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(Commento di Jacopo Della Lana) (XIV secolo)
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IX.
In questo nono capitolo intende l’autore circa la fine toccare alcuna cosa delli eresiarchi; cioè di quelli ch’ènno arche d’eresia[1] cioè eretici, li quali deviano dalla dritta e salutifera fede, ed hanno oppinione falsa. E pone prima una questione come apparirae. Circa lo qual trattato, per allegoria mette tre furie infernali, le quali portano pene da serpenti e bestie venenose, che come l’eresia e li eretici è venenosa e corrompente cosa, così a simile li eretici sono puniti e flagellati dalli serpenti venenosi in arche dentro dalla città accese di fuoco. Poscia introduce una favola poetica d’una Medusa, la quale per un fallo che commise facea tramutare in pietra chi la vedea sicome nella esposizion del testo apparirà. E questa per allegoria hae a significare che la eresia fa diventare l’uomo pietra, perchè lo eretico vuole più credere alle sensualitadi ch’ènno indicii e prove corporee, che alla sacra Scrittura che è per revelazione avuta da Spirito santo, e dalla persona di Cristo nelli Evangelii e dalla bocca de’ santi per Spirito santo in le altre scritture autentiche; e però che rifiutare le spirituali ed eleg-g-ere le corporali ragioni è da divinire statue. Però la predetta favola aduce per allegoria. Poscia a continuaziome del suo poema recita la venuta del Figliuolo di Dio, lo quale robustamente fece aprire le porti che per li nemici erano serrate: e questo a mostrare che l’uomo senza la grazia di Dio non può contra quelli.
Ed infine mostra e dice la condizione di quelli che sono nel primo circolo di dentro della città, la quale è a l’ordine dello inferno lo sesto, li quali sono puniti da serpenti infiammati di fuoco. Or è da sapere che tutta la fede Cristiana sta circa la divinitade e umanitade di Cristo; e questi sono articoli della fede: onde Cristo parlando disse: creditis in Deum, et in me credite. Circa la qual divinità ed umanità è li articoli della fede, li quali sono sei alla divinità, e sei alla umanità; e chi contradice a quelli è eretico e vestito di eresia, cioè di falsitade. E perchè alcuno frutto si possa trarre di questa comune ragione d’articoli, diremo come li pone fra Tommaso d’Aquino e li errori per alcune genti, circa quelli avuti: ed è autorità della Scrittura santa a rimuover quelli.
Lo primo articolo è a credere la essenzia divina essere una, sicome è in Deuteronomio VI. audi Israel: dominus Deus tuus unus est. Contra lo quale articolo furon più errori per alcuni passati. [p. 196 modifica]Lo primo è d’alcuni gentili o pagani, li quali poneano essere più Dei: contra lo quale errore è la Scrittura santa in Esodo XX: non habebis deos alienos etc. Lo secondo errore è quello de’Manichei, li quali poneano essere due principii, cioè due Dei, de’ quali l’uno era lo creatore di tutto lo male, l’altro era creatore di tutto bene. E la ragione che a ciò li conducea è in uno detto in la Scrittura santa che lo Ecclesiastico capitolo XLII, dice: omnia duplicia unum contra unum. E concludeno: se ogni cosa è doppia, dunqua sono due Dei cioè due principi, due regni etc. Solvesi questo detto in lo Ecclesiastico: intende ad ogni cosa universale o non universale, cioè che si può intendere la creazione doppia, o universale, o particolare, a qual voglia di questo non è necesso ma uno creatore. Ancora in lo medesimo Ecclesiastico è scritto, capitolo XIIL contra malum bonum, contra mortem vita, contira virum iustum pcccator. E: sic intuere in omnia opera altissimi. Elli non dice altissimorum; si che intese solo uno creatore. E in Isaia XLV: ego dominus et non est alter formans lucens et creans tenebras, faciens pacem, et creans malum: ego dominus faciens omnia etc. Apostolus ad Romanos IX: igitur cui vult miseretur: dicesi Dio crear male perchè elli, secondo la giustizia, dà al peccatore per pena, male.
Lo terzo errore è quello delli Antropomorfi, li quali poneano bene uno solo Dio, ma diceano ch’era corporeo e al modo umano formato. Contra lo qual errore è san Giovanni in lo Evangelio, capitolo IIII, là dove dice: Spiritus est Deus.
Lo quarto errore è delli Epicurii, li quali l’autore punisce in lo seguente capitolo; li quali diceano che Dio non avea scienzia nè previdenza delle cose umane. Contro lo quale errore dice san Piero nella prima epistola, capitolo ultimo: omnem sollicitudinem vestram projicientes in eum quem ipsi cura est de nobis etc.
Lo quinto errore è d’alcuni filosofi gentili, li quali diceano che Dio non era onnipotente, ma potea solo quello ch’era ragionevile in l’ordine della natura. Contra lo quale errore è lo psalmo: omnia quæcumque voluit fecit etc. Ancora in simbolo: patrem omnipotentem.
Lo secondo articolo è a credere tre persone in una essenzia, siccome scrive san Giovanni in la prima epistola, capitolo ultimo:tres sunt qui testimonium dant in cœlo: Pater, Filius et Sptritns Sanctus, et hii tres unum sunt. Contra lo quale articolo fauno più errori.
Lo primo errore fu d’uno Sabellio, lo quale tenne che fusse una essenzia, ma negava la trinità in le persone dicendo che quella essenzia alcuna volta[2] fu Padre, alcuna volta fu Figliuolo, alcuna volta fu Spirito santo.
Lo secondo errore fu quel d’Arrio, lo quale tenne che fosseno tre persone, ma negò la unità in essenzia: ch’elli dicea lo Figliuolo essere d’altra substanzia che ’l Padre, e puoselo creatura e minor che ’l Padre, non coeguale né coeterno, con ciò sia ch’elli cominciò ad essere dopo lo padre. Contra li quali due errori è lo Evangelio [p. 197 modifica]di san Giovanni, capitolo IIII, che dice: ego et pater unus sumus. E perciò dice santo Augustino: qui dicit unum, liberat te ab Arrio; qui dicit sumus plus, liberat te a Sabellio.
Lo terzo errore fu quello di...[3] lo qual puose figliuolo al padre: centra al qual errore l’Apostolo ad Colossenses primo: qui est imago invisibilis Dei.
Lo quarto errore è quello ch’haveano quelli di Macedonia, li quali puoseno lo Spirito santo essere creatura; contra lo qual errore è l’Apostolo ad Corintios tertio: Deus autem spiritus est. Lo quinto errore è quello ch’hanno li greci; li quali tengono che lo Spirito santo procede solo dal Padre e non dal Figliuolo: contra lo quale errore è san Giovanni in lo Evangelio XIIII: Paraclitus autem Spiritus sanctus, quem emittet pater in nomine meo, quia si eum mittet pater tamquam spiritus filii et a filio procedentem. E Johannis XVI, dicit: ille me clarificabit quia de meo accipiet. [4]Centra li quali errori si dice in lo Simbolo: Credo in Deum patrem omnipotentem et in Filium eius genitum non factum consubstantialem Patri, et in Spiritum sanctum dominum et vivificantem, qui ex Patre filioque procedit.
Lo terze articolo si è a creder Dio creatore di tutto, si come è scritte in lo Genesis: dixit et facta sunt etc. Centra lo quale articolo fu Democrito ed Epicuro, li quali puosono lo mondo non esser create da Dio, ma composto di atomi, cioè di corpi indivisibili, e fatto a casu, cioè senza proposito e intenzione. Centra lo quale è scritto in lo psalmo: verbo domini cœli firmati sunt.
Lo secondo errore fu quello di Platone e d’Anassagora, li quali posero lo mondo non essere fatto da Dioo, ma da materia prejacente, cioè ch’era inanzi. Centra lo quale errore è lo psalmo: mandavit et creata sunt; idest ex nihilo facta.
Lo terzo errore è quel del Filosofo, § Phisicorum, che tenne bene che Dio fé’ lo mondo, ma fèlle ab eterno. Centra le quale è lo principio del Genesis: iti principio creavit Deus cœlum et terram. Lo quarte errore è quello de’Manichei, li quali puoseno Dio creatore delle invisibili creature, ma le visibili pur fece. Contra le qual dice l’Apostolo ad Corinthios: fide intelligimus aptata esse saecula verbo dei ut ex invisibilibus visibilia fierunt.
Lo quinto errore fu quello di Simon mago e di Menandro, e de’ suoi seguaci e discepoli, li quali tenneno che la creazion del mondo non fusse da Dio, ma da li suoi angeli. Contra lo quale errore è l’Apostolo in Actibus XVII: Deus qui fiecit mundum et omnia quæ in mundo sunt etc.
Lo sesto errore è di quelli che diceano che Dio non governava lo mondo per sè solo, ma per alcune parti a lui subiette sicome per li cieli. Contra lo quale errore è Iob. XXXIV quem constituit alium super terram? autem qui posuit super orbem quem fabricatus est? E contra tutti questi errori del terzo articolo è scritto nel ssimbolo: factorem cœli et terrǣ visibilium omnium et invisibilium. [p. 198 modifica]Lo quarto articolo si pertene allo effetto della grazia, per la qual noi semo diversificati da Dio, sicome dice l’Apostolo ad Romanos tertio: Justificati gratia ipsius spiritus Dei. E sotto questo articolo si comprendono tutti li sacramenti della Chiesa, e tutte quelle cose che appartengono alla unitade della Chiesa, e alli doni dello Spirito santo [5]. Circa lo qual articolo fue in prima uno errore che tennero li Gentili e li Nazarei, li quali diceano che la grazia di Cristo non era sufficiente alla salvazione umana senza alcuna circumcisione e altri mandati di legge observare. Contra lo quale dice l’Apostolo ad Romanos III: arbitramur iustificari hominem pro fide sine operìbus lergis.
Lo secondo errore è de’ Donatisti, li quali puoseno la grazia di Cristo esser solo in quella parte del mondo ch’è appellato Affrica, e tutte l’altre parti del mondo dannavano. E in questo negavano la unità della Chiesa di Dio. Contra lo quale errore è l’Apostolo ad Colossensens : in Cristo Jhesu non est gentilis et judeus, circumcisio et preputium, Barbarus et Scytha, servus et liber, sed omnia et omnibus Christus etc.
Lo terzo errore fu delli Pelagii, li quali errono in prima tenendo che ’l peccato originale d’Adam e d’Eva non era in li fanticini. Contra lo quale errore dice l’Apostolo ad Romanos V: per unum hominem peccatum in mundum intravit: ed in lo psalmo: in peccatis concepit me mater mea. Ancora errono che tenneno che ’l principio delle umane opere fosse più dall’uomo solo, ma lo conservare in quelle fosse da Dio. Contra lo quale errore dice l’Apostolo ad Phlippenses II: Deus qui operatur in nobis velle etc. Ancora errono che diceano la grazia da Dio alli uomini secondo li suoi meriti. Contra lo quale è l’Apostolo ad Romanos XI : si autem gratia iam non ex operibus, alioquin gratia non esset gratia.
Lo quarto errore fu quello d’Origenes, lo quale pose tutte le anime insieme essere create con li angeli e per la diversitade di quelle, alcune chiamate per grazia alla fede, e alcune abandonate in la infedelitade. Contro la quale è l’Apostolo ad Romanos: cum vero damnati essent aut aliquid boni vel mali egissent, dictum est quod maior serviet minori.
Lo quinto errore fu de’ Cataristi[6] ciò funno un Montano e una Prisca e una Massilla, li quali diceano che li profeti erravano quasi insanniti e non profetizzando per Spirito santo. Contra li quali dice san Piero in la seconda epistola: non enim voluntate umana aliata est aliquando prophetia: sed spiritu Saucto inspirati locuti sunt etc.
Lo sesto errore fu de’ Cerdoni[7], li quali disseno Dio non esser giusto, e per consequens la sua legge e mandati non esser giusti. Contra lo quale errore è lo Apostolo ad Romanos VII: lex quidem sancta et mandatum sanctum et iustum et bonum. Ancora ad Roma [p. 199 modifica]nos, capitolo I, dice: quod ante promiserat per prophetas suos in scripturis sanctis de filio suo.
Lo settimo errore fu d’alcuni, li quali puoseno e tenneno ch’alcune cose elle sono a perfezion di vita, fusseno di necessitade alla salute. Dentro li quali furono alcuni, che per arroganza si appellavano Apostoli, e diceano che nessuna speranza puote avere di salvarsi colui ch’era in matrimonio e possedea alcuna cosa propria. Altri tra loro erano che diceano ch’usar cibo di carne era tutto da schifare. Altri tra loro erano che teneano che la promission dello Spirito santo non fu in li Apostoli compita, ma era bene in loro. Contro lo quale è scritto in li Atti delli Apostoli, capitolo 2, Eutichiani dicunt homines[8] non posse salvar i nisi continuo orentet propter illud quod dicit dominus, Lucas XVIII: oportet semper orare e non deficere; lo qual detto è da tòrre, secondo santo Angustino che nessun die non passi che non si ori, o facciansi ovre conseguenti all’orazioni. Alcuni v’erano che diceano che nessun non si salvava se non andava sempre a piedi nudi. Contra li quali dice l’Apostolo ad Corintios I, 10; omnia tunc licent sed non omnia expedient. Per le quali cose s’intende che avvegna che li santi facciano una cosa, sicome aviene per espedizione, elli non è perciò che l’opposito sia illicito: sicome se i santi andavano per espedizione scalzi, l’opposito, che è andar calzati, non è però illicito.
L’ottavo errore fu quello di Joviniano, lo qual dicea che le ovre della perfezione non erano d’andare inanzi a quelle ch’erano comuni all’orazione de’ fedeli: sicom’elli ponea che lo stato della virginitade non era da preponere allo stato del matrimonio. Contra lo quale errore è l’Apostolo ad Corintios I. 7; qui matrimonio jungit filiam suam, bene facit; qui non jungit, melius facit. E similemente Vinilanzio, lo quale fece eguale lo stato della ricchezza a quel della povertade tolta per amor di Cristo. Contra lo quale è lo Evangelio di san Matteo XV: si vis perfectum esse, vade et vende omnia quæ habes.
Lo nono errore è quello di quelli che negonno lo libero arbitrio, li quali diceano che le anime di mala creazione non poteano peccare. Contra lo quale è la epistola di san Giovanni, 2: hoc scribo vobis ut non peccetis.
Lo decimo errore è delli Presidiani e delli Matematici, li quali subiugano li uomini al fato ed eziandio alle constellazioni in tal modo che tutte le sue opere sono per movimenti di stelle. Contra lo quale errore è Geremias X, lo qual dice: a signis cœli nolite timere etc.
Lo undecimo errore è di quelli che diceano che li uomini, ch’hanno la grazia di Dio e la caritade, non puonno peccare, per la quale cosa si segue che quelli che peccano o che hanno peccato, mai non ebbeno caritade. Contra li quali è l’Apocalissi II: charitatem tuam pristinam reliquisti; memor esto unde excideris etc.
Lo duodecimo errore è di quelli che diceno che quelle cose che sono universalmente per la Chiesa instituite e ordinate, non sono [p. 200 modifica]da osservare; sicome dicono li Arriani che diceno che li statuti e li digiuni non sono solennemente da osservare, ma chi vuole li celebri; avegna ch’ elli non si contegna sotto la legge. Contra lo quale errore è lo Simbolo degli apostoli:sanctam ecclesiam catholicam sanctorum etc.; e in lo Simbolo dei santi padri: qui locutus est per prophetas, et unum sanctam ecclesiam etc.
Lo quinto articolo è della resurrezione de’ morti al die del giudizio, della quale dice l’Apostolo ad Corintios I, 15: omnes quidem Resurgemus.
Al quale articolo per l’eresìa sono apposti molti errori.
Lo primo errore fu quello di Valentino, che negò la resurrezione della carne, e funno assai che lo seguinno. Contra lo quale errore dice l’Apostolo ad Corintios1, 15: si Christus præicatur quod resurrexit a mortuis, qnomodo quidam dicunt in vobis quoniam resurrectio mortuorum non est?
Lo secondo errore fu quello di Merico e di Fileto. Contra li quali fu l’Apostolo: quod a veritate excidermit dicentes resurrectionem iam factan vel quia non credebant alios resurrecturos nisi illos qui cum Christo resurrexerunt.
Lo terzo errore è di quelli che diceno che la resurrezione nostra non sarà apunto con li corpi ch’hanno avuti in lo mondo, ma torneranno[9]l’anime alcuni corpi celesti. Contra li quali dice l’Apostolo ad Corintios XV: corruptibile hoc indtiet incorruptionem, et mortale hoc induet immortalitatem.
Lo quarto errore è quello di Vetizio patriarca di Costantinopoli, lo qual puose che i corpi nostri in la resurrezione nostra saranno d’aire over di vento. Contro lo quale errore è che dopo la resurrezione di Cristo, egli disse e commise ai discepoli che ’l palesasseno sicome è scritto in lo Evangelio di santo Luca, capitolo ultimo: palpate et videte.
Lo quinto errore è di quelli che disseno che ’l corpo umano in la resurrezione tornerà[10] in spirito. Contra lo quale errore è santo Luca in lo Evangelio, capitolo ultimo: spiritus carnem et ossa non habet, sicut me videtis habere.
Lo sesto errore è d’un Geraca[11], lo qual tenne che mille anni dopo la resurrezione in lo regno terreno sarebbe voluntadi e diletti carnali. Contra lo quale errore è san Matteo, capitolo XXII: in resurrectione neque nubent neque nubentur. Altri funno che tenneno e disseno che dopo la resurrezione lo mondo sarebbe in quel medesimo stato ch’elli è oggi. Contra lo quale è l’Apocalissi XXI: vidi cœlum novum et terram novam. E l’Apostolo dice, ad Romanos VIII: creatura liberabitur a servitute corruptionis in libertatem glona; Filiorum dei. Contra questi errori è lo simbolo che dice: carnis resurrectionem. Ed in altro simbolo de’ padri expecto resurrectionem mortuorum. [p. 201 modifica]Lo sesto articolo è della remunerazione della gloria e della pena all’altro mondo, sicome è scritto nel psalmo: tu reddes unicuique iuxta opera sua. Al quale fanno per eresia apposti molti errori.
Lo primo è di quelli che disseno che l’anima si moria col corpo, sicome puoseno li arabi ed eziandìo Zeno filosofo, sicome si recita nel libro De ecclesiasticis sacramentis; contra il quale errore si ha nell’Apostolo ad Philippenses I: desiderium hominis dissolvi, et esse cum Christo. E l’Apocalissi VI: vidi sub altare dei animas interfectorum propter verbum dei.
Lo secondo errore è quello d’Origenes, lo qual puose li uomini e li demonii dannati potersi salvare, e per opposito li angeli buoni e li santi ancor poter peccare e perdersi. Contra lo qual errore è Matteo XXV: ibunt hi in supplitium æternum, iusti autem in vitam eternam.
Lo terzo errore è d’alcuni che tenneno che ogni pena e ogni gloria dopo la resurrezione sarà eguale. Contra lo quale errore è l’Apostolo ad Corintios XV; stella a stella differt in claritate: sic et resurrectio mortuorum.
Lo quarto errore è di quelli che tenneno che l’anima de’ peccacatori dannati non adesso andasse all’inferno, e cosi l’anime de’santi non andare adesso in paradiso, ma aspettare lo dì del giudizio. Contra lo quale dice santo Luca XVI : qui mortuus est dives et sepultus est in inferno.
Lo quinto errore è d’alcuni che tennono non essere purgatorio all’anime dopo la sua morte. Contra lo quale è l’Apostolo ad Corintios III: si quis superadificat super fundamentum, — (scilicet Fidei per dilectionem operantis) — lignum, fœnum, stipulam: ...., si cuius opus arserit detrimentum patietur; ipse tamen salvus erit; sic tamen quasi per ignem. E contra questi errori è in lo Simbolo: vitam futuri sæculi; e in altro simbolo: vitam venturi sæculi etc. Poscia che è connumerati li articoli circa la divinità, ora è a continuare, secondo lo predetto autore[12] san Tomaso d’Aquino, li articoli circa la umanitate di Cristo, e alcuni errori avuti in quella, e le autorità della santa Scrittura contra quelli errori.
Lo primo articolo è della concezione di Cristo e nativitade, sicome è scritto in Isaia: ecce Virgo concipiet et pariet filium et vocabitur nomen eius Emanuel. Contra lo quale articolo funno più errori.
Lo primo errore fue d’alcuni che disseno che Cristo fu omo puro, e che non fu sempre, ma cominciò essere de santa Maria: e in questo errore fu Marco Crato Cerizio fiorentino, e molti altri. Contra lo quale dice l’Apostolo ad Romanos IX: ex quibus Christus secundum carnem super omnia deus benedictns, amen.
Lo secondo errore fue de’Manichei, che disseno che Cristo non ebbe vero corpo ma fantastico. Contra lo quale è Luca, ultimo: reprehendit errorem discipulorum etc.; Matteo XIIII: videntes eum [p. 202 modifica]discipuli supra mare ambulantem etc. Dominus dicens: habete fiduciam, ego sum, nolite temere.
Lo terzo errore fue di Valentino lo quale tenne che Cristo tollesse lo corpo dal cielo, e nulla ricevesse dalla vergine Maria, ma passasse per essa sicome lo fiato per la fistola, overo cannella. Contra lo quale è l’Apostolo ad Galatas che dice: misit Deus flium suum factum ex muliere.
Lo quarto errore fue di Apollinario, lo qual disse che alcuna cosa del Verbo era converso in carne, over transmutato, togliendo per autorità san Joanni: et verbum caro factum est; ed intese che lo Verbo si convertissi in carne. Contra lo quale errore è san Joanni quando dice: et abitavit in nobis, perchè elli non sarebbe interamente abitato in la nostra natura se ’l fosse lo Verbo converso in carne; siche è da intendere: verbum caro factum est, cioè verbum factum est homo.
Lo quinto errore fu quello d’Arrio, lo qual tenne che Cristo non ebbe anima umana, ma lo Verbo fosse in luogo dell’anima. Contra lo quale è san Joanni X: nemo tollit animam eam a me, sed ego fono eam, et iterum sumo eam[13].
Lo sesto errore fu quello di Pollinario, lo qual puose che Cristo ebbe bene anima umana, ma non intelletto umano e disse che ’l Verbo era in luogo dell’intelletto. Contra lo quale errore è lo evangelio di san Giovanni VIII: queritis me interficere, hominem, qui vera locutus sum vobis. Nessuno potrebbe essere uomo s’ello non avesse anima razionale.
Lo settimo errore fu quello di Urizio, lo quale puose in Cristo una natura composta di divinitade e di umanitade. Contra lo quale è l’Apostolo ad Philippenses II: manifeste distinguens in eo duas naturas divinam et humanam, quando dicit cum informa dei esset, formam servi assumpsit etc.
L’ottavo errore fu quello de’ Monotelli, li quali puosseno in Cristo solo una voluntade[14]. Contra lo quale errore è san Matteo XXVI: non sicut ego volo, sed sicut tu.
Lo nono errore fu quello di Nestorio, lo qual tenne che in la persona di Cristo non fosse fatta unione di Dio e di Uomo, negava la beata vergine Maria essere madre del Figliuol di Dio. Contra lo quale è santo Luca I: quod enim ex te naiscetur sanctu vocabitur Filius dei.
Lo decimo errore fu quello di Carpocrato, lo qual tenne che Cristo non nascesse di Spirito santo e della vergine Maria. Contra lo qual errore è san Matteo II: antequam convenirent inventa est in utero habens de Spirito sancto.
Lo undecimo errore fu quello di Guido, lo qual dicea che dopo che la vergine Maria partorì lo Figliuol di Dio, ell’ebbe più figliuoli di Josef. Contra lo qual pessimo errore si è Ezechiel XLIV: porta hæc clausa est et non aperietur, et vir non transibit per eam, [p. 203 modifica]quoniam dominus deus ingressus est per eam. E universalmente contra questi errori è scritto in Simbolo: conceptus est de Spiritu sancto, natus ex Maria virgine; ed in altro simbolo: incarnatus est de Spiritu sancto ex Maria virgine et homo factus est.
Lo secondo articolo è circa la passion di Cristo; in lo quale articolo funno più errori. Lo primo errore fu de’Manichei, li quali tenneno che ’l corpo di Cristo fosse fantasma, com’è detto e reputato, e così la passion sua fu fantastica. Contra lo quale errore è Isaia LIII: vere languores nostros ipse tulit , ec. et tamquam ovis ad occasionem ductus.
Lo secondo errore fu quello di Galiano, lo qual puose in Cristo solo una natura e incorruttibile ed immortale. Contra lo qual errore è san Piero in la epistola III: Christus semel per peccatis nostris risortus est. Ancora in Simbolo: crucifixus, mortuus et sepultus.
Lo terzo articolo è circa la risurrezione di Cristo, sicome dice san Matteo XXX: tertia die resurrexit. In questo articolo errò in prima Corneto , lo quale dicea che Cristo non surresse. Contra lo quale errore è l’ Apostolo ad Corintios XV: resurrexit tertia die.
Lo secondo errore è quello che è apposto ad Origenes, lo qual dicea che ancora riceverebbe morte per salvare li uomini. Contra lo quale errore è l’ Apostolo ad Romanos VI: resurgens a mortuis iam non moritur.
Lo quarto articolo è del discendimento di Cristo allo inferno, del quale dice l’Apostolo ad Ephesios IV: descendit ad inferiores partes terræ. Ed in simbolo: descendit ad inferos.
Lo quinto articolo è de l’ascensione di Cristo al cielo, lo quale articolo funno alcuni che ’l negano. Contro li quali è san Joanni XX: ascendo ad patrem meunm etc. Ancora fu uno Silenziano, lo qual negava Cristo in carne sedere al destro del Padre in cielo. Contra lo quale errore è san Matteo, ultimo capitolo: Jesus postquarm locutus est eis, assumptus est in cœlum et sedet ad dexteram Patris[15]. E però dice lo Simbolo: ascendit in cœlum sedens ad dexteram Patris.
Lo sesto articolo è dello avvenimento al giudizio: sicome dice san Matteo XXV: cum veneri filius hominis in maiestate sua etc, Contra lo quale articolo sono quelli di chi dice san Piero in la epistola III: venient in novissimis. Contra li quali dice Job XVIII: fugite a facie gladii quum ultor iniquitatis etc. Ed in simbolo, dice: inde venturus est iudicare vivos et mortuos.
Or tutte le sopradette oppinioni inique enno avute per alcuni eretici circa li articoli della fede, ed anche ne funno circa li sacramenti della Chiesa; ma perchè sarebbe troppo prolisso a trattare di quelli, sì lassaremo stare: ma chi ne vuole avere scienzia, trovi un trattato, che fece san Tommaso d’Acquino, delli articoli della fede e delli sacramenti della Chiesa, là dove apertamente tratta li errori. Circa quelli ell’è persuasione d’essi per la scrittura santa; e ancora un volume che compuose fra Moneta de’frati predicatori [p. 204 modifica]là dove diffosamente ne tratta.[16] E però, com’è ditto, che le eresie sono corrumpenti cose, si è da schifarle ed in nullo modo attendere ad esse; lo qual schifare si è usare in le predicazioni pubbliche, ed usare colli savi autenticati religiosi[17]come sono i predicatori, minori, eremitani, ed altri che per la Chiesa romana sono autenticati, e lassare certi romiti e frati di penitenza, in li quali può essere molto dubbio per le sue secrete e gelate predicazioni e riformazioni, sicome pone l’autore che avenne a uno papa, lo qual credette a uno eretico, ch’ebbe nome Fotino, come appare in lo testo, XI capitolo. Poscia ch’è ditta la intenzione di questo nono capitolo, a perfezione è ad esponere lo testo sì come promesso fu nel principio.
Quel color che viltà di fuor mi pinse,
Veggenndo il duca mio tornare in volta,
Più tosto dentro il suo nuovo ristrinse.
Attento si fermò coni’ uom che ascolta;
Che l’occhio noi potea menare a lunga
Per l’aer nero e per la nebbia folta.5
Pure a noi converrà vincer la punga,
Cominciò el: se non... tal ne s’offerse.
Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga?
V. 1. Dice che Virgilio accorgendosi della paura ch’avea Dante a lui sovravvenuta per viltà, si restrinse lo suo nuovo colore, cioè che Virgilio per ira della porta che a lui era vietata, si arrossì; e tornato quasi scornato, era tutto stemperato; e questo fece per non sconfortare Dante del buono e stabile proposito. E soggiunge ch’elli, cioè Virgilio, si mise in ascolto, aspettando messo dal cielo,
il quale li fèsse una cotal pugna, perchè veder non si potea da lungi per la folta nebbia e per la oscurità dell’aire ch’era lìe. Ed ascoltando, cosi recita Dante che Virgilio dicea fra sé stesso: pur noi vinceremo la pugna, avegna che tal ne s’offerse; e non
Io vidi ben sì com’ei ricoperse 10
Lo cominciar con l’altro che poi venne,
Che fur parole alle prime diverse.
Ma non dimen paura il suo dir dienne,
Perch’io traeva la parola tronca
Forse a peggior sentenzia ch’ei non tenne. 15
In questo fondo della trista conca
Discende mai alcun del primo grado,
Che sol per pena ha la speranza cionca?
Questa question fec’io; e quei: Di rado
Incontra, mi rispose che di noi 20
Faccia il cammino alcun per quale io vado.
Ver’è che altra fiata quaggiù fui
Congiurato da quella Eriton cruda,
Che richiamava l’ombre a’corpi sui.
Di poco era di me la carne nuda, 25
Ch’ella mi fece entrar dentro a quel muro,
Per trarne un spirto del cerchio di Giuda.
Quell’ è il più basso loco e il più oscuro,
E il più lontan dal ciel che tutto gira:
Ben so il camin: però ti fa securo. 30
Questa palude, che il gran puzzo spira,
Cinge d’intorno la città dolente,
disse più oltre. Le quali parole così mozze miseno a Dante dubbio.
Vero è che adesso Virgilio scoprì così dubbioso parlare, e disse: oh quanto tarda a me etc.; quasi a dire: elli pur ne viene soccorso.
V. 10. Parla qui Dante faciendo una tal comparazione, che sicome il color che acquistò Virgilio per ira elli lo ricoperse stringendolo entro, così similemente lo parlare che fe’ prima dubbioso ello ricoperse, mostrando ch’aspettava l’aiuto. E però dice che l’ultime parole fanno dalle prime diverse.
16. Qui fa una questione Dante a Virgilio, s’alcuna di quelle anime che sono in lo primo giro là dove è Virgilio, discese mai in questo sesto giro là dove elli erano; e questo per introdurre una favola poetica la qual pone Lucano, che dice che al tempo, over poco dopo che Virgilio fu morto, una Eritto incantatrice, che facea tornare li animi alli corpi, sì lo scongiurò, cioè Virgilio, e fecelo tornare al corpo e andare dentro alla città di Dite, e tòrre una anima dell’infimo circolo, cioè del circolo dov’è Juda. E questa è una allegorìa che Virgilio trattò di quelli luoghi nel suo volume, e che raro di loro faceano quel cammino: quasi a dire che raro poetando si trattava di tal materia; e sicome appar nel testo quel circolo è lo più lontano e il più remoto che sia dal cielo e che possa essere. Soggiungendo per confortarlo come sapeva bene lo cammino di quella puzzolenta palude.
[p. 206 modifica] U’ non potemo entrare omai senz’ira.
Ed altro disse, ma non l’ho a mente;
Perocché l'occhio m’avea tutto tratto 35
Ver l'alta torre alla cima rovente,
Ove in un punto furon dritte ratto
Tre furie infernal di sangue tinte,
Che membra femminili avìeno, ed atto;
E con idre verdissime eran cinte: 40
Serpenti di ceraste avean per crine,[18]
Onde le fiere tempie eran avvinte.
E quei, che ben conobbe le meschine
Della regina dell’eterno pianto:
Guarda, mi disse, le feroci Erine. 45
Questa è Megera dal sinistro canto:
Quella, che piange dal destro, è Aletto:
Tesifone è nel mezzo: e tacque a tanto.
Coll' unghie si fendea ciascuna il petto;
Batteansi a palme, e gridavan sì alto, 50
Ch’io mi strinsi al poeta per sospetto.
Venga Medusa: sì il farem di smalto,
- ↑ v. la prefazione per l'ercsiarche.
- ↑ Il Ricc ha fiada; ma per la sua finali; è chiaro ch’è copia da veneto.
- ↑ Manca l’eretico: il Cod. L. IX, 121, ha un nome che sembra Viviano.
- ↑ Questo, e molti altri passi sono confusioni di testi e di luoghi, mi aiutò il Cod. Di-Bagno.
- ↑ Corretto con R., L. XC 115 e col Di-Bagno, che diedero due linee che di netto mancavano.
- ↑ Vind e L. X. 115: Cartafachi. L. X, 121: e R. Cartastichi e Cantastichi.
- ↑ Veramente è scritto Cendoni, e in Di-Bagno Zendoni ; ma è facile intendere l’error del copista.
- ↑ Qui erra la citazione, e il teso con vocabolo non chiaro punto.
- ↑ Nota questo torneranno per diventeranno.
- ↑ Nuovamente tornare per diventare
- ↑ II R. ha Gerico, la Vind. Genrico. É manifesfamenle Geraca o Gerace;
- ↑ Fra Tomaso ec. R. e Laur. XC, 121, mentre il XI, 115, e XL, I han santo, ec; e a questo modo differenze per tutto il Commento.
- ↑ Dice il testo Job. X: pono eam a me ipso, et potestatem habeo ponendi eam, el potestatem habeo iterum sumendi eam. Ma l’autore spesso raccoglie.
- ↑ Vuol dire: eretici Monnteliti, setta uscita dal nestorianismo.
- ↑ A dextris dei R. È da notare poi qui avanti quei frati della penitenza che sono una vera antichità anche rispetto al commento.
- ↑ La citazione di questo autore qui chiarisce l’antichità sua non bene affermata dall’opera dei Quetìf ed Eebard. Per altro il periodo sebbene del tempo sembrami stato nota marginale entrata sin da prima nel testo.
- ↑ Il Codice L. XC, 115, finisce cosi, di Santa Chiesa Romana, e ogni altro credere lasciar stare. Tutto quello che segue qui è nel Codice Laur. XC, 121, e nella Vindelina: cosi l’un esemplare aiuta bene l’allro.
- ↑ V.41.La comune ha serpentelli e ceraste; il Cortonese, com’io accetto, che accorda col Lana.
V. 34. Segue suo poema, e dice come furono apresso della torre e che videno tre furie infernali le quali erano sanguinose ed eranoin forma di femmine. E dice ch'erano cinte con idre verdissime, cioè serpenti venenosi, e le lor crine erano ceraste, che è una specie di serpentelli, e da tali capelli erano adornate le lor tempie.
43. Cioè che Virgilio li disse quelle che erano, cioè Megera, Aletto e Tesifone. Questi funno tre sorori, le quali in sommo grado d’ira s’ebbono il mondo. E ponenli li poeti per allegoria, ma a significare la incontinenza, la qual corre troppo avaccio ad ira: la seconda significa malizia, la quale si drizza a ira: la terza significa la bestialitade, la quale significa quella pessima ira, la quale è in supremo grado, sicome qua inanzi in lo XI capitolo dichiarerà. E però che non entra anco l'autore in la città, ed è nel pantano delli iracondiosi, fa menzione di quelle furie; puniscele con serpenti a mostrare lo venenoso moto delli irati e la sua impia voluntade.
49. Qui distingue lo loro esercizio e movimento ch’era tutto avalorato d’ira, come appar nel testo.
52. Questa Medusa, secondo che ponon li poeti, fu una bella giovine delle parti d’occidente, la qual giacque con Nettuno dio del mare carnalmente in lo tempio di Pallas, overo Minerva, che è tutt’uno, la quale è appellata dea di scienzia. Saputo questo
[p. 207 modifica] Gridavan tutte riguardando in giuso:
Mal non vengiammo in Teseo l’assalto.
Volgiti indietro; e tien lo viso chiuso; 35
Che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi,
Nulla sarebbe del tornar mai suso.
Così disse il Maestro; ed egli stessi
Mi volse, e non si tenne alle mie mani,
Che con le sue ancor non mi chiudessi. 60
O voi, che avete gl’intelletti sani,
Mirate la dottrina che s’asconde
Sotto il velame degli versi strani.
E già venia su per le torbid’onde
Un fracasso d’un suon pien di spavanto, 65
Per cui tremavan amendue le sponde;
Non altrimenti fatto che d’un vento
Pallas e commossa per tale oltraggio ad ira, si li fe’ divenire li
suoi capilli serpenti, ed a dispetto di Nettuno li fe’ che qualunque la vedesse, diventasse pietra. In processo di tempo avenne che Perseo figliuolo di Juppiter e di Diana udito tal transmutazione, si mise in cuore di volerla vedere; e fèssi fare uno scudo di vetro e andò a questa Medusa; videla entro lo scudo. Questa per veder lui acciò che diventasse pietra, li andava atorno; e questi coprendosi quanto potea, e in fine non potendo più li tagliò con una spada la testa, e questa testa portò in sue contrade; la qual testa è appellata per li poeti Gorgon, perchè questa Medusa, anzi tal transmutazione, era appellata di Gorgona, e poi fu nell’inferno posta; lo qual Gorgon avea nell’inferno simile proprietà. Sichè dice che quelle furie gridavano: vegna Medusa, si ’l farem di smalto, cioè di pietra, dicendo l’una all’altra, giammai non ci vendicheremo dell’assalto che li fe’ Perseo[1] se noi non faremo costui diventar pietra, quasi a dire: Medusa sarà vendicata se si trasmuta costui in pietra.
V. 55. Qui mostra Dante poetizando lo salutifero consiglio, pronto e maturo di Virgilio dicendo come sotto tali versi è sentenzia affettiva; quasi a dire che chi si lascia a tali vizii vincere si disumana e diventa insensibile pietra.
64. Qui incomincia a narrare lo impetuoso movimento con lo quale venia l’angel dal cielo ad aprirli la porta. E dice ch’era si grande che ambe le sponde, cioè le rive di quel circolo, tremavano; esemplificando che sicome li impetuosi venti che schiantan li albori in le selve e vanno polverosi nel lor capo, cioè che levano inanzi a sé ogni rusco e polvere, e spaventan li animali de’ boschi e le fiere, ed anche li pastori che sono con lo bestiame, così facea anzi sè quel messo.
[p. 208 modifica]Impetuoso per gli avversi ardori,
Che fier la selva, e senza alcun rattento
Li rami schianta, abbatte, e porta fori:[2] 70
Dinanzi polveroso va superbo ,
E fa fuggir le fiere e li pastori.
Gli occhi mi sciolse, e disse: Or drizza il nerbo
Del viso su per quella schiuma antica
Per indi ove quel fummo è più acerbo. 75
Come le rane innanzi alla nimica
Biscia per l’acqua si dileguan tutte,
Fin che alla terra ciascuna s’abbica;
Vid’io più di mille anime distrutte
Fuggir così dinanzi ad un che al passo 80
Passava Stige colle piante asciutte.
Dal volto rimovea quell’aer grasso,
Menando la sinistra innanzi spesso;
E sol di quell’ angoscia parea lasso.
Ben m’accorsi ch’egli era del ciel messo , 85
E volsimi al Maestro : e quei fé’ segno,
- ↑ I Codici mss. e la Vindelina hanno Teseo.
- ↑ V. 76. La Vind. R., il Cassin., BU e parmig. I, 108, il Codice Cavriani e il DiBagno, e la Nidob. che la copia, han fuori. Il Landiano, il parmigiano 18, i tre
dell’Archiginnasio bolognese, i due in’eri dell’Università, i marciani LII e IX, 339, il Viv. quattro Patavini, l’edizione 1494 hanno come ho scritto fori. Witte seguendo la Crusca di cui é idolatra, e il Foscolo, mette fiori che non v’ha a fare. Qui è il turbine che schianta, abbatte e porta fuor della selva. Non è a dissimulare che verso ragionevole e beilo è quest’altro di un bel Cod. della Magliabecchiana: I rami schianta, abbatte fronde e fiori; ma non l’accetto perchè que’ fiori nella selva non so trovare.
V. 73. Poscia ch’è esemplificato secondo lo senso dello audito del movimento che facea il messo , mo esemplifica secondo lo senso del viso. E dice che poiché Virgilio gli sciolse li occhi , li quali elli chiuse con le sue mani perchè non vedesse ’l gorgone, disse: mira, cioè guarda, in quella parte là dove tu vedi più acerbo, cioè più scuro e folto lo fumo; quasi a dire: li è lo fatto. Questi guardando inverso quella parte, dice che vedea fuggire tutte l’anime alla riva di tal fiume; tutto a simile modo come fanno ranelle quando senteno o vedeno venire per l’ acqua la biscia la quale è lor nemica. E connumerale, che secondo ch’era sua vista, cioè corta per la folta nebbia, ne vide più di mille. Le quali anime fuggìano dinanzi ad uno messaggio, lo quale andava suso per quella acqua ch’ello apella Stige, com’è ditto, senza bagnarsi i piedi, quasi a dire che anima beata non lede pene infernali. 82. Chiaro appare nel testo come la giustizia divina è costante e non lassiva contra li peccatori ch’ènno permanuti in tutto nel peccato, e che mai non hanno tolto penitenzia, nè detto confessione nella prima vita.
[p. 209 modifica] Ch’io stessi cheto, ed inchinassi ad esso.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
Venne alla porta, e con una verghetta [1]
L’aperse , che non v’ebbe alcun ritegno. 90
O cacciati del ciel, gente dispetta,
Cominciò egli in su l’orribil soglia,
Ond’esta oltracotanza in voi s’alletta?
Perchè ricalcitrate a quella voglia,
A cui non puote il fin mai esser mozzo,95
- ↑ V. 89. Correggo Venne dove altri scrive Giunse. Me ne avvisan giusto anche il Cassio, e la Vind. accettata dal Witte, il Landiano. e i Cod. bolognesi BS. BV. Non sapendo Dante a che l’angelo fosse diretto non potea dir giunse; ben disse Venne poiché ’l vide alla porta fermarsi.
V. 89. Questa verghetta è possanza di Dio alla quale non puote contrastare nulla possanza di creature alcuna.
91. Qui per farli più stupore li ricorda suo danno; e mostra come ogni creatura gli ha a dispetto e cacciali, che sol quello luogo che più è di lungi al cielo li ritiene, e quello è dispettoso e rinchiuso e opposito tutto alla lor natura.
92. Cioè la porta infernale, la quale per la eternitade delle pene e delli martiri si è orribile ad ogni intelletto.
94 Cioè : è duro recalcitrare contra lo stimolo che tanto più si dannifica lo recalcitratore, quasi a dire: voi non potete contra Dio, lo quale è sempiterno, e non può essere sua eternitade mozza; perchè dunque vi opponete voi contra, adducendo per argomento che voi sapete che voi avesti già più larga possanza contra l’umana generazione: e questo fu anziché ’l figliuol di Dio fusse crocifisso; posciachè tal morte fu, vi fue accresciuta la pena , che d’allora inanzi non avete possanza sì grande da tentare li uomini per li sacramenti della Chiesa e per la fede cattolica ch’elli hanno. E nota qui che al demonio è pena quando non può avere possanza di tentare e di far perdere l’ anima umana. 97. Qui poiché ha detta la condizione de’ demonii secondo la scrittura cristiana, introduce una fabula poetica, la quale è che Teseo figliuol del duca d’Atene, lo quale uccise lo Minotauro in Creti, per consiglio della sorore del detto Minotauro, come apparirà nel XII capitolo, e Proserpina figliuola di Cerere, e Optito [1] si funno incantati e andonno allo inferno, e volendo entrar dentro dalla cittade di Dite, li demoni li lo volseno vietare. Questi non aspettavano grazia né poder d’altri, sì miseno a farla alle mani con loro; alla fine questi tre vinseno la pugna. Vero è che nella messeda Cerbero demonio fu molto aruffato e fulli schiantata tutta la barba ch’ancora dall’un de’ lati l’avea mozza e schiantata. Or lo detto messo a più dolor di loro li ricordò tal zambello.
[p. 210 modifica] E che più volte v’ha cresciuta doglia?
Che giova nelle fata dar di cozzo,
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,
Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo.
Poi si rivolse per la strada lorda, 100
E non fé’ motto a noi: ma fé’ sembiante
D’uomo, cui altra cura stringa e morda,
Che quella di colui che gli è davante.
E noi movemmo i piedi in ver la terra,
Sicuri appresso le parole sante. 105
Dentro v’entrammo senza alcuna guerra:
Ed io , ch’avea di riguardar disio
La condizion che tal fortezza serra,
Com’io fui dentro, 1’ occhio intorno invìo;
E veggio ad ogni man grande campagna 110
Piena di duolo e di tormento rio.
Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,[2]
- ↑ Laur. XI. 36 ha cho pito.
- ↑ V. 112. Così i Cod. migliori, e il Landiano il BP e i due interi dell’Università bolognese.
V. 100. Qui mostra com’en sollicite l’anime beate a fare suo uffizio. 104. Come appare nel testo entronno dentro alla città dolente. 109. Qui tratta del sito e della condizione di quelli ch’eran dentro, dicendo che grandi tormenti e dolori erano dentri, e aduce per esempio arche e sepolture che ivi erano, là dove pistilenziati li eretici di Arli, che è una terra che è in Provenza, alla qual va il Rodano e falli grande stagno over laco [1]; e trovasi per croniche che al detto Arli anticamente fu grandissima battaglia tra Cristiani e Pagani, per lo quale oste ne morì innumerabile quantità di ciascuna delle parti; in la qual briga mori Guiglielmo d’Oringa. Alla fine rimase lo campo a’ Cristiani. Sichè quelli che rimasero vivi, li quali erano cristiani, volendo per pietà seppellire li suoi, e gli altri, cioè li infedeli, no, e non conoscendoli feceno prego a Dio che a loro dovesse per grazia revelare quali fosseno li fedeli. Esauditi costoro dalla benignitade di Dio, apparve sopra ciascun corpo, ch’era in vita cristiano una cedola, in la quale era scritto lo nome e la condizione sua; costoro, visti tali nomi e facultadi feceno fare tumoli, overo arche, a ciascuno secondo sua condizione, a chi basse, a chi più alte, e a chi di maggior essere: ancora per la moltitudine di morti, mettenno più d’una condizione in una arca, e quelli ch’ebbono al mondo maggior essere, miseno soli. 113. Pola è in Istria, ed è una cittade in lo cui contado è grande moltitudine d’arche , le quali funno anticamente fatte per quelli
[p. 211 modifica] Sì com’a Pola presso del Quarnaro ,
Che Italia chiude e i suoi termini bagna,
Fanno i sepolcri tutto il loco varo: 115
Così facean quivi d’ogni parte,
Salvo che il modo v’era più amaro ;
Che tra gli avelli fiamme erano sparte.
Per le quali eran sì del tutto accesi,
Che ferro più non chiede verun’arte. 120
Tutti gli lor coperchi eran sospesi,
E fuor n’uscivan sì duri lamenti ,
Che ben parean di miseri e d’offesi.
Ed io: Maestro, quai son quelle genti ,
Che seppellite dentro da quell’ arche 125
Si fan sentir con gli sospir dolenti?
Ed egli a me: Qui son gli eresiarche[2]
- ↑ Correggo coll’aiuto dell’Ottimo il passo stazione over loco.
- ↑ V. 127 Così i due dell’Università bolognese, e altri egregi, e anche 1’ Allavanti.
che abitavano in Dalmazia e Croazia e Schiavonia, che moriano e venivansi a sepellire alla marina: ed eravi differenza secondo la facultade delle persone in essere messi in onore vili sepolcri. La qual Pola, secondo che recita l’autore, è apresso del Quarnaro, lo qual Quarnaro è in golfo che dura XL miglia ed è molto pericoloso a’ naviganti ch’hanno a passar per quello: e da esso è denominato un vento che li fa tempesta e tumulto [1], che è appellato quarnira, lo qual vento è tra Greco e Levante [2]. V. 114. Qui per specificare lo luogo poetizando mette che Pola è fine e termine de Italia, e che lo detto Quarnaro, cioè l’acqua di quel golfo, bagna lo confine. 116. Or fa la comparazione che sicome in li predetti luoghi sono sepolcri d’ogni condizione, così dentro a Dite è sepolcri d’ogni condizioni, salvo che non è dritta comparazione, perchè dentro a Dite la maniera era più amara, cioè che l’anime erano pestilenziate dai demonii, quelli corpi ch’erano nei sepolcri ad Arlì e a Pola erano solo da vermi rosi e senza sentimento. 118. Qui mostra di lor pena dicendo che fiamme usciano delli avelli over arche, li quali mostravano e faceano l’anime essere si accese e piene di fuoco, che non è nessuna arte, né fabbrile, né quelli che tranno lo ferro della miniera, che ’l vogliano più rosso e fusibile. 121. Qui, come appar nel testo, recita di lor lamenti, lo qual suono mosse lui a dimandare a Virgilio la condizione di quelli, quando dice: ed io, Maestro. 127. Dice che Virgilio li disse ch’erano li eresiarche , cioè li
[p. 212 modifica] Co’ lor seguaci d’ogni setta, e molto
Più che non credi, son le tombe carche.
Simile qui con simile è sepolto: 130
E i monimenti son più, e men caldi.
E poi ch’alla man destra si fu volto,
Passammo tra i martìri e gli alti spaldi.
eretici principali[3] e li loro seguaci, che erano d’ogni setta e d’ogni condizione, ed erano troppo più ch’ elli non credea, quasi a dire: molti sono li errori che sono in li uomini, li quali non sono palesati né corretti, de’ quali nel mondo non è notizia né si sanno. V. 130. Quasi a dire: ogni setta hae d’una qualità sepultura e pena, e questo perchè la giustizia di Dio fa egualmente sua operazione alli eguali peccatori. Poi poetizando compie suo capitolo dicendo come andonno a man destra, tra li spaldi della terra e le arche, dov’erano dentro li martirii delli eretici predetti.
- ↑ Cosi la V., e Laur. XC, 115; mentre Laur. IX, 21, ha rumore, come la R.
- ↑ Altri mss hanno Scirocco e Vestro
- ↑ Di questa interpretazione ho già notato al proemio: V. la prefazione.
Nota. Dopo il canto VI a tutto questo IX l’
Ottimo è altra cosa che il Lana. È notevole in questi antichi commenti la indifferenza sulla nazionalità e la topografia italica, le quali pur si sentivano dall’Alighieri, dal Boccaccio, e più ancor dal Petrarca. Coloro che non consentono l’Istria essere parte d’Italia pensino un poco sui da quando si canta Quarnaro. Che Italia chiude e i suoi termini bagna. Italia! il bel paese Ch’appenin parte e ’l mar circonda e l’alpe.