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NOTE A «LE BACCANTI»
Pag. 28, v. 31. - Di sua figlia nacque; Penteo di fatti nacque da un’altra figlia di Cadmo, da Agave.
Pag. 33, v. 14. - Il sirio olibano è l’incenso.
Pag. 56, v. 1. - Pentimento sonar sembra il tuo nome: notisi la simiglianza fra Penteo e pentimento, che si trova già nel greco pénthos, che significa dolore, lutto.
Pag. 89, vv. 1-2. - Della Rabbia ministre, rapide cagne. Fu già osservato da altri che sotto il nome e l’immagine di cane e piú specialmente nel genere femminile cagna era dai poeti greci rappresentata la protervia, l’impudenza, l’avidità, la rabbia; e questo significato di malaugurio che si accompagna alle cagne trova il suo riscontro nella poesia latina e anche italiana.
NOTE A «IONE»
Pag. 146, v. 6. - Erettidi sono gli Ateniesi, cosí detti da un re loro Eretteo.
Pag. 178, vv. 1-2. - Non mai d’Ilizia hai sofferti gli spasimi. Non si dimentichi che Ilizia presiedeva al parti, e quindi non fu mai invocata dalla vergine Atena.
Pag. 196, vv. 17-18. - A te di Ione il nome darò, che bene alla ventura addicesi; mette cioè in relazione il nome Ione col participio ion/ίών del verbo greco eimi/εἶμι io vado.
Pag. 227, v. 4. - Il Nume celebre negli inni è Bacco.
Pag. 227, v. 6. - La vigesima sacra e la ventesima veglia dei misteri Eleusini che di tutte era la piú solenne.
NOTE ALLA «MEDEA»
Pag. 19, v. 2. — Le Simplègadi erano due rupi poste all’ingresso del Ponto Eusisno, le quali, secondo la leggenda, si urtavano continuamente fra loro, finché, passata la nave Argo, rimasero per sempre immobili.
Pag. 19, v. 4. — Nei valloni del Pelio ecc. È noto che, secondo la leggenda, gli Argonauti trassero dal monte Pelio il legname per costruire la loro nave.
Pag. 19, v. 10. — Iolco, città della Tessaglia, dalla quale salparono gli Argonauti.
Pag. 19, v. 11-12. — Le vergini Pelie sono le figlie di Pelia, indotte da Medea a uccidere il loro padre; cfr. p. 53, vv. 29-30.
Pag. 27. v. 23. — Il germano è Absinto, fratello minore di Medea, da lei barbaramente ucciso, tagliato a pezzi e gettato in mare, per scampare dall’inseguimento del padre.
Pag. 39, v. 16. — Sisifídi. Medea, la nipote del Sole, chiama con disprezzo le nozze di Giasone nozze di Sisifídi, da Sisifo, il piú astuto degli uomini, fondatore di Corinto e antenato della nuova sposa Glauce.
Pag. 49, v. 13. — A inviar tessere ecc. Erano specie di dadi (ὰστρά γαλοι) che gli ospiti spezzavano in due, conservandone una parte ciascuno, a testimonianza e ricordo della data e ricevuta ospitalità, e dei quali si servivano come segni di riconoscimento.
Pag. 53, v. 4. — Pandione, figlio di Cecrope, re di Atene, gli succedette nel regno e fu, secondo una tradizione molto diffusa, padre di Egeo.
Pag. 53, v. 6. — Della terra... all’umbilico, cioè al tempio di Apollo in Delfo, che era consideralo come il centro (ὀμφαλός=umbilico) della terra.
Pag. 65, v. 1. — Erettidi sono gli Ateniesi, cosí chiamati da Erettèo, loro leggendario sovrano.
Pag. 65. vv. 8-9. — Le nove Muse Armonia generò. Veramente la tradizione comune fa le Muse figlie di Giove e di Mnemosine e le fa nascere nella Pieria. Euripide, invece, le fa nascere nell’Attica per adulare i suoi ascoltatori.
