, e dagli esempi e conforti di lui fatta più ardente a virtù; alla quale sorella egli intitolò nel 1823 il libro dell’Educazione cristiana composto secondo lo spirito, e, anche la forma, de’ libri de’ Padri. Quand’Ella vincendo le preghiere della madre addolorata, deliberò di seguire come figliuola la marchesa di Canossa tra le Suore della Carità, il fratello consentì lietamente. S’egli era altr’uomo, non lasciava che uscisse di casa sua non dico quel centinaio di mila lire che Margherita portava seco, ma la preziosa compagna delle sue opere generose. E umanamente pareva che ambedue con la ricchezza e la bontà e l’ingegno e l’autorità del casato insieme congiunti, potessero meglio fondare una casa e operare il bene non uscendo di patria, dove molti i benevoli e riverenti, minori i dispendi e gl’impedimenti, e più cospicua la singolarità della cosa. Ma egli che in altri rispetti ritraeva di que’ due grandi Italiani Benedetto e Francesco, non si sognò d’imitarli in voler avere una Scolastica o una Chiara; nè allora pensava a fare da sè con tutto che la Canossa da più anni ve lo stimolasse. Margherita dunque esiliò sè dalla casa paterna, e andò a pregare e a morire in Verona, di dov’erano i suoi maggiori, de’ quali s’ha memoria fin dal dugento, nel quattrocento tramutatisi e Brescia, Conti del romano impero, magistrati e militi non senza nome. E chi nel suono e nel senso de’ nomi, così come nella forma della scrittura e ne’ segni della persona, rinviene vestigi di storia e testimonianze dell’animo (di che e l’esperienza e la scienza e l’autorità della Bibbia e de’ poeti e l’istinto de’ popoli ci fanno avvertiti); riconoscerà in questo nome Rosmini un’imagine di natura, imagine viva e umile, fragrante e pia[1], semplice ed elegante.

Ma il volontario destino di questa figliuola di gentiluomini, non spiacente della persona, vivace ed accorta, che poteva sperar nel mondo per altro che per le ricchezze sue luogo onorevole e allegro, e si reca ad onore lasciare il mondo senza disgusti che n’abbia patiti, con cuore tranquillo e con fronte serena; è una delle prove fra tante, che la vita religiosa è a certe anime, e non delle men alte, bisogno. Chiamatelo pregiudizio, monomania, eccentricità, e con qualche altro nome medico o barbarico più vi piaccia ad esprimere la vostra filosofia e la filantropia: in nome della libertà voi dovete rispettare anco queste eccezioni, che del resto non risicano di moltiplicarsi a danno della specie, se al Malthus crediamo, che piuttosto del contrario ha paura. Un altro esempio ce l’offre in Venezia Maria Marovich, di Dalmatica origine, come la famiglia di Marco Polo e parecchie illustri famiglie veneziane; fanciulla ricca e non disavvenente punto, e figliuola unica di genitori che piangono il suo tenace proposito, autrice di versi affettuosi e di prose corrette, valente di ricamo e di musica e di pittura, che per pietà della solitudine de’ suoi condiscende a vivere nella casa paterna, ma non sospira che al chiostro. E così di recente leggiamo della contessa Batthiany, uno de’ più illustri casati d’Ungheria, che, liberatasi di tutto il suo avere, raccoglie in un ospizio caritatevole di Suore, da lei fondato, la vedovanza sua, grave di tante memorie. E che questo bisogno sia un fatto dell’umana natura, e non della più depravata, lo dice in versi divini quella eletta anima di Virgilio che consacra alla Dea cacciatrice (ideale che tutti confesseranno, spero, men alto di quel di Maria) la sua Vergine, decoro d’Italia:

Multae illam frustra Tyrrhena per oppida matres
Optavere nurum: sola contenta Diana
Æternum telorum et virginitatis amorem
Intemerata colit.

Note

  1. HOR. Te nihil attinet — Tentare multa caede videntium — Parvos coronantem marino — Rore Deos...
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