Pag. 66, v. 1. — I sacri rivi sono il Cefiso e Illisso.
Pag. 85, v. 12. — Una lizza di sei plettri: lo stadio era formato di 6 plettri di 100 piedi ciascuno, pari a circa 184 metri.
Pag. 90. v. 6. — La leggenda narra che Ino e il marito di lei Atamante impazzirono per l’ira di Giunone contro loro, che avevano allevato il fanciullo Diòniso. In conseguenza di tale pazzia, uccisero i loro figli: Atamante uccise il maggiore, Learco, e Ino precipitò col minore, Melicerta, nel mare. Qui per altro Euripide allude a un’altra versione della leggenda, secondo la quale Ino avrebbe, prima di gettarsi in mare, uccisi i suoi figliuoli, come aveva fatto Medea.
Pag. 93, v. 21. — Il tuo germano. Absinto; cfr. p. 27, v. 23.
Pag. 97, v. 2. — Sacrario d’Era. È il tempio d’Era che, secondo lo scoliaste di Euripide e secondo Pausania, sorgeva su l’Acropoli di Corinto; altri intende il tempio d’Era che sorgeva sul promontorio che prendeva da esso il nome.
Pag. 97. v. 5. — Questo suol di Sisifo, perché, secondo la leggenda, in Corinto regnavano i discendenti di Sisifo; cfr. p. 39, v. 16.
Pag. 97, v. 8. — Alla terra d’Erettèo, ad Atene; cfr. p. 65. v. 1.
NOTE ALL’«ALCESTI»
Pag. 122, v. 6. — Perché me non contamini il contagio: la contaminazione, cioè, derivante dalla presenza di un morto nella casa; ed è appunto perciò che davanti alle case visitate dalla morte si poneva un vaso ripieno d’acqua, affinché i visitatori potessero, lavandosi, purificarsi. Cfr. pag. 128, vv. 7-9.
Pag. 126, v. 1. - Euristeo, il figlio di Stendo che, per volere di Giove, impose al nipote Ercole, durante il tempo che fu in sua servitú, le dodici note fatiche.
Pag. 128, v. 10. - Non cadde ancor cesarie. Sulle tombe dei morti si ponevano, come offerte, ciocche di capelli recisi: qui si allude invece all’uso, che non ci è noto per altra testimonianza all’infuori di questa, di spargere capelli recisi innanzi all’atrio della casa dove era una persona morta.
Pag. 129, v. 7. - La Licia è qui ricordata per l’oracolo di Apollo che si trovava in quella contrada, a Patara, alle fonti del Xanto.
Pag. 129, vv. 7-8. - L’arida dell’Ammonio dimora, il luogo, cioè, dove era il tempio di Giove Ammone; ed è detto arido, perché posto in un’oasi del deserto libico ad occidente di Memfi.
Pag, 130, v. 2. - II figliuol d’Apolline, Asclepio, dottissimo nell’arte medica, il quale non si limitava a guarire gli ammalati, ma spingeva la sua abilità sino a resuscitare i morti.
Pag. 137, v. 6. - Talamo di Iolco. È stato osservato che questo accenno al talamo nuziale di Iolco, non è in armonia con quanto è detto addietro, p. 133, vv. 3 sgg., dove è ricordato invece il talamo nuziale di Fere. La confusione è forse derivata dal fatto che Pelias, padre di Alcesti, era signore di Iolco, mentre il marito Admeto era re di Tebe.
Pag. 147, vv. 7-8. - Ed i cavalli ecc. Era usanza dei Tessali, per onorare qualche morto insigne, non solo radersi i capelli, ma anche recidere i crini ai cavalli.
Pag. 148, v. 11. - L’alpestre settemplice lira. La lira dalle sette corde è detta alpestre, perché trovata da Ermète che la costruí valendosi del guscio di una tartaruga montana. Cfr. l’Inno omerico a Ermète, in Omero minore, p. 63.
Pag. 148, vv. 13-14. - La vece del mese carneo. Il mese Carneo, cosí detto dalle feste Καρυεῖα che si celebravano per nove giorni in onore di Apollo, corrispondeva al nostro agosto-settembre.
Pag. 151, v. 6. - Per Euristeo, figlio di Stenelo; cfr. p. 126, v. 1..
Pag. 154, vv. 4 sgg. - Con Licone prima ecc. Licone era figlio di Marte, e di esso null’altro sappiamo se non che fu ucciso da Ercole. Marte pure ebbe due figli di nome Cigno, l’uno da Pelopia e l’altro da Pirene: e anch’essi furono tutti e due uccisi da Ercole.
Pag. 161, v. 10. - L’Otro era una montagna della Tessaglia, ricca di boschi e di pascoli.
Pag. 162, v. 4. - Molossi, popolo d’origine ellenica, passato dalla Tessaglia in Epido sotto la condotta di Pirro figlio di Achille.
Pag. 176, v. 26. - Nella dimora di Cora, cioè nell’Averno, dove Cora (Persefone) era signora.
Pag. 184, v. 17. - I Càlibi, popolazione che abitava sulle coste meridionali del Mar Nero, dove erano ricche miniere di ferro.
Pag. 186, v. 17. - I Bistonî, popolo tracio che abitava lungo la costa del mar Egeo e intorno al lago Bistonides a levante di Abdera.
Pag. 194, v. 4. Come al capo della Górgone, cioè con ripugnanza, guardando da un’altra parte. È noto che al capo della Górgone si attribuiva il potere di far diventare di pietra chi lo contemplasse.
Pag. 197. v. 7. - di Stenelo al figlio, ad Euristeo; cfr. p. 126, v. 1.
NOTE A «LE FENICIE»
Pag. 216, v. 11. - Edipo lo chiamò; Οἰδί-πους, cioè dai piedi gonfi.
Pag. 220, v. 1. - Ismeno, fiume della Beozia, che scaturisce dal colle Ismenio, attraversa Tebe, si unisce con le acque della fonte Dirce, e sbocca nel lago di Hylice.
Pag. 220, v. 10. - L’esercito pelasgo, è l’esercito assediante, detto pelasgo perchè comandato da Adrasto, re d’Argo; cfr. p. 229, vv. 15-16.
Pag. 222, vv. 12-13. - La sorella della consorte, Deipile, mogile di Tideo, era sorella di Argia, moglie di Polinice: cfr. p. 238, 1. 10, n.
Pag. 223, v. 9. - Zeto, figlio di Giove e di Antíope, partecipò insieme col fratello Anfione alla fondazione di Tebe; cfr. Omero, Odissea, XI, 260:
Antíope dopo questa m’apparve, figliuola d’Asòpo
che tra le braccia di Giove giaciuta era, disse; e dal Nume
due pargoletti aveva concetti, Anfíone e Zeto
che Tebe pria fondaron, città di settemplici porte
che la munîr di torri; perché rimaner senza torri,
per quanto in Tebe fosser gagliardi, possibil non era.
Pag. 223. v. 10. - Atalanta, celebre cacciatrice. moglie di Melanione, che l’aveva vinta nella corsa, con la nota astuzia, suggeritagli da Afrodite, dei pomi d’oro.
Pag. 223, v. 20. - Con dritto, perché Eteocle era venuto meno alla parola data a Polinice; cfr. p. 229. vv. 18-20 e p. 243, v. 13 sgg.
Pag. 225, v. ult. - Amimone, figlia di Danao: andando essa per acqua nei campi di Lerna, fu amata da Nettuno, che, percotendo col tridente la terra, fece scaturire per lei una fonte detta Lernea e Amimonia.
Pag. 227, v. 5. - L’isola Fenicia è lo scoglio sul quale sorgeva la nuova Tiro.
Pag. 228, v. 3. - Duplice perché il Parnaso aveva due vette, l’una sacra ad Apollo, l’altra a Bacco.
Pag. 228, v. 15. - O vigna ecc. Si riferisce a una leggenda che correva di una vite miracolosa che cresceva sul Parnaso e maturava ogni giorno un grappolo d’uva.
Pag. 228, v. 18. - Il Drago è il serpente Pitone, ucciso da Apollo.
Pag. 228. v. 24. - Umbilico, cioè centro del mondo era creduto Delfi.
Pag. 229, vv. 6-7. - Siam germogli comuni d’Io: difatti da Io discende Epafo, da Epafo Libia, da Libia Agenore, e da Agenore Cadmo fondatore di Tebe e Fenice fondatore di Tiro.
Pag. 238, v. 10. - Adrasto, figlio di Talao, re d’Argo, aveva avuto dall’oracolo di Apollo il responso di maritare le due figliuole, Deipile ed Argia, ad un leone e ad un cinghiale. È disaccordo fra gli autori come Adrasto rilevasse in Polinice e in Tideo il leone e il cinghiale profetati; forse fu perché si presentarono a lui il primo coperto dalla pelle di un leone, l’altro da quella di un cinghiale, quando egli accorse alla lite sorta fra i due che s’erano rifugiati nell’atrio della reggia.
Pag. 242, vv. 14-15. - Non miri della Gorgone il capo tronco, non miri, cioè, la testa troncata di Medusa, che aveva il potere di convertire in pietra chi la guardasse.
Pag. 255, v. 13. - Polinice, Πολυ-νείκης che ama le liti. Cfr. piú avanti. p. 310, vv. 1-2 ed Eschilo nei Sette a Tebe e Sofocle nell’Antigone.
Pag. 257, v. 3-4. - Il ferocissimo drago di Marte è il serpente ucciso da Cadmo quando venne nella Beozia; seminatine i denti, ne nacquero guerrieri che si uccisero a vicenda, rimanendone superstiti cinque soli, detti Sparti, ossia seminati, dai quali si vantavano di discendere i Tebani; cfr. p. 267, v. 16 e p. 281, vv. 29-30.
Pag. 257, v.22. - O germe d’Io: cfr. p. 229, II. 6-7 n.
Pag. 274. v. 12. - Eumolpo, figlio di Nettuno, re dei Traci, portò guerra ad Eretteo, re degli Ateniesi (Cecropidi). Questi ottenne la vittoria col sacrificio del figlio.
Pag. 283, v. 5. - Echidna, mostro infernale, madre di Cerbero, dell’idra di Lerna, ecc.
Pag. 289, vv. 16-17. - Le Potniadi.... puledre, le cavalle che infuriate lacerarono in Potnia, nella Beozia, Glauco.
Pag. 304, v. 22. - La tromba è detta tirrena, perché se ne favoleggiarono inventori i Tirreni.
Pag. 320, v. 16. - Sarò nuova Danaide, ucciderò, cioè, nella prima notte di matrimonio il mio sposo, come già uccisero il loro le cinquanta figlie di Danao.
Pag. 325, v. 2. - L’equestre Nume è Nettuno, perché a lui erano sacri i cavalli.
Pag. 327. vv. 18-19. - L’alpestre inaccesso recinto delle Menadi è il monte Citerone, sacro a Bacco.
NOTE A «LE SUPPLICI»
Pag. 16, vv. 18-19. - Ove la spiga prima spuntò: era tradizione che presso Eleusi fosse gittato il primo seme e quindi ne uscisse la prima spiga del grano.
Pag. 35, v. 13. - Di Dèo sull’ara, cioè su l’ara di Cerere.
Pag. 41, v. 15. - L’acque sante del Callicoro. Era una lontana presso Eleusi, oggetto di molta venerazione, perché era tradizione vi si fosse fermata Cerere nel suo lungo peregrinare in cerca della rapita figliuola (cfr. p. 53, v. 13).
Pag. 46, v. 15. - Il vate degli augelli, è Anfiarao.
Pag. 54, v. 6. - D’Inaco la figlia è Io, amata da Giove.
Pag. 55, v. 5. - Presso l’acque di Dirce, cioè presso Tebe.
Pag.56, v. 14. - I Parali, gli abitanti della Paralia, regione litorale dell’Attica.
Pag. 58, vv. 5-6. - I guerrieri nati dai denti del dragone, sono, come è noto, i Tebani.
Pag. 58, v. 18. - L’arma di Epidauro è la clava.
Pag. 71, v. 21. - Il figlio d’Oicleo è l’augure Anfiarao, che non voleva seguire Adrasto alla guerra di Tebe, prevedendone l’infelice esito. Indotto dalle lusinghe della moglie Erifile a parteciparvi, fu inghiottito in un baratro che il fulmine di Giove aprí sulla sua fuga, sottraendolo cosí a morte ignominiosa.
Pag. 92, v. 18. - Egialeo figlio di Adrasto.
NOTE ALL’«ERCOLE»
Pag. 107, v. 6. – La ..... spiga degli Sparti. È nota la tradizione, secondo la quale Cadmo, ucciso il serpente che custodiva la fonte di Are, ne seminò per consiglio di Atena i denti e ne nacquero guerrieri che si combatterono e uccisero fra loro tutti, ad eccezione di cinque che popolarono Tebe e furono detti Sparti, cioè seminati.
Pag. 117, v. 12. - Dirfi, monte dell’isola Eubea.
Pag. 140, v. 5. - Ermione, città dell’Argolide.
Pag. 141, v. 1. - Per salvar Teseo; allude alla tradizione che Ercole scendesse nell’Ade non solo per trarne fuori Cerbero, ma per ricondurre anche Teseo, che v’era sceso per liberare Piritoo.
Pag. 151, v. 21. - La nipote di Perse è Alcmena, figlia di Elettrione, che era figlio di Perse.
Pag. 158, v. 18. - Encèlado: allude al terremoto pel quale Pallade rovesciò la Sicilia sul gigante Encelado.
Pag. 161, v. 24. - La città di Niso, è Megara.
Pag. 164, v. 9. - Di Procne unico figlio: è Itys, ucciso da Procne e dato da lei in pasto al marito Tereo.
Pag. 175, v. 18. - Il colle dell’ulivo è Atene, che, come è noto, ebbe da Pallade in dono tale pianta.
NOTE ALL’«IPPOLITO»
Pag. 205, v. 12. - L’Amazzone è Antiope (e secondo altri Ippolita), vinta da Teseo nella guerra che egli ebbe con le Amazzoni; cfr. p. 223, vv. 28 sgg.
Pag. 206. v. 9. - Il suolo di Pandione è l’Attica.
Pag. 208, v. 22. - I Pallantídi sono i figli di Pallante, uccisi da Teseo: questi, per espiazione di tale uccisione dovette vivere per un anno esule dalla patria.
Pag. 214. v. 10. - La Dittinna Vergine è Diana, onorata con tale appellativo in Creta.
Pag. 227, v. 7. - Dici quello pel toro? Allude alla nota favola di Pasifae innamorata del toro.
Pag. 228, v. 1. - La grama sorella è Arianna, abbandonata da Teseo nell’isola di Nasso; poscia raccolta e sposata da Dioniso.
Pag. 240, v. 3. - La puledra non domita è Iole, figlia di Eurito, re d’Ecalia, della quale s’era innamorato Ercole, che per averla incendiò e distrusse la città, portando seco l’amata fanciulla.
Pag. 240, v. 15. - Di Bromio... la madre è Semele, che, secondo la nota leggenda, restò incenerita quando, in seguito alle sue preghiere, Giove le si mostrò tra lampi e fulmini in tutto il fulgore della sua divinità.
Pag. 253, v. 12. - Al lido Munichio, ove era uno dei porti d’Atene.
Pag. 264, v. 19. - I precetti d’Orfeo, che raccomandavano, per seguire castità, l’astinenza dai cibi animali.
Pag. 265, v. 15. - Sinide, famoso ladrone che infestava l’istmo di Corinto e che fu vinto e ucciso da Teseo.
Pag. 265, v. 17. - Le rupi Scironie sono le montagne della Megaride, cosí chiamate da Scirone, crudele ladrone, pur esso vinto e ucciso da Teseo.
Pag. 278, v. ultimo. - Saronio golfo, ora golfo di Egina.
Pag. 290, v. 5. - A un altr’uomo, cioè ad Adone.
NOTE A «GLI ERACLIDI».
Pag. 12, v. 24. - I due figli di Teseo, cioè Demofonte e Acamante.
Pag. 15, V. 9. - Alla tetrapoli; sono i quattro borghi di Maratona, Enoe, Probalinto e Tricorito.
Pag. 22, v. 28. - Del funesto cingolo. Allude all’impresa di Ercole contro le Amazzoni per conquistare la cintura cui era appesa la spada di Marte; e chiama tale cingolo funesto, perché causa di una sanguinosa battaglia in cui morí la regina delle Amazzoni, Ippolita.
Pag. 27, v. 5. - D’Alcato ecc. Cfr. Prefazione, pag. 6.
Pag. 31, v. 8. - Di Stenelo il figlio, cioè Euristèo.
Pag. 55, v. 6. - Saldo ecc. Lo sdrucciolare, quando si cominciava a camminare, era, presso gli antichi, di malaugurio.
Pag. 61, v. 14. - Dall’umana gola, dalla gola, cioè, di Macaria.
Pag. 68, v. 4. Si trova ove si trova, cioè in cielo, fra i Numi.
Pag. 72. v. 16. - La divina vergine di Pallene è Minerva che a Pallene aveva un tempio a lei dedicato. Cfr. pag. 62, v. 13.
NOTE A «IFIGENIA IN AULIDE»
Pag. 98, v. 2. - Settemplice, perché erano appunto sette le stelle che formavano la costellazione delle Pleiadi.
Pag. 101, v. 3. - Quell’uomo è Paride.
Pag. 105, v. 5. - Dei Ciclopi alle sedi, cioè a Micene.
Pag. 106, v. ultimo. - Sulla chiara acqua sorgiva, cfr. pag. 127 e pag. 174.
Pag. 124, v. 6. - Di Sísifo il rampollo è Ulisse, perché, secondo una leggenda, quando Anticlèa andò sposa a Laerte aveva già concepito Ulisse dall’amante Sisifo. Cfr. pag. 181, v. 3.
Pag. 137, v. 7. - Apidano, fiume della Tessaglia che sbocca nel Peneo, presso Larissa.
Pag. 142, v. 18. - I Dioscuri si libran nell’etere, appunto perché, come è noto, Castore e Polluce formano in cielo la costellazione dei Gemelli.
Pag. 143. v. 25. - Aligera parvenza assunta; è noto che Giove, innamoratosi di Leda, si accostò a lei sotto forma di cigno.
Pag. 191, v. 1. - La città di Perseo è Micene.
Pag. 194, v. 29. - In mezzo all’aureo canestro, ove erano le offerte per il sacrificio.
NOTE A «IFIGENIA IN TAURIDE»
Pag. 218, v. 5. - Voto facesti un dí, per calmare lo sdegno di Artemide, che aveva offesa.
Pag. 218, v. 22. - Il nome ei n’ebbe: Toante da θοός, veloce.
Pag. 219, v. 22. - Strofio marito di Anassibia, sorella di Agamennone, fu poi padre di Pilade.
Pag. 224, v. 2. - Le rupi ecc. Sono le Simplegadi; cfr. p. 238, v. 6.
Pag. 226, v. 25. - L’ariete d’oro; allude alla pecora dal vello d’oro trafugata da Tieste al fratello Atreo, per la quale Tieste ebbe fraudolentemente il regno d’Argo; onde l’ira di Atreo che uccise i figli del fratello e glieli diede a mangiare. Cfr. p. 267, v. 3.
Pag. 238, v. 8. - Le coste Fineidi, cioè le coste della Tracia europea, di cui era re Fineo.
Pag. 262, v. 1. - Le Rupi azzurre sono le Simplegadi.
Pag. 276, v. 4. - Le Dee cui nominar si vieta sono le Furie: era ritenuto di cattivo augurio il nominarle.
Pag. 286, v. 3. - La tua triste canzone. È la nota leggenda di Alcione, figlia di Eolo, la quale si lanciò in mare, vedendo il cadavere del suo sposo Ceice galleggiate sulle acque; e Teti, commossa per tanto amore coniugale, li trasformò negli uccelli chiamati alcioni.
Pag. 287, v. 17. - Il cerato calamo di Pan è la zampogna.
NOTE A «ELETTRA»
Pag. 52, v. 6. — Nauplia, città e porto vicino ad Argo.
Pag. 74. v. 19. — D’Ammone la contrada, la Libia, celebre per il tempio di Giove Ammone.
Pag. 81, v. 14. — Uno di Ftia, un coltello di Ftia, nella Tessaglia, ed è noto che i Tessali erano rinomati come bravi trinciatori di buoi.
Pag. 94, v. 16. — Una fanciulla invasa Menade, cioè Cassandra.
Pag. 110, v. 12. — Con l’effigie gorgonia, con l’effigie della Gorgone, cioè di Medusa.
Pag. 110, v. 30. — Queste Dee temibili, cioè le Erinni.
NOTE A «ORESTE»
Pag. 147, v. 6. — Dal tripode di Tèmide, è il tripode già posseduto dalla dea Tèmide, dal quale Apollo emanava in Delfo gli oracoli.
Pag. 258, v. 12. — Sul colle di Marte, cioè su l’Areopago.
NOTE ALL’«ANDROMACA»
Pag. 57, v. 18. - Foco, figlio di Eaco e della Nereide Psamate.
Pag. 63, v. 6. - Le Simplegadi erano due grandi rocce all’ingresso del Bosforo, le quali, vedute di sbieco, sembravano unite l’una all’altra: donde il loro nome.
Pag. 90. v. 31. - Leuca, piccola isola nel mare Eusino, dove era la tomba di Achille.
NOTE ALL’«ELENA»
Pag. 130, vv. 1-2. - D’Atena il tempio dalle bronzee pareti era su l’acropoli di Sparta.
Pag. 166, vv. 17-18. - Nauplio, re d’Eubea, e padre di Palamede, per vendicare il figlio ucciso, durante l’assedio di Troia, dai Greci, quando questi ritornarono, accese di notte delle faci sul promontorio di Cafareo. I naviganti, credendoli fari, andarono a sfracellarsi contro le rocce.
Pag. 189, v. ultimo. - Un sol uomo è Nauplio, di cui alla nota precedente.
Pag. 214, v. 17. - Le Leucippidi, le sacerdotesse delle figlie di Leucippo, venerate nella Laconia.
Pag. 215, vv. 11-12. - I Libici augelli sono le gru.
Pag. 216, vv. 1-2. - I figli di Tindaro sono Castore e Polluce.
NOTE A «IL CICLOPE»
Pag. 257, v. 11. - Sisifo è, secondo una tradizione postomerica padre di Ulisse, che sarebbe cosí figlio degli amori illeciti di Anticlea, prima che andasse sposa a Laerte.
Pag. 272, v. 5. - Radamanto, celebrato per la giustizia e per la veridicità